Lo aveva annunciato la scorsa estate e ora la Norvegia ha fatto un ulteriore passo avanti verso l’apertura delle proprie acque territoriali al deep sea mining. Lo Storting, il parlamento monocamerale norvegese, ha infatti votato il 9 gennaio per consentire l’esplorazione a fini commerciali dei fondali abissali che ricadono sotto la giurisdizione nazionale.

Se la controversa pratica di estrazione mineraria nell’oceano profondo non è al momento consentita in acque internazionali, ogni nazione è però libera di decidere entro i propri confini, anche marini. E il Governo norvegese aveva appunto già dichiarato a giugno 2023 di essere intenzionato a sfruttare la ricca dotazione di metalli critici, necessari per la transizione energetica, presenti nei propri fondali.

Tuttavia, nonostante riguardi gli affari interni del Paese, la decisione non può che diventare un pericoloso precedente, considerati i gravissimi rischi per gli ecosistemi che un deep sea mining sistematico comporterebbe. “È un giorno vergognoso per la Norvegia”, ha dichiarato Geeenpeace Norway, dando il via a una levata di scudi che coinvolge non solo attivisti e scienziati, ma anche la società civile.

Il voto del parlamento norvegese

Il deep sea mining ha vinto 80 contro 20. Martedì 9 gennaio i membri dello Storting si sono espressi così in favore della proposta del Governo di consentire lo sfruttamento commerciale delle risorse minerarie nei propri fondali oceanici profondi.

Come ha spiegato il ministro dell’Energia Terje Aasland, “un’apertura inizialmente significherà che agli operatori industriali potranno essere concesse licenze per mappare ed esplorare minerali in un’area limitata, non per estrarre”.

L’area in questione è in realtà molto vasta e si estende per circa 280.000 km quadrati (quasi quanto la superficie dell’Italia) nel Mare di Groenlandia, nel Mare di Norvegia e nel Mare di Barents, praticamente fra la costa nord del Paese e le Isole Svalbard. Qui il Norwegian Offshore Directorate (ex Petroleum Directorate) ha individuato consistenti depositi di metalli critici come rame, zinco, manganese, cobalto, litio, e terre rare come il neodimio, cruciale per gli hard disk e i motori elettrici.

È chiaro che la Norvegia, attualmente principale produttore di petrolio dell’Europa occidentale, sta puntando a riposizionare la sua economia in vista dell’uscita dalle fossili. Approfittando delle infrastrutture che la sua industria estrattiva ha già a disposizione, si troverebbe infatti all’avanguardia nel campo del deep sea mining. Il problema sono gli impatti.

Metalli per la transizione, ma i costi per l’ambiente?

L’estrazione mineraria in acque profonde, di cui abbiamo parlato varie volte su queste pagine, è un vero e proprio dilemma della sostenibilità. I suoi promotori, oltre che per ovvie opportunità economiche, dichiarano di essere interessati alle enormi quantità di metalli critici che si potrebbero estrarre dai fondali per garantire alla transizione energetica le necessarie materie prime.

Il problema fondamentale, e ancora difficilmente stimabile, riguarda però gli impatti su ecosistemi estremamente delicati che, oltre a essere ancora in buona parte sconosciuti, sono anche cruciali per gli equilibri e la salute del pianeta. Andare a interferire con la fragile vita degli abissi, attraverso pratiche estrattive anche molto invasive, potrebbe condurre a un vero e proprio disastro ecologico e compromettere la capacità dell’oceano di regolare il clima.

Per questo motivo continua a crescere il movimento di scienziati, attivisti e società civile che chiede una moratoria internazionale per fermare il deep sea mining ovunque. Per le acque internazionali la decisione è in mano all’International Seabed Authority (ISA), che per il momento ha sospeso le concessioni di sfruttamento in attesa della votazione definitiva nel 2025.

Naturalmente il governo norvegese si è affrettato a dichiarare che farà le cose nel modo più attento e sostenibile possibile. “Capisco la preoccupazione per la carenza di conoscenze sui fondali oceanici – ha dichiarato il ministro Aasland – Ma l'apertura di un'area non significa che l'estrazione avrà subito inizio. Piuttosto, rappresenta il primo di molti passi lungo un percorso in cui tutte le parti si baseranno su un approccio precauzionale. Abbiamo una solida esperienza derivante da operazioni offshore prudenti e tecnologicamente all’avanguardia a livello mondiale. La Norvegia garantirà in ogni momento che l’attività mineraria dei fondali marini sia in linea con i nostri obblighi internazionali, tra cui la Convenzione sul diritto del mare e la Convenzione sulla diversità biologica”.

Tuttavia, se la Norvegia cominciasse a concedere permessi estrattivi (e non solo esplorativi), la corsa agli abissi oceanici potrebbe riprendere slancio e, in sede di decisioni internazionali, i lobbisti delle compagnie minerarie avrebbero un importante precedente a cui appellarsi.

 

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Immagine: Stein Egil Liland, Pexels