“I miei valori non sono cambiati”: così la candidata democratica alla Casa Bianca, Kamala Harris, nella sua recente intervista alla CNN, ha voluto rassicurare gli elettori sulle sue politiche ambientali. Ma se non sono cambiati i suoi valori, negli ultimi anni sembrano essere cambiate alcune delle sue posizioni. In particolare, a preoccupare e accendere il dibattito da una parte all’altra dello spettro politico è la posizione della candidata sull’hydraulic fracturing, la tecnica, nota come fracking, con cui viene estratta la maggior parte di quel gas naturale che nell’ultimo decennio ha trasformato gli Stati Uniti nel primo esportatore al mondo di questo combustibile fossile.

Nella già citata intervista alla CNN Harris ha specificato di non avere intenzione di vietare il fracking, così come non lo ha fatto l’amministrazione che l’ha vista nel ruolo di vicepresidente. Un eventuale governo a sua guida, ha spiegato la candidata, perseguirebbe politiche ambientali che non escludano questa tecnica di estrazione. "Possiamo crescere e possiamo rafforzare una fiorente economia fatta di energia pulita senza vietare il fracking", ha detto.

Eppure, nel 2019, durante la sua precedente corsa alla presidenza, quando sfidava in affollate primarie quello che poi sarebbe diventato il presidente degli Stati Uniti, Kamala Harris aveva espresso posizioni diverse. "Non c'è dubbio che sono a favore del divieto al fracking", aveva detto l’allora senatrice della California durante un'assemblea pubblica sulla crisi climatica ospitata dalla CNN. La virata moderata della vicepresidente è probabilmente il risultato dei tre anni e mezzo passati al fianco di Joe Biden, un presidente che si è voluto posizionare come alleato dei lavoratori e che si definisce il più pro sindacati della storia americana e sotto la cui amministrazione le estrazioni sia di gas naturale che di petrolio hanno raggiunto picchi storici.

Fracking idraulico, i rischi di una tecnica controversa

La tecnica del fracking, tuttavia, è controversa, non solo perché da tempo una parte dell’opinione pubblica ne denuncia l’alto impatto ambientale, ma anche perché l’aumentata disponibilità di gas naturale rischia di distogliere sforzi dallo sviluppo di fonti rinnovabili. In vista di una consultazione elettorale che tiene il mondo col fiato sospeso, la questione diventa particolarmente delicata poiché potrebbe spostare voti cruciali. Infatti, secondo dati del Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti, fino al 95% dei nuovi pozzi perforati oggi sono fratturati idraulicamente, il che, secondo la US Energy Information Administration, nel 2018 rappresentava due terzi della produzione totale di gas naturale commercializzato negli Stati Uniti e circa la metà della produzione di petrolio greggio di questa nazione.

La questione si fa ancora più cruciale se si sovrappone la mappa dell’orientamento elettorale degli americani e quella della diffusione della pratica del fracking. Infatti, sempre secondo dati dell’EIA, dei 34 stati che producono gas naturale, 5 rappresentano oltre il 70% della produzione nazionale. Dopo il Texas, che produce il 24,6% del gas naturale americano, c’è la Pennsylvania, con il 21,8%. E se il primo è uno stato in cui poche sono le speranze che prevalga il voto democratico, il secondo, la Pennsylvania, è un territorio su cui sono puntati gli occhi di tutto il paese, poiché è considerato uno dei più contesi swing state, con recenti oscillazioni tra le due parti politiche. Qui nel 2016 vinse Trump con poco più di 44.000 voti, mentre nel 2020 vinse Biden, che di questo stato è nativo, con poco più di 81.000. E qui l'industria del gas crea economia ma suscita anche preoccupazioni ambientali legate in particolare al rischio di perdite di metano e di contaminazione delle acque. Una polarizzazione che i democratici locali sono riusciti a superare promettendo regolamentazioni più rigorose, senza spingersi fino al divieto.

L’amministrazione Biden ha scelto una posizione simile con Il Super Emitter Response Program che l’Environmental Protection Agency ha lanciato a fine 2023 e che prevede ispezioni periodiche dei siti di estrazione per monitorare eventuali fuoriuscite di metano. Tuttavia, le perdite di metano non sono l'unico problema legato all’estrazione del gas naturale. Esistono anche i terremoti provocati dal fracking: uno studio del Bureau of Economic Geology dell'Università del Texas di Austin rivela che il numero di terremoti in Texas è raddoppiato. Inoltre, a preoccupare sono anche le sostanze chimiche utilizzate nella fratturazione idraulica e che uno studio del 2022 sulle aree della Pennsylvania interessate da questa tecnica estrattiva collega alla diffusione della leucemia infantile.

L’ambiguità strategica di Kamala Harris su clima e fracking

Il fracking è quindi un terreno potenzialmente scivoloso per i democratici, e sulla questione la Pennsylvania è lo specchio di una nazione in cui le posizioni dei due schieramenti politici, così come dell’opinione pubblica, sono complicate dal fatto che durante l’amministrazione Biden gli Stati Uniti hanno toccato livelli record di produzione ed esportazioni di combustibili fossili, risultati in una grossa spinta economica e in posti di lavoro di cui i democratici hanno tutto l’interesse a prendersi il merito.

Inevitabilmente, quindi, sulla questione, come su altri temi ambientali, Kamala Harris ha deciso di mantenere una posizione di “ambiguità strategica”, come l’hanno definita alcuni suoi assistenti nel corso di rivelazioni fatte all’agenzia di stampa Reuters in cui hanno fatto capire che la candidata non vuole alienarsi il supporto degli stati produttori di gas e dato a intendere che le sue scelte su questi temi tenderanno ad allinearsi con le politiche dell’amministrazione Biden più che con quelle da lei espresse quando era in corsa alle primarie del 2020, durante le quali si era posizionata come uno dei candidati più a sinistra.

Amministrazione Biden che ha indubbiamente i suoi meriti ambientali. Dal ripristino dell’accordo di Parigi che Trump aveva abbandonato, ai crediti d’imposta per i produttori di auto elettriche, fino all’Inflation Reduction Act del 2022 che contiene il più grande investimento in clima ed energia nella storia americana, la presidenza che sta per finire è riuscita ad attirarsi le lodi di molti gruppi ambientalisti per aver finalmente messo gli Stati Uniti sulla strada giusta per combattere i cambiamenti climatici, dandosi il target specifico di raggiungere un’economia a zero emissioni nette entro il 2050, con l’obiettivo intermedio di un taglio del 50-52% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030.

La prudenza di Harris avvantaggia Trump?

Nonostante i meriti bipartisan della presente amministrazione, il cambio di rotta di Kamala Harris non è passato inosservato al campo repubblicano ed è diventato preda facile per l’avversario Donald Trump che, a fine luglio, durante comizi in Minnesota e Pennsylvania, ha accusato Harris di aver cercato di nascondere la sua passata opposizione al fracking e di avere in realtà posizioni ambientali estreme: “Lei è contro il fracking, è contro le trivellazioni petrolifere, vuole che tutti abbiano un'auto elettrica e la condividano con i vicini di casa”, ha detto.

Intanto il candidato repubblicano sceglie un vice che ha un record di negazionismo climatico, si impegna con gli elettori a revocare decine delle leggi ambientali promulgate da Biden, promette agli americani l’energia più a buon mercato al mondo e ai produttori di combustibili fossili agevolazioni fiscali. Per anni Trump ha usato gli investimenti dell’attuale amministrazione sul settore dei veicoli elettrici come spettro per attaccare Biden e se di recente sembra aver ammorbidito la sua posizione sul trasporto elettrico è stato, per sua stessa ammissione, solo perché ha incassato il supporto di Elon Musk, CEO di Tesla, il più grande produttore di veicoli elettrici.

Ma molti democratici vogliono vedere posizioni nette e azioni concrete sulla questione climatica e a Harris serve più che il semplice spauracchio di un cinico presidente antiambiente per vincere il favore di un’opinione pubblica sempre più lontana dalle urne ma sempre più angosciata dal futuro. Nonostante le politiche di Biden, gli Stati Uniti sono ancora il secondo più grande inquinatore a livello mondiale dopo la Cina (che però ha oltre il quadruplo della popolazione). Al momento gli obiettivi di riduzione delle emissioni dell’amministrazione Biden-Harris sembrano ancora lontani e, se Harris dovesse ritrovarsi alla Casa Bianca, avrebbe il difficile compito di accelerare. Eppure dalla sua campagna continuano a venire poche indicazioni sulle sue politiche ambientali e resta il dubbio su quali strumenti la sua amministrazione utilizzerebbe per mettere gli Stati Uniti sulla giusta strada.

Kamala Harris e l’ambiente, da un passato ambizioso a un futuro incerto

Se la realpolitik dell’esperienza da vicepresidente ha insegnato a Harris il pragmatismo necessario per governare, a due mesi dalle elezioni appellarsi ai propri valori equivale a chiedere ai cittadini americani di guardare al suo passato e fidarsi del suo record ambientale.

La candidatura alle primarie di Harris nel 2019 può fornire qualche indicazione. All'epoca, la candidata supportava una tassa sull'inquinamento climatico e azioni penali nei confronti delle aziende di combustibili fossili. Sempre nel 2019, da senatrice, fu tra i primi a sostenere il Green New Deal, un ambizioso piano per far passare rapidamente gli Stati Uniti a un'economia verde promosso dall'ala più progressista del partito. Nel ruolo di procuratrice generale della California, inoltre, Harris si era distinta per aver avviato un’indagine su ExxonMobil accusata di aver ingannato l'opinione pubblica sui cambiamenti climatici, per aver perseguito la società di oleodotti Plains All-American Pipeline per una fuoriuscita di petrolio al largo della costa della California nel 2015 e per aver ottenuto un risarcimento di 86 milioni di dollari dalla Volkswagen per aver falsificato i test sulle emissioni.

Ancora prima, come procuratrice distrettuale di San Francisco, Harris aveva creato la prima unità di giustizia ambientale del paese dedicata ai crimini ambientali a danno dei residenti più poveri del distretto. Anche il vicepresidente scelto da Harris può vantare un passato che lascia ben sperare: come governatore del Minnesota, infatti, Tim Walz ha firmato una legge che richiede a tutte le centrali elettriche dello stato di utilizzare il 100% di energia pulita entro il 2040.

Forse non basta un curriculum a chiarire all’elettorato americano cosa, concretamente, l’aspirante presidente e il suo team faranno per limitare la crisi climatica, ma tra gli ambientalisti c’è speranza, e finora Kamala Harris ha ricevuto il sostegno di gruppi come il Sierra Club, la League of Conservation Voters e il Green New Deal Network, nonché dell'ex inviato statunitense per il clima John Kerry.

 

In copertina: Kamala Harris fotografata da Gage Skidmore, via Flickr