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Dopo un avvio travagliato, con i paesi indaffarati a discutere alcuni dei punti più spinosi dei negoziati, la COP29 di Baku si è aperta con un annuncio inaspettato: da una proposta del presidente Mukhtar Babayev, i Paesi hanno adottato gli standard del nuovo sistema dei crediti di carbonio. Un meccanismo che secondo l’International Emissions Trading Association ogni anno consentirebbe di ridurre i costi di attuazione dei piani nazionali sul clima di 250 miliardi di dollari e assorbire 5 miliardi di tonnellate di C0₂.
Nonostante sblocchi uno stallo che dura ormai da quasi dieci anni, la decisione ha generato un’ondata di critiche da gran parte della società civile, poiché il piccolo gruppo di esperti (Supervisory Body), designato a strutturare la metodologia e gli standard del meccanismo, ha adottato autonomamente il pacchetto che lunedì 11 novembre, senza una fase di negoziazioni, ha messo d'accordo i paesi. Un approccio definito dagli stessi negoziatori inusuale, che se da un lato velocizza il processo dall’altro potrebbe creare un precedente negoziale e politico importante.
Il Supervisory Body elude la governance delle Nazioni Unite
Quando lo scorso 10 ottobre il gruppo di esperti votò per il framework dell’articolo 6.4 dell’Accordo di Parigi, ovvero le metodologie e i criteri tecnici su cui si baserà il nuovo meccanismo di crediti di carbonio globale, fu Olga Gassan-Zade l’unica componente dell’organismo a esprimere pubblicamente una certa preoccupazione. In un post pubblicato sul Linkedin aveva dichiarato di non essere sicura che la creazione di un meccanismo in grado di eludere la governance delle Nazioni Unite (la CMA, l’insieme delle delegazioni che hanno firmato l’Accordo di Parigi) fosse una buona idea. In sostanza da semplici raccomandazioni da negoziare alla COP, gli standard sono diventati regole “interne” all’organismo che proceduralmente non richiedono alcuna approvazione.
“L'adozione degli standard in via tecnica, ieri confermata dalla COP con l'adozione di una proposta del presidente della COP che di fatto dava il via libera al pacchetto, lascerà sicuramente strascichi e già molte voci si sono levate dalla società civile in questo senso”, spiega a Materia Rinnovabile Jacopo Bencini di EUI Carbon Markets Hub, Istituto Universitario Europeo e presidente dell’associazione Italian Climate Network. “Da un lato, i membri del Supervisory Body hanno agito in espansione del loro originario mandato pur di portare a termine il lavoro e dare avvio al nuovo meccanismo, bloccato da quasi dieci anni. Dall'altro, alcuni paesi e molte associazioni temono che la vicenda crei un precedente operativo e politico da maneggiare con cautela, oltre a considerazioni nel merito degli standard approvati che comunque, oggettivamente, risultano tra i più completi emersi negli ultimi anni e senza dubbio i primi, assieme a quelli CORSIA per l'aviazione, marcati ONU.”
Le reazioni dei negoziatori e della società civile
Paesi, sviluppatori di progetti e investitori privati aspettavano da anni il completamento del libro delle regole per poter cominciare a investire seriamente nel mercato di crediti di carbonio, fino a oggi portato avanti da un mercato volontario colpito da scandali sull'integrità e sugli impatti sociali derivati dai crediti. Nonostante gli strumenti introdotti dall’organismo di vigilanza per mitigare questi rischi, la società civile appare ancora molto scettica sui reali benefici che il mercato del carbonio promette di apportare, soprattutto al Sud globale.
“Adottare la metodologia e il testo del mercato del carbonio il primo giorno della COP senza alcuna discussione e opportunità di negoziare mina la COP e sovverte l’intero processo COP dell’UNFCCC”, ha detto Souparna Lahiri della Global Forest Coalition. Secondo Eduardo Giesen, coordinatore regionale della Global Campaign to Demand Climate Justice, “per più di due decenni di attività i mercati del carbonio si sono rivelati un meccanismo completamente inutile per ridurre le emissioni, una fonte di affari loschi che sono serviti solo ai grandi emettitori per sottrarsi alle proprie responsabilità, aggravare la crisi climatica promuovendo progetti che generano impatti e violare i diritti delle comunità”. Kevin Conrad, direttore esecutivo della Coalition for Rainforest Nations ed ex inviato per il clima per la Papua Nuova Guinea, si trova d’accordo con i nuovi standard, ma non con la maniera in cui sono stati approvati.
In copertina: Mukhtar Babayev © Ministero dell’ambiente del Ruanda