“Mi sento frustrato. Le prove scientifiche sono schiaccianti. Sappiamo cosa sta succedendo, sappiamo perché sta succedendo, sappiamo quanto gravi saranno le conseguenze e ancora, dopo tanti anni, non stiamo facendo praticamente nulla per fermarlo”. A dirlo è Alex Sen Gupta, professore presso il Climate Change Research Centre dell'Università del Nuovo Galles del Sud, in una lettera sui suoi stati d’animo legati al cambiamento climatico nell'ambito dell'iniziativa Is This How You Feel? del comunicatore scientifico Joe Duggan.

La crisi climatica non è più una minaccia remota. La temperatura media globale è aumentata di quasi 1,3°C dall'epoca preindustriale, il che è correlato a un significativo peggioramento delle condizioni di salute, dalle malattie respiratorie alla diffusione di malattie trasmesse da vettori. La salute mentale non fa eccezione. Gli eventi meteorologici estremi, ad esempio, contribuiscono ad aumentare i tassi di PTSD, depressione e ansia, come dichiarato da agenzie quali l'OMS e IPCC. L'ecoansia si aggiunge a questa equazione.

La frustrazione di Sen Gupta è una delle tante forme di ecoansia. Definita dall'American Psychological Association come “paura cronica del disastro ambientale”, un numero crescente di persone in tutto il mondo si identifica in questa descrizione, sia di fronte alla crisi climatica che a problemi ambientali come la perdita di biodiversità e l'inquinamento.

Benvenuti nell'era dell'ecoansia

L'ecoansia comprende un insieme di emozioni che nascono quando una persona si rende conto dell'entità degli impatti presenti e futuri della crisi ambientale e climatica. Questi sentimenti includono tristezza, angoscia, paura, impotenza o rabbia e possono anche tradursi in sintomi fisici. Sebbene l'ecoansia non rientri tra le malattie mentali, la psicoterapeuta e leading researcer in psicologia climatica Caroline Hickman l'ha classificata su una scala che va da lieve a critica. Da sentimenti gestibili di angoscia e qualche turbamento a conseguenze significative sul funzionamento quotidiano: impossibilità di frequentare la scuola o il lavoro, pensieri suicidi o attacchi di panico.

Hickman ha anche condotto un'indagine internazionale sull'argomento, pubblicata su The Lancet. Coinvolgendo 10.000 persone di 10 paesi diversi, di età compresa tra i 6 e i 25 anni, i risultati hanno mostrato che il 75% dei partecipanti ritiene che “il futuro sia spaventoso” e il 56% che “l'umanità sia condannata”. Quasi la metà degli intervistati ha dichiarato che i sentimenti e i pensieri sul cambiamento climatico influenzano negativamente la loro vita quotidiana, compresa la capacità di concentrarsi e studiare, di mangiare, di riposare e di intrattenere relazioni.

L'ecoansia colpisce persone di tutte le età, ma è particolarmente diffusa tra le popolazioni più giovani, spesso definite “generazione clima”. Questi giovani sono cresciuti assistendo agli effetti concreti del cambiamento climatico, come incendi boschivi, inondazioni e temperature estreme. Inoltre, la loro ansia è alimentata non solo dalla crisi ambientale in sé, ma anche dalla percezione dell'inazione dei governi e delle generazioni più anziane.

Trasformare l'ecoansia in un alleato

La terapia psicologica può essere di grande aiuto per affrontare l'ansia da clima, aiutando gli individui a comprendere e normalizzare queste emozioni. Tuttavia, Hickman mette in guardia dal patologizzare l'ecoansia e sottolinea che si tratta di una reazione sana ai problemi del mondo reale. La crisi climatica non sarà risolta a breve, quindi l'ecoansia è destinata a persistere e i tentativi di eliminarla rischiano di invalidare le legittime preoccupazioni delle persone. Gli sforzi dovrebbero invece essere diretti a convalidare queste emozioni e a superare quelle che minacciano direttamente la salute e la vita quotidiana della persona.

Un passo avanti: invece di essere percepita come un ostacolo, l'ansia ecologica può diventare uno stimolo, sostengono ricercatori come Britt Wray, autrice di Generation Dread. La sfida consiste nell'incanalare quest'ansia in azioni significative, invece di lasciare che porti alla paralisi o alla disperazione. A tal fine, è fondamentale stabilire le responsabilità degli attori coinvolti nell'attuale situazione di crisi. Come afferma l'indagine di The Lancet, un'azione concreta a favore del clima e dell'ambiente da parte dei decisori politici può alleviare i sentimenti di abbandono, frustrazione e rabbia delle persone. Il ruolo dei cittadini in questo percorso è quello di responsabilizzare i governi e le aziende e di impegnarsi in un'azione collettiva.

Inoltre, è fondamentale costruire reti di supporto che offrano resilienza emotiva. Spazi sicuri e ambienti comunitari aiutano a trasformare i sentimenti di impotenza e disperazione in motivazione. Come dice Matteo Innocenti, psichiatra e autore del libro Ecoansia (Erickson, 2022): “La minaccia esistenziale posta dal cambiamento climatico è ben più profonda delle semplici conseguenze fisiche. [...] Per proteggere il benessere degli individui e delle società dobbiamo trovare dei modi per aumentare la resilienza non solo nell’ambito delle infrastrutture fisiche, ma anche in termini di assistenza sociale e aiuto individuale. Oltre al progresso tecnologico, abbiamo bisogno di compiere passi avanti nelle reti comunitarie e promuovere una diffusione capillare delle necessarie competenze comportamentali ed emotive”.

L'ecoansia diventerà sempre più diffusa nella società con l'aumentare della consapevolezza delle minacce climatiche e ambientali globali presenti e future. Se da un lato questi sentimenti possono essere angoscianti, dall'altro possono anche diventare un'ansia pratica, che spinga le persone a cercare risposte a queste preoccupazioni acute, se gestite con un approccio collettivo e con il sostegno della comunità. Il rimedio all'ecoansia è lo stesso di cui abbiamo bisogno per garantire un futuro sicuro e sano al pianeta e a tutti gli esseri viventi che lo abitano: affrontare la crisi climatica e ambientale.

 

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Immagine: School Strike for Climate, Flickr