Le emissioni nette di gas serra nell’Unione europea dovranno essere ridotte del 90% entro il 2040 (rispetto ai livelli del 1990). È questo il nuovo obiettivo climatico annunciato oggi, 6 febbraio, dalla Commissione UE.
Il target, in linea con le raccomandazione del Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici (ESABCC), dovrà essere la tappa intermedia fra il taglio del 55% previsto per il 2030 e l’obiettivo finale di raggiungere le emissioni nette zero nel 2050. L’annuncio arriva come primo passo verso il pacchetto di politiche per il clima e l’energia che dovrà essere elaborato dalla nuova Commissione europea dopo le elezioni di giugno. Insomma, un lascito dell’era von der Leyen che vuole indicare, o meglio ribadire, la direzione da seguire. Lasciando, tuttavia, non poche perplessità sui mezzi con cui giungere al risultato.

La comunicazione della Commissione, l’Impact Assessment e la strategia di carbon management allegati pongono infatti grande enfasi sulle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 e sugli “aiuti” da gas e nucleare. Mentre i tagli del 30% di emissioni auspicati (e presenti nella bozza) per il settore agricolo, sono stati eliminati dal documento finale a seguito delle proteste di queste ultime settimane.

“Dobbiamo assicurarci di avere un approccio equilibrato", ha dichiarato il commissario Wopke Hoekstra. "La grande maggioranza dei nostri cittadini vede gli effetti del cambiamento climatico, vuole protezione, ma è anche preoccupata per il proprio sostentamento”.

Perché un target per il 2040?

La Legge europea sul clima, entrata in vigore nel luglio del 2021, stabilisce l’impegno dell’Unione europea a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. A tale scopo nella legge è indicato un obiettivo intermedio, cioè la riduzione di emissioni nette di gas serra del 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. A questo primo target punta dunque il pacchetto legislativo chiamato Fit For 55, che è stato peraltro aggiustato al rialzo poco più di un anno fa, con un nuovo target del 57%.

Il percorso fra il 2030 e il 2050 non poteva però essere lasciato al caso. E infatti la Legge prevedeva che la Commissione stabilisse un obiettivo per il 2040 entro sei mesi dal primo Global Stocktake, ovvero il bilancio globale sull’implementazione dell’Accordo di Parigi presentato durante la COP28, a dicembre.
Sulla base di un dettagliato Impact Assessment, la Commissione ha dunque presentato martedì 6 febbraio le sue raccomandazione per l’adozione di un target di riduzione delle emissioni del 90% entro il 2040, sempre rispetto ai livelli del 1990. Si tratta, per l’appunto, di una “raccomandazione”, il che significa che l’obiettivo climatico dovrà essere adottato dalla prossima Commissione, che si formerà dopo le elezioni di giugno.
Una volta adottato, l’obiettivo costituirà la base del nuovo NDC (National Determined Contribution) dell’Unione europea, da comunicare all’UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Come ridurre le emissioni del 90%? Il ruolo di CCS e nucleare

Per arrivare a una riduzione netta del 90% delle emissioni, l’Unione europea dovrà mettere in campo tutte le strategie a disposizione per decarbonizzare la sua economia.

Si parte naturalmente dal settore energetico, per il quale “si prevede che entro il 2040 il consumo di combustibili fossili per la produzione di energia diminuirà di circa l’80% rispetto al 2021 e il carbone sarà gradualmente eliminato”. Il processo di decarbonizzazione del sistema energetico nei piani della Commissione prevede l’utilizzo di un ampio ventaglio di tecnologie che, oltre alle rinnovabili, ai sistemi di efficientamento e di stoccaggio, all’energia geotermica e idroelettrica, comprende anche una serie di soluzioni più controverse e in alcuni casi fortemente criticate dalle associazioni ambientaliste, come i sistemi di CCS e CCU (cattura, stoccaggio e utilizzo della CO2), la rimozione del carbonio dall’atmosfera e il nucleare.

Su quest’ultimo punto si è posta particolare enfasi con il lancio, nella stessa giornata del 6 febbraio, di una Industrial Alliance per promuovere e accelerare l’implementazione degli Small Modular Reactor (SMR), piccoli reattori nucleari modulari, su cui sta puntando anche in Italia il movimento di opinione per un ritorno al nucleare.
Secondo Greenpeace, che già in mattinata aveva avuto modo di visionare la bozza del documento, i reattori modulari presenterebbero criticità analoghe a quelli tradizionali (rischi per la sicurezza, scorie e alti costi) e non sarebbero supportati da esempi di successo in nessuna parte del mondo. “Il progetto più avanzato di piccolo reattore modulare, NuScale negli Stati Uniti, è stato annullato proprio a causa dei costi”, scrive l’associazione. E del resto anche il Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici aveva già espresso un parere analogo, dichiarando di non considerare il nucleare come una soluzione utile per raggiungere gli obiettivi climatici al 2030, perché la costruzione di nuove centrali richiederebbe troppo tempo e troppi soldi.

Altro capitolo riguarda la trasformazione dell’industria, che passerà attraverso l’elettrificazione dei processi, l’abbandono dei combustibili fossili e l’adozione, sempre più estesa, di pratiche di economia circolare. Per molti settori, tuttavia, il raggiungimento dei target punta soprattutto sull’utilizzo massiccio di tecnologie CCS. Un approccio che non ha mancato di suscitare aspre critiche da più parti.
“La cattura e lo stoccaggio del carbonio – dichiara ad esempio l’EEB (European Environmental Bureau) in una nota - viene erroneamente proposta come una soluzione per tutte le emissioni industriali, quando dovrebbe concentrarsi sulle emissioni di carbonio che non possono essere prevenute alla fonte attraverso altri mezzi più efficienti in termini di costi. Una dipendenza così massiccia dalla CCS non solo distoglie il denaro dei contribuenti dalle tecnologie disponibili per decarbonizzare l’industria europea nei tempi necessari, ma rischia anche di mantenere la nostra dipendenza dai combustibili fossili per i prossimi decenni”.

Il fallimento sui target per l’agricoltura

Bene, ma non abbastanza. Si potrebbero riassumere così le reazioni del mondo delle associazioni e degli osservatori di politiche climatiche all’annuncio dei nuovi target europei.

“Si tratta di un’importante decisione politica che avrà un forte impatto sul futuro del Green Deal europeo”, commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Ma ora – aggiunge - l’Europa faccia un ulteriore passo in avanti e metta in campo un’ambiziosa azione climatica in grado di raggiungere zero emissioni nette già nel 2040 fissando un calendario (2030 per il carbone, 2035 per il gas e 2040 per il petrolio) per il phase-out dei combustibili fossili”. “Adesso la palla passa ai governi nazionali - conclude Ciafani - e in questa partita sarà cruciale anche il ruolo dell’Italia. Il nostro auspicio è che assuma al più presto una posizione altrettanto ambiziosa come hanno fatto già Germania e Francia, che insieme ad altri 9 Paesi (Spagna, Olanda, Danimarca, Austria, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo e Bulgaria) si sono già espresse a favore di un target ambizioso, cruciale per un nuovo Green Deal Europeo”.

Più critica l’analisi dell’European Environmmental Bureau, che chiosa: “le intenzioni sono buone, ma un eccessivo affidamento su tecnologie insufficienti e costose (leggi CCS) e il fallimento nell’affrontare i problemi legati al sistema alimentare e alle emissioni del settore agricolo gettano seri dubbi sulla possibilità di raggiungere i target”.

L’insoddisfazione per la mancata definizione di target climatici per il settore agricolo è evidenziata anche dalla dichiarazione del think tank italiano ECCO. “Il cambiamento climatico è un rischio per tutti i settori economici – scrivono in una nota - ma in maniera particolare per il settore agricolo, che è uno dei settori che pagherebbe il prezzo più alto per l’inazione contro il cambiamento climatico. Basti pensare che l’alluvione in Emilia-Romagna del 2023 ha provocato quasi 10 miliardi di danni, a cui si aggiungono danni per ulteriori miliardi sommando gli effetti di vari episodi di maltempo sulla penisola e i danni dovuti ai periodi di siccità. Questo settore rappresenta oltre il 10% delle emissioni europee, e pur subendo gli impatti del cambiamento climatico in maniera significativa, ha finora contribuito molto poco alla riduzione delle emissioni, dato che l’agenzia ambientale europea stima una riduzione delle emissioni del solo 4% nel 2030 rispetto al 2005 a politiche attuali”.

“Il settore agroalimentare può e deve contribuire alle ambizioni climatiche dell’UE – aggiunge infine Mathieu Mal, responsabile delle politiche per l'agricoltura e il clima dell’EEB - È quindi molto deludente vedere sfumata un’altra opportunità per fissare un obiettivo ambizioso per allineare il settore agli obiettivi climatici generali. Questa mancanza di ambizione non solo ostacolerà gli sforzi dell’UE per contrastare le emissioni e raggiungere la neutralità climatica, ma, non riuscendo a considerare soluzioni olistiche a lungo termine, non riesce nemmeno a contrastare altri tipi di impatti del settore agroalimentare. Ulteriori ritardi e concessioni a breve termine finiranno per danneggiare gli agricoltori e l’agricoltura dell’UE, oltre a minacciare la sicurezza alimentare a lungo termine”.

 

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Immagine: Ryan Song, Unsplash