da Baku - “Adattamento significa sopravvivenza per i paesi come il nostro”, tuona il ministro del Madagascar Max Andonirina Fontaine durante un dialogo ministeriale alla COP29 di Baku. Con la pubblicazione del Piano nazionale di adattamento (NAP) del clima di due anni fa, pensato per rendere resiliente la quarta nazione più vulnerabile alla crisi climatica al mondo, Fontaine ha fatto i compiti a casa.
Lotta alla desertificazione, supporto all’agricoltura e sistemi di allerta precoce in caso di disastri climatici sono i nodi cruciali. C’è un problema però: il Madagascar non dispone delle risorse finanziarie per metterli in pratica. Servirebbero almeno 7 miliardi all’anno. Un gap tra risorse necessarie all’adattamento e fondi a disposizione che non è peculiare del solo Madagascar. Lo spiega bene il The Adaptation Gap Report 2024 che l’agenzia ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) ha presentato lunedì 18 novembre a Baku.
L’enorme gap sulla finanza per l’adattamento
Sebbene il flusso finanziario totale sia aumentato dai 22 miliardi di dollari del 2021 ai 28 del 2022, per rispondere alle vulnerabilità dei paesi più poveri e meno responsabili del cambiamento climatico sono necessari centinaia di miliardi. Tra i 215 e 387 miliardi all’anno, specifica il report. Basti pensare che l’obiettivo di raddoppiare i 19 miliardi di contributi entro il 2025 fissato dai paesi ricchi col Glasgow Climate Pact ridurrebbe il gap solamente del 5%.
Lo scarso impegno dei paesi donatori sta deludendo le attese soprattutto a Baku. Finora per il nuovo round di finanziamenti dell’Adaptation Fund, un fondo dedicato lanciato nel 2007 e supervisionato dalla Banca mondiale, sono stati accreditati solamente 61 milioni di euro, nonostante l'obiettivo dichiarato da parte dell’AD del fondo, Lucas di Pietro, di raggiungere almeno i 300 prima della fine del summit. Così, dai 355 milioni mobilitati a Glasgow in poi è stato un declino. Per ora Spagna (19 milioni di dollari) e Svezia (12,1) hanno fatto le donazioni più consistenti. Nessuna traccia di Regno Unito e Unione Europea. La Germania invece ha dichiarato di voler contribuire. Infatti è proprio da Berlino che gli esperti si aspettano una mossa.
“Credo che gran parte dell’agenda di COP29 sia focalizzata sui New Collective Quantified Goal, per questo non stiamo vedendo progressi sull’Adaptation Fund”, spiega a Materia Rinnovabile Kaveh Guilanpour, vicepresidente di strategie internazionali al Center for Climate and Energy Solutions. “Dalla sua implementazione alla COP di Poznan nel 2008 i contributi arrivano sostanzialmente solo dai proventi del carbon market ma, da quando il prezzo del carbonio è sceso, il fondo vive di contributi volontari di cui la Germania è sempre stata leader.”
Per colmare la mancanza di fondi, Ratu Atonio Rabici Lalabalavu, ministro della sanità delle Fiji, spera in robusti New Collective Quantified Goal, ovvero la nuova cifra che i paesi in via di sviluppo dovrebbero ricevere annualmente per ridurre le emissioni e adattarsi alla crisi climatica. La ministra dell’ambiente del Rwanda, Valentine Uwamariya, per diversificare i finanziamenti punta anche sul carbon market, i cui standard sono stati approvati nella prima settimana della conferenza.
I NAP supportati da capitale privato
Oggi sono 171 (l’87% del totale) i paesi che possiedono almeno una strategia o un Piano di adattamento alla crisi climatica (NAP). Per implementarli, le nazioni più vulnerabili sono in cerca di soldi e da questo punto di vista gli istituti finanziari, come le banche di sviluppo multilaterali, viaggiano nella direzione giusta. A giugno il Madagascar è stato il primo paese a beneficiare del Enhanced Cooperation Framework for Climate Action, un quadro di supporto tecnico, politico e finanziario nato dalla cooperazione tra Banca mondiale e Fondo monetario internazionale. Tra gli interventi sono previsti anche progetti di adattamento che porteranno benefici immediati allo sviluppo del paese.
Secondo Jennifer Sara, direttrice del Dipartimento climate change della Banca mondiale, adattarsi alla crisi climatica fa crescere economicamente. “Oltre un miliardo di persone è esposto ai principali rischi del cambiamento climatico”, spiega durante il tavolo ministeriale di alto livello sui NAP. “Negli ultimi tre anni abbiamo investito 45 miliardi di dollari per supportare oltre 50 paesi. Crediamo fermamente che adattarsi risparmi vite e denaro.”
Il Green Climate Fund (GFC), uno dei numerosi fondi climatici multilaterali, supporta i paesi anche nella vera e propria stesura dei piani. “Offriamo tre milioni per la preparazione dei programmi”, dice la direttrice Achala Abeysinghe. “Se non bastano, interveniamo con altri tre”. Al fine di ampliare le attività e ridurre i rischi nell’erogazione del capitale, GCF ha istituito il Private Sector Facility (PSF), una divisione dedicata progettata per finanziare e mobilitare gli attori del settore privato, inclusi investitori istituzionali, sponsor di progetti e istituzioni finanziarie.
L’Italia in gioco sull’adattamento
Al tavolo ministeriale, in sostituzione del ministro dell’ambiente Picchetto Fratin, c’era Alessandro Guerri, direttore generale affari europei, internazionali e finanza sostenibile. Nel suo breve discorso ha presentato l’Adaptation Accelerator Hub, uno sforzo collettivo annunciato durante lo scorso G7 che promette di contribuire a colmare il divario tra le azioni di adattamento attuate dai paesi più vulnerabili e ciò che è necessario per fronteggiare gli impatti più devastanti. I contributi dell’Italia sono erogati dall’Italia Climate Fund, che si basa su un budget di 4,4 miliardi di euro.
In copertina: Max Andonirina Fontaine during a MEA Dialogue at the sixth session of the UN Environment Assembly (UNEA-6) in Nairobi, Kenya on the 28th of February 2024 © UNEP / Kiara Worth