Gli ecosistemi degli abissi oceanici possono tirare un sospiro di sollievo. Per ora.
Il temuto via libera al deep sea mining, lo sfruttamento minerario delle profondità marine, è stato infatti messo in stand-by: se ne riparlerà nel 2025. Così ha deciso, nel corso di un lungo meeting in Giamaica, il Consiglio dell’International Seabed Authority, l’organismo internazionale che ha il compito di regolare la gestione dei fondali marini al di fuori delle acque territoriali dei singoli Paesi.
È una buona notizia per il movimento di scienziati e attivisti che si batte contro questa nuova forma di estrattivismo potenzialmente devastante. Ma non è una vittoria, dal momento che la richiesta di una moratoria totale per il deep sea mining non è stata presa in considerazione.
Nauru, The Metals Company e la posta in gioco
La 28esima sessione del Consiglio dell’International Seabed Authority, svoltasi nelle ultime due settimane a Kingston in Giamaica, era particolarmente attesa e temuta per un motivo preciso. Il 9 luglio scorso scadeva infatti l’ultimatum che Nauru aveva lanciato nel 2021 ai membri dell’ISA: appellandosi alla cosiddetta “regola dei due anni”, il governo dello Stato insulare pretendeva di costringere l’organismo internazionale a dare il via libera, entro tale data, allo sfruttamento minerario su scala industriale dei fondali del Pacifico, anche senza aver stabilito gli standard e i regolamenti necessari per cercare di proteggere gli ecosistemi. Nauru è infatti titolare, insieme alla società mineraria The Metals Company, di diverse concessioni esplorative nella Clarion Clipperton Zone, la faglia oceanica più ricca di metalli critici (cobalto e nichel soprattutto) al momento conosciuta, e smania per mettere a frutto le ingenti ricchezze nelle profondità marine.
Il rischio di vedere cominciare la corsa allo sfruttamento dei fondali abissali senza avere la minima idea degli impatti, potenzialmente catastrofici, su ecosistemi incontaminati e fragilissimi, aveva perciò messo in allarme la comunità scientifica internazionale, che insieme a svariate Ong e a diversi Paesi, ha chiesto una moratoria internazionale sul deep sea mining.
L’ISA prende tempo
Il meeting di Kingston aveva perciò tutti gli occhi puntati e l’ISA ha evidentemente pensato che fosse meglio prendere tempo. “Il Consiglio – si legge nella dichiarazione ufficiale - ha espresso l'intenzione di proseguire i lavori sui regolamenti di sfruttamento in vista della loro adozione durante la 30esima sessione nel 2025. A tal proposito, il Consiglio ha adottato una tabella di marcia per proseguire i lavori fino alla seconda parte della sua 29esima sessione nel luglio 2024”.
Secondo gli osservatori, questa decisione non impedirà comunque a Nauru e The Metals Company di presentare una richiesta per lo sfruttamento delle proprie concessioni, ma dovrebbe rendere la cosa molto più difficile, visto che ora c’è un processo decisionale dell’ISA in atto, scritto nero su bianco.
Il problema, tuttavia, è solo rimandato. Cosa accadrà fra due anni? È improbabile che le attuali conoscenze sull’oceano profondo progrediscano a tal punto da renderci sicuri circa gli impatti di qualsiasi attività umana sugli ecosistemi abissali, e soprattutto su come evitarli.
Anzi, ogni nuovo studio pubblicato non fa che confermare gli altissimi rischi che si corrono. Solo pochi giorni fa ad esempio, uno studio uscito su Current Biology denunciava un calo netto della fauna marina in un’area a largo del Giappone, dove nel 2020 si sono condotti i primi test di deep sea mining per l’estrazione di cobalto: in alcune zone la presenza di fauna si è addirittura dimezzata.
Ed è solo l’inizio.
Immagine: un esemplare di umbo Octopus (NOAA Office of Ocean Exploration and Research, 2019 Southeastern U.S. Deep-sea Exploration)