*da Dubai
Lunedì 4 dicembre a COP28 si è tenuta la giornata tematica della finanza climatica, per fare il punto sulla situazione attuale ma soprattutto sulle prospettive di lungo termine del meccanismo chiave per fomentare la decarbonizzazione: il capitale.
"La portata della crisi climatica richiede soluzioni urgenti e rivoluzionarie da parte di ogni settore ‒ ha dichiarato il presidente della COP28, Sultan al Jaber ‒ la finanza gioca un ruolo fondamentale nel trasformare le nostre ambizioni in azioni concrete."
Accordo di Parigi e finanza globale in qualche modo si muovono in sincrono. Se il mondo finanziario vede progressi nell’implementazione dell’Accordo o decisioni chiave d’indirizzo di politica industriale globale alle COP (da qui l’importanza del phase out delle fossili), si muove in accordo. Allo stesso tempo se la finanza riesce a movimentare capitali, grazie anche alla leva dei soldi pubblici e alle riforme, i progressi per raggiungere gli obiettivi di Parigi accelerano. Un tema che forse sfugge ai critici da bar della COP, ma chi segue da anni i lavori dei negoziati sa che la finanza climatica è una chiave per qualsiasi progresso nella riduzione delle emissioni climalteranti.
L’obiettivo è movimentare investimenti e risorse per almeno 2,4 mila miliardi di dollari l’anno fino al 2030, pressappoco il PIL dell’Italia, attraverso investimenti, nuovi meccanismi di riduzione del debito e sistemi di prelievo fiscale per contribuire ad accelerare la mitigazione e l’adattamento.
I segnali che sono arrivati da Dubai però sono cautamente incoraggianti: la riforma dell’architettura globale finanziaria si sta muovendo più rapidamente degli obiettivi politici di decarbonizzazione e gli impegni (NDC) presi dai singoli paesi. Si registrano progressi e proposte sulla riforma delle banche multilaterali, finanza verde, riforma del debito, tasse globali, mercato del carbonio: mai è stato così ricco il piatto del negoziato sul tema finanziario. L’articolo 6 dell’Accordo di Parigi (Finance) dovrebbe essere completato qua a Dubai.
Materia Rinnovabile ha analizzato alcuni dei trend più importanti emersi dalle task force, dalle delegazioni e dalla presidenza di COP per capire quali tendenze si stanno rafforzando e come emergeranno nel testo finale o entro COP30, in Brasile.
100 miliardi: ci siamo
I Paesi sviluppati potrebbero aver mantenuto la promessa, a lungo attesa, di 100 miliardi di dollari per aiutare i Paesi più poveri a far fronte ai cambiamenti climatici già a fine 2022, ha annunciato l’OCSE alla vigilia del negoziato. Un elemento che ha sicuramente contribuito a cambiare l’attitudine dei Paesi in via di sviluppo verso i Paesi industrializzati e che sicuramente sarà usata come leva politica all’interno dei negoziati di COP28 fino al 12 dicembre.
Nel 2009, i Paesi sviluppati avevano promesso che dal 2020 avrebbero trasferito 100 miliardi di dollari all’anno alle nazioni più povere colpite dall’aggravarsi dei disastri alimentati dal cambiamento climatico. I Paesi ricchi avevano poi segnalato che il target non sarebbe stato raggiunto fino al 2023. Obiettivo effettivamente centrato.
Impegni di spesa assunti nella prima settimana di COP28
Uno delle metriche più facili da valutare è quella dei pledge dei vari Paesi per il clima in vari canali e su vari temi: dal Green Climate Fund (un veicolo di spesa Onu per aiutare i Paesi più vulnerabili) al Fondo per il Loss and Damage, alle risorse per l’Adattamento (miseri 141,7 milioni di dollari) agli impegni della finanza privata. Complessivamente, secondo la Presidenza COP, sono stati raccolti pledge per circa 57 miliardi di dollari.
Dalla Banca Mondiale sono annunciati 9 miliardi di dollari l’anno come investimenti addizionali (si veda più avanti); oltre 3 miliardi di dollari di nuove risorse sono state allocate per il Green Climate Fund; 2,7 miliardi per progetti di tutela della salute; 2,6 miliardi per nature-based-solutions per il clima; 1,2 miliardi per progetti di sviluppo, ripresa economica e pace; 2,5 miliardi per le energie rinnovabili; e 1,2 miliardi per la riduzione delle emissioni fuggitive metano. Soldi importanti su progetti concreti di decarbonizzazione, con buona pace dei sostenitori dell’inutilità delle COP.
Il Fondo per le perdite e i danni ha raggiunto dopo cinque giorni di conferenza 725 milioni di dollari (di cui un vergognoso 17,5 milioni dagli Stati Uniti, e ben 108 milioni dall’Italia), anche se l’obiettivo è più che centuplicare la cifra entro la fine del decennio, uno scherzo non da poco. Buoni risultati per il replenishment del Green Climate Fund, che ha superato il primo pledge del 2019 da 10 miliardi raggiungendo i 12,8 miliardi di dollari (300 i milioni allocati dall’Italia, 3 i miliardi dagli USA) e rafforzando un’istituzione chiave dell’Accordo di Parigi.
Il presidente della Banca Mondiale Ajay Banga ha fatto sapere che l’istituto entro il 2025 stanzierà il 45% dei propri finanziamenti annuali a progetti legati al clima, e non più il 35%. Si parla quindi di un totale di oltre 40 miliardi di dollari all’anno, circa 9 in più rispetto all’obiettivo originario. Dipenderà ovviamente da quali progetti avranno l’etichetta “legati al clima”. Da stimare poi entro fine negoziato gli investimenti complessivi presentati dal settore privato, stimolati dall’annuncio del veicolo da 30 miliardi emiratini, Altérra, e dal Global Climate Finance Centre di Abu Dhabi (in partnership con HSBC), che candidano l’EAU a diventare un centro della finanza climatica.
Il premio per lo Stato meno generoso va agli Usa, che si presentano deboli dal punto di vista finanziario, con un presidente, Biden, braccato dal congresso repubblicano climanegazionista e da un’elezione difficile in un Paese sempre più alla deriva sul clima.
Obiettivi di lungo termine
Se nel 2023 sono stati finalmente raggiunti i 100 miliardi di dollari l’anno per i Paesi meno sviluppati fino a metà decennio, ora è fondamentale definire un nuovo obiettivo finanziario post-2025, il cosiddetto New Collective Quantified Goal on Climate Finance. Durante i negoziati sono apparse le prime proposte di scadenze temporali: una a lungo termine entro il 2050, una a medio termine (2035) e un obiettivo a breve termine, da capire se 2027 o 2028.
Il nuovo obiettivo dovrebbe considerare tutte le fonti di finanziamento internazionali, nazionali, pubbliche, private, etc, e massimizzare una base di contributi più ampia. Sarebbe un successo se per la fine di COP28 si stabilisse questo obiettivo, con un goal numerico e l’inizio di una discussione di almeno due misure: la prima è la quantificazione della riduzione del debito, la seconda una tassa globale (magari un mix su shipping, aviazione, produzione dalle fossili) possibilmente da approvare operativamente entro COP30. Vediamoli in dettaglio.
Il tema del debito
Una delle questioni chiave per i Paesi meno sviluppati, che più di tutti dovranno spendere in adattamento (2,4% del PIL per i Paesi dell’Africa Subsahariana), è quella di come il debito pubblico sia un ostacolo sulla transizione energetica e all’adattamento.
A guidare la richiesta di riduzione e cancellazione del debito per il clima sono il gruppo dei Vulnerable20 (Ghana, Barbados, Kenya, Colombia, and Senegal) e il gruppo dell’AILAC – gli 8 Paesi che formano l'Associazione indipendente dell'America Latina e dei Caraibi più Brasile. Con tassi d’interesse insostenibili, che superano il 10-12% della spesa pubblica, è necessaria un’urgente riforma per allentare la pressione. Per il team di Lula l’obiettivo è arrivare a un risultato entro la COP30 in Brasile nel 2025. L’Europa presta attenzione da tempo alla proposta che era già comparsa lo scorso anno nella Brigdetown Agenda.
In una conferenza stampa con la Ministra tedesca per lo Sviluppo Svenja Schulze e l'inviato speciale del Climate Vulnerable Forum per il Ghana, Nana Addo Dankwa Akufo-Addo, è stata presentata la richiesta di un Piano Marshall per la riduzione del debito e che le nazioni industrializzate mettano i propri sussidi ai combustibili fossili nei Fondi per le perdite e i danni e per l'adattamento. Nei negoziati ci sarà da aspettarsi battaglia da parte di questo gruppo di Paesi, che però vede già il supporto di vari Stati Europei.
Una tassa per il clima
Sono anni che si discute di una carbon tax globale. Ma si sa che la parola tassa spaventa, e la capacità di implementarla a livello globale è di per sé un meccanismo non semplice. A portare avanti una task force sul tema sono la Francia e il Ghana insieme a un gruppo di Paesi, inclusa Barbados con la battagliera Mia Mottley.
La task force ha preso in considerazione un’ampia gamma di opzioni, comprese le imposte sulle spedizioni internazionali, sull’aviazione, sulle transazioni finanziarie e sui combustibili fossili. Secondo Chrysoula Zacharopoulou, Ministro francese dello Sviluppo, “l’obiettivo della task force non è arrivare a un risultato per la COP di Dubai ma concordare proposte specifiche con la futura presidenza di COP30, entro due anni, a Belem, in Brasile”.
“Se inclusa nel testo finale di COP30, l’implementazione potrebbe poi essere negoziata nelle istituzioni internazionali competenti, come l’OCSE, l’ONU o il G20”, ha dichiarato Avinash Persaud, inviato speciale sulla finanza climatica di Barbados, in un’intervista con Climate Home. “La necessità di risorse aggiuntive a livello internazionale è fondamentale ‒ ha affermato Persaud ‒ il Fondo verde per il clima e il nuovo fondo per Loss&Damage hanno bisogno di risorse reali nell’ordine di miliardi di dollari e non possono provenire così facilmente dalle entrate fiscali esistenti, quindi abbiamo bisogno di entrate aggiuntive”.
Un balzello sull’estrazione delle fossili e sulle emissioni del settore marittimo potrebbero generare rispettivamente 210 e 60 miliardi di dollari l’anno. Una patrimoniale globale dell’1% sui capitali sopra il milione di euro genererebbe oltre 1.000 miliardi. Una proposta chiave da seguire con attenzione se si vuole colmare il gap della finanza.
Banche verdi, clausole di debito resilienti al clima
Le principali istituzioni finanziarie internazionali e i Paesi hanno assunto nuovi impegni per offrire clausole di debito resilienti al clima (CRDC) nei propri prestiti. Queste clausole consentono di sospendere il servizio del debito per dare respiro quando i Paesi sono colpiti da catastrofi climatiche.
Il Regno Unito, la Francia, la Banca Mondiale, la Banca interamericana di sviluppo (IDB), la Banca europea per gli investimenti (BEI), la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banca africana di sviluppo hanno assunto nuovi impegni per espandere i CRDC nei loro prestiti. In totale 73 paesi hanno invitato i donatori a espandere l’uso di queste clausole entro il 2025. L’IDB ha già offerto prestiti per 1,2 miliardi di dollari coperti con CRDC, mentre la Banca Mondiale ha disposto uno stop al debito e agli interessi per due anni per i Paesi colpiti da disastro climatico. “Possiamo sempre ripristinare il nostro debito, ma non possiamo ripristinare la nostra società”, ha affermato Mia Mottley, Prima Ministra delle Barbados, durante l’evento di alto livello sulla finanza del 4 dicembre.
Nessun segnale ancora, secondo un’analisi di Reuters, per un chiaro impegno degli istituti finanziari a fermare finanziamenti diretti al settore oil&gas. A oggi la Banca Europea per gli Investimenti è l’unico dei firmatari della Dichiarazione di Glasgow che impegna a bloccare i prestiti ai progetti sui combustibili fossili.
Diritti Speciali di Prelievo
La Banca africana di sviluppo (AFDB) e la Banca interamericana di sviluppo (IDB) hanno messo a punto un meccanismo ibrido basato sul capitale per convogliare i Diritti Speciali di Prelievo (un particolare tipo di valuta usata dal Fondo Monetario Internazionale, il cui valore è ricavato da un paniere di valute nazionali rispetto alle quali si calcola una sorta di comune denominatore) non utilizzati attraverso le banche di sviluppo. Utilizzando questo modello, i Paesi ricchi prestano i propri DSP alle MDB, che possono utilizzarli per emettere obbligazioni, moltiplicando il capitale disponibile.
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