A un anno dall’insediamo del Governo Meloni, Materia Rinnovabile ha deciso di tracciare un bilancio ideale di quanto fatto da questa legislatura in materia di clima, ambiente e transizione energetica, attraverso interviste a personalità di spicco del settore. Abbiamo incontrato per primo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.
L’associazione si sta preparando al dodicesimo congresso nazionale, in programma dal 1° al 3 dicembre 2023, con una campagna dal nome I cantieri della transizione ecologica: un viaggio lungo la penisola per raccontare cantieri, progetti ed esperienze che vanno nella giusta direzione della transizione ecologica ed energetica e potranno portare importanti benefici in termini ambientali, occupazionali ed economici.
In tema di transizione ecologica, Legambiente sta avanzando un progetto di riconversione dell’Italia: quali sono i pilastri di questa proposta?
Il filo conduttore della nostra strategia politica per i prossimi quattro anni è centrato su una parola che nel mondo ambientalista è sempre vista come un problema: il cantiere. No ai cantieri sbagliati, come i nuovi rigassificatori o del ponte sullo Stretto di Messina, sì a quelli necessari a rivoluzione energetica, economia circolare, mobilità sostenibile, innovazione industriale, adattamento alla crisi climatica, edilizia sostenibile.
Legambiente ha deciso di metterci la faccia per permettere di realizzare tutte queste opere. Saremo impegnati in tutto il Paese a fare “i capicantiere”, come è spiegato nell'ultimo capitolo del documento congressuale di Legambiente, mettendo insieme le “maestranze”, ovvero le imprese più innovative, le istituzioni più coraggiose, le organizzazioni di cittadini, il mondo della ricerca e quello del lavoro. Se vogliamo raggiungere gli obiettivi al 2030 dell'Europa e spendere tutte le risorse del PNRR, i prossimi quattro anni saranno decisivi, e noi la partita ce la vogliamo giocare, senza metterci sugli spalti a fare il tifo ma scendendo in campo.
Parliamo allora del primo “cantiere”, quello delle energie rinnovabili. Quali sono le priorità per questo cantiere?
Servono sostanzialmente tre cose. La prima è snellire le procedure e permettere a un impianto eolico di essere autorizzato in sei mesi, come è stato fatto con i rigassificatori galleggianti di Piombino e Ravenna, e non in sei anni come avviene mediamente oggi. Lo stesso vale per gli impianti fotovoltaici: i tempi biblici di autorizzazione delle rinnovabili non esistono per altre cose ed è già la prima distonia che dobbiamo risolvere.
La seconda è la transizione culturale, soprattutto delle istituzioni, in primis le soprintendenze. Vorremmo vedere tanti impianti fatti bene anche in luoghi particolarmente pregiati e famosi. Sulla Sala Nervi è stato fatto un bellissimo impianto fotovoltaico, ma perché è in Vaticano. Se fosse stato 200 metri più a sud, nello Stato italiano, la soprintendenza di Roma non l’avrebbe mai autorizzato. Le soprintendenze devono superare il preconcetto per cui le rinnovabili danno problemi al paesaggio: se fatte bene e velocemente, permetteranno di fermare la devastazione paesaggistica causata dalla crisi climatica, quella, sì, vera e permanente.
E poi la terza cosa: nel mondo industriale ci deve essere chiarezza. Non si possono fare rinnovabili e continuare a investire sulle fossili. Confindustria continua a fare politiche che vanno nella direzione della vecchia economia, ormai superata.
Secondo cantiere: il trasporto pubblico.
Se noi dovessimo trovare 13,5 miliardi di euro per costruire il Ponte sullo Stretto, collegheremmo velocemente due regioni all’interno delle quali poi non ci si muove. Per andare da Trapani a Ragusa si impiega 13 ore e 15 minuti cambiando quattro treni. Da Reggio Calabria a Bari 10 ore. È una questione di priorità. Bisogna aprire decine di centinaia di cantieri in Sicilia e in Calabria per permettere a calabresi e siciliani di muoversi come in un Paese civile.
Sulla mobilità sostenibile serve invece una duplice rivoluzione elettrica. Bisogna accompagnare le aziende dell'indotto per permettere loro di adattarsi alle nuove lavorazioni per l'auto elettrica oppure di trovare altri modelli. Chi prima faceva lampadine a incandescenza, oggi fa un'altra cosa. Chi faceva i televisori a tubo catodico, oggi fa un'altra cosa. Bisogna invece lavorare più velocemente per mettere le colonnine di ricarica in tutta Italia, a partire dalle grandi aree urbane e nelle strade di collegamento, come in autostrada.
Ovviamente spazio al trasporto pubblico. Ci sono 3 milioni di pendolari in Italia che viaggiano ogni giorno in maniera spesso eroica, e questo è insopportabile. Serve quindi elettrificare e raddoppiare i binari ferroviari, ammodernare le linee e comprare nuovi treni, che devono essere frequenti e comodi, perché solo così convinceremo i cittadini a lasciare l'auto per prendere il mezzo pubblico.
Terzo cantiere: il retrofitting in edilizia privata. Qual è la soluzione che proponete post Bonus 110?
Sul Superbonus l’Italia ha fatto un grande pasticcio: avremmo dovuto trasformare questo strumento da sostegno all'edilizia a una politica di efficienza energetica e di messa in sicurezza antisismica degli edifici. In Italia c’è una “patrimoniale” che paghiamo: le bollette di elettricità e gas. Mettere in efficienza i nostri edifici darebbe un contributo importante anche in termini di riduzione della bolletta energetica del Paese. Dobbiamo evitare gli errori del passato e del presente. Per esempio, che senso ha continuare a incentivare le caldaie a gas se abbiamo le pompe di calore efficienti, tra l'altro prodotte anche in Italia?
Bisognerebbe tornare alla politica dei bonus edilizi che ha sempre funzionato in Italia, riscrivendo però la normativa. Anche per abbattere e ricostruire gli edifici, come alcuni degli anni Sessanta e Settanta che sono dei mostri estetici, energetici e di sicurezza.
Quarto quartiere: il mondo dei parchi e della tutela delle aree protette, sia marine che terrestri. L'Italia è ancora lontana dall'obiettivo 30% dell’Accordo di Montreal-Kunming sulla biodiversità.
Per arrivare agli obiettivi internazionali dobbiamo moltiplicare le nuove aree tutelate. Ci sono alcuni progetti impantanati da anni, come il Parco degli Iblei in Sicilia, il Parco del Matese, tra Molise e Campania, l'area marina protetta del Conero nelle Marche. Parchi che sono nella fase iniziale ma a cui ancora serve quella spinta politica per trasformare in realtà i progetti sulla carta. Non basta però istituire aree nuove, bisogna anche gestirle bene, cosa che oggi non sempre facciamo. Serve fare in modo che i parchi terrestri e marini esistenti e futuri siano sempre più luoghi della transizione ecologica, decisivi per lo sviluppo territoriale, e meno poltronifici per la politica.
Quinto cantiere: il clima.
Dopo quattro governi ancora non abbiamo un Piano nazionale di adattamento climatico. Iniziò Gentiloni, poi ci sono stati il Conte I e II, Draghi, ora Meloni, ma il piano è ancora in bozza, definitiva ma non approvata. Servono anche i fondi, perché se pure si approvasse il piano ‒ il ministro Pichetto Fratin l’aveva previsto a cavallo dell'estate e siamo a ottobre ‒ ma non ci fosse un centesimo di euro da investire nelle 361 azioni previste dal piano d’azione, a che servirebbe?
Sarà un bagno di sangue economico se non ci adattiamo, eppure prevale sempre la logica dell'emergenza. Come per l’alluvione in Emilia-Romagna: la stima dei danni è arrivata a 9 miliardi di euro, praticamente un pezzo di legge di bilancio. O ci mettiamo in testa di investire le risorse per fare attività di prevenzione e convivenza con il rischio, oppure non ne verremo mai a capo. Sono investimenti miliardari, ma per un miliardo speso in prevenzione ne risparmiamo quattro di interventi post-disastro.
Come mobilitare le giuste risorse economiche necessarie a un piano di spesa per la transizione ecologica?
Spero che nei prossimi tre anni riusciremo a colmare i ritardi accumulati fino a oggi sul PNRR. Certo, più passano le settimane e più cresce il rischio che diventi un boomerang. Ma sarebbe un delitto, perché l'Europa, con il Gren Deal prima e il Next Generation EU dopo, e poi con il RepowerEU, ha dimostrato che è ancora una bussola da seguire.
Dove trovare altre risorse per finanziare questo tipo di iniziative?
Dovremmo smettere di foraggiare direttamente o indirettamente la filiera delle fossili e cominciare a trasformare alcuni sussidi ambientalmente dannosi in incentivi per spostarsi su tecnologie e prodotti che fanno a meno delle fossili. Dovremmo utilizzare la leva economica: chi inquina deve pagare, e se non vuole più pagare deve essere aiutato a non inquinare. Invece, passano i governi e le maggioranze ma i sussidi ambientalmente dannosi sono ancora lì intatti.
Oggi c'è un gran numero di associazioni ambientaliste ma spesso in disaccordo e con poco coordinamento.
Una parte del mondo ambientalista è persa e destinata all’irrilevanza, perché chi sostiene che l'eolico è un problema per il paesaggio, come Italia Nostra, alimenta quei processi che devastano il paesaggio in maniera permanente. Legambiente, Greenpeace e WWF lavorano insieme e hanno iniziato a dire anche sì ad alcuni progetti. Penso al più grande piano italiano di eolico offshore, tra Sicilia e Tunisia: l’abbiamo letto, abbiamo fatto proposte di miglioramento che sono state prese in considerazione e ci siamo dichiarati a favore. Anche nel mondo delle associazioni di tutela del paesaggio c'è un'evoluzione molto interessante, penso al FAI o al Touring Club. I nuovi gruppi di giovani attivisti per il clima svolgono un ruolo molto importante e hanno motivazioni giuste, ma sbagliano le azioni. Non vanno criminalizzati perché non sono dei criminali, però imbrattare un monumento, anche se con vernice lavabile, o fermare il traffico, allontana i cittadini perché li fa arrabbiare. E invece dobbiamo avvicinarli.
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Immagine: Abby Anaday