Crescono di ora in ora gli endorsement per la vicepresidente Kamala Harris, diventata di fatto la candidata democratica per la presidenza USA al posto di Joe Biden, dopo il suo annuncio di domenica di voler lasciare la corsa elettorale. Oltre allo stesso presidente Biden (“Offro il mio pieno sostegno e l'appoggio a Kamala come candidata del nostro partito quest'anno”), è arrivato il supporto dal Alexandra Ocasio-Cortez, Bill e Hillary Clinton, Nancy Pelosi e una schiera nutrita di oltre 100 senatori e senatrici e membri del Congresso pronti a sostenere Harris alla Convention Democratica (DNC) di Chicago, dal 19 al 22 agosto.
Grande assente, Barack Obama, che per il momento preferisce rimanere imparziale qualora si riuscisse a imporre un nuovo candidato entro la Convention, una posizione già adottata con la candidatura di Joe Biden nel 2020, prima che Bernie Sanders si ritirasse dalla corsa, segno distintivo della sua grande qualità di statista.
105 giorni, tanto durerà la lunga ed estenuante campagna elettorale, se Kamala Harris, 59 anni, originaria di Oakland, California, riuscirà a vincere la nomination di fine agosto. Per vincere dovrà saper conquistare gli elettori più giovani, il mondo latino, afroamericano e soprattutto asiatico-americano (la madre Shyamala Gopalan è di origini tamil-indiane), catturando gli stati chiave per le elezioni 2024, ovvero Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin, quest’ultimo stato tradizionalmente democratico ma strappato da Trump nel 2016. Tutti stati dove Kamala Harris sarà spesso presente, per guadagnare il numero più alto di voti.
Per il momento però deve puntare tutto sul consenso dei quasi 4.000 delegati e 700 super-delegati (ex presidenti, leader di partito, eletti) della DNC che dovrebbero riunirsi virtualmente entro il 7 agosto per fare una preverifica sul supporto della candidata o di eventuali contendenti che possono ancora emergere (ma per farlo devono raccogliere le firme di almeno 300 delegati della DNC che non abbiano già firmato il supporto). Una corsa aperta che però non deve far perdere troppo tempo per la campagna politica contro il suo temibile avversario, Donald Trump, fortemente rafforzato dopo il fallito attentato.
Kamala Harris e la transizione verde
Per i lettori e le lettrici di Materia Rinnovabile è di sicuro interesse capire come si posizionerà Kamala Harris sulla transizione ecologica americana. “Joe Biden lascia il suo incarico alla Casa Bianca, con un record solido sulle politiche per combattere il cambiamento climatico, più di qualsiasi altro presidente nella storia degli Stati Uniti", ha dichiarato a CarbonBrief Jason Bordoff, direttore del Columbia Center on Global Energy Policy. “Ha promulgato la più grande legge sul clima della storia, l’Inflation Reduction Act (IRA) del 2022 che alloca centinaia di miliardi di dollari in sussidi fiscali e sovvenzioni per progetti energetici a basse emissioni di carbonio, catene di approvvigionamento, acquisto di auto elettriche e molto altro. Biden ha anche emanato importanti regolamenti per la riduzione delle emissioni, è rientrato nell'accordo di Parigi sul clima che il presidente Trump aveva abbandonato e ha inserito il clima nei processi decisionali di tutto il governo”.
Ora però la domanda degli addetti ai lavori è la seguente: riuscirà Kamala Harris a preservare la sua legacy e ad avere la meglio su un candidato come Trump che ha già promesso di espandere il più possibile le estrazioni di gas e petrolio? Come senatrice degli Stati Uniti, Harris è stata nel 2019 una delle prime co-sponsor del Green New Deal, un progetto per la transizione del paese per produrre il 100% di elettricità rinnovabile entro il 2030.
Il Green New Deal è stato presentato per la prima volta da Alexandria Ocasio-Cortez e dal senatore Edward Markey (già autore della prima, fallimentare, proposta sul clima del 2010 durante l’amministrazione Obama) come progetto per portare l’attenzione mediatica sulla transizione ecologica e come piattaforma per i candidati progressisti alla presidenza. La stessa Harris, nella sua campagna elettorale per le primarie nel 2020, presentò un piano da 10.000 miliardi di dollari per portare l’economia americana a emissioni nette zero entro il 2045, cercando il voto delle generazioni più giovani, specie in California.
Certo la neocandidata presidenziale ha un solido track record di iniziative per l’ambiente e contro l’industria dell’oil&gas. Nel 2016, in qualità di procuratrice generale della California, ha indagato la Exxon Mobil per il sospetto che la società multinazionale avesse ingannato il pubblico e i suoi azionisti sui rischi del cambiamento climatico e che le sue dichiarazioni pubbliche violassero le leggi sui titoli e altri statuti. Nel 2015 ha citato in giudizio la Plains All-American Pipeline per una fuoriuscita di petrolio al largo della costa californiana e ha ottenuto un'incriminazione penale della società. L’anno successivo ha ottenuto un accordo da 86 milioni di dollari per lo stato della California dalla Volkswagen per le accuse di aver imbrogliato nei test sulle emissioni diesel.
Grande pro-abortista, tema su cui giocherà una buona parte della campagna elettorale, esperta di diritto (fondamentale per attaccare Trump su tutti gli illeciti), ma anche aperta a un approccio meno partigiano e più moderato, il clima sicuramente sarà una battaglia chiave per ottenere il voto dei più giovani, facendo però attenzione al tema della just transition e dell’impatto economico ed occupazionale dell’IRA e di altre potenziali proposte di riforma economica che potrebbero emergere nei prossimi mesi nei piani della Harris. Se eletta, la sua sarà una presidenza decisamente più progressista rispetto a quella di Biden, spingendo per l'assistenza sanitaria universale e chiedendo al contempo benefici fiscali più generosi per gli americani della classe operaia, da pagare con maggiori aumenti delle imposte sulle imprese.
La sfida elettorale, a suon di dollari
Donazioni rilevanti si stanno già riversando sulla campagna presidenziale di Kamala Harris. A sole 24 ore dalla rinuncia di Biden, il team della vicepresidente avrebbe raccolto 49,6 milioni di dollari in donazioni dalla sua base elettorale (un quarto di quanto raccolto negli ultimi mesi da Donald Trump), esclusi cioè i grandi finanziatori privati e i superPAC, i Political Action Commitee che non possono donare direttamente alle campagne elettorali dei candidati, ma possono raccogliere e spendere qualsiasi cifra per sostenerle indirettamente.
Un ottimo inizio secondo molti commentatori, anche se rimane una goccia rispetto al tesoro che dovrà ammassare la candidata nei prossimi mesi. Secondo il sito OpenSecrets.org che documenta i contributi alle campagne elettorali americane, per le elezioni del 2020 sono stati spesi oltre 14,4 miliardi di dollari (circa 13,2 miliardi di euro). Di questi, circa 5,7 miliardi di dollari sono stati destinati alla campagna presidenziale, di cui 2,4 miliardi al solo Joe Biden, il doppio di quanto raccolto da Hillary Clinton nel 2016.
Ma mentre nel 2020, a causa anche del Covid, gli elettori avevano grande liquidità disponibile, nel 2024, a causa dell’inflazione USA, i contributi potrebbero ridursi significativamente, nonostante la retorica polarizzante che si prevede dominerà la sfida mediatica. Dunque per Harris non sarà facile eguagliare la performance di Biden.
Intanto però Harris potrà accedere al tesoretto di guerra accumulato da Joe Biden (96 milioni di dollari) e può già contare sul supporto di ricchi finanziatori come il venture capitalist Reid Hoffmann, la piattaforma progressista ActBlue, il finanziere Alexander Soros (figlio dell’Oracolo di Omaha, George) e vari esponenti dell’industria energetica green, del mondo dello spettacolo e del settore assicurativo.
"Le porte si apriranno", ha dichiarato alla rete televisiva NBC News Chris Korge, responsabile finanziario del Biden Victory Fund. "Ci sono state molte persone che hanno trattenuto i contributi ma che ora li erogheranno, perché l'intera situazione stava paralizzando la nostra raccolta fondi." Ma il grande supporto non arriverà solo dai grandi donatori. Per Kamala Harris sarà necessaria una macchina elettorale digitale e pubblica iper-efficiente come quella di Obama per animare le comunità elettorali e scaldare i cuori. E magari far mettere mano al portafoglio.
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Immagine di copertina: Kamala Harris fotografata da Gage Skidmore via Flickr