Gli investimenti della Cina nelle energie rinnovabili potrebbero fare la differenza nella lotta globale alla decarbonizzazione. Nonostante il 2024 passerà alla storia come l’anno del picco delle emissioni energetiche, sembrano esserci ancora delle speranze per la transizione energetica. A dirlo è il report Energy Transition Outlook pubblicato da DNV giovedì 10 ottobre, secondo cui le energie rinnovabili cresceranno di 2,2 volte da oggi al 2030, discostandosi dall’obiettivo della COP28 di triplicarle ma favorendo “l’uscita dal carbone e ostacolando la crescita del petrolio” grazie al crollo dei costi dell’energia solare e delle batterie.

In questo scenario, la Cina sta dominando a livello globale nella sfida della neutralità climatica, classificandosi come il primo produttore ed esportatore di energie pulite. Paradossalmente, però, la potenza asiatica dipende ancora fortemente dal carbone, responsabile negli ultimi anni di circa il 30% delle emissioni globali. Una contraddizione da cui Pechino sta cercando una via d’uscita con l’aumento progressivo di impianti a energia solare ed eolica e la produzione ed esportazione di veicoli elettrici nel mondo.

Decarbonizzazione: una priorità per la Cina

Gli ingenti investimenti della Cina nelle energie rinnovabili hanno già raggiunto traguardi inaspettati. A luglio di quest’anno, il paese si è spinto infatti fino al suo obiettivo di avere 1.200 gigawatt di capacità solare ed eolica installata, sufficienti ad alimentare centinaia di milioni di case ogni anno, con sei anni di anticipo rispetto al previsto, secondo il think thank Climate Energy Finance (CEF). Queste misure rispecchiano da vicino i piani del leader Xi Jinping, aventi il duplice obiettivo di raggiungere il picco delle emissioni di carbonio entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060. Una sfida alla decarbonizzazione che mira anche, come sottolineato al Terzo Plenum del Partito comunista cinese, all’indipendenza energetica della Cina dalle altre potenze globali.

In quest’ottica, la capacità eolica globale della Cina ha raggiunto il 65% nel 2023 e, nello stesso anno, secondo gli analisti di Wood Mackanzie, sono stati investiti oltre 130 miliardi di dollari nell’energia solare. Senza contare che, a oggi, ben nove tra i primi dodici produttori mondiali di moduli fotovoltaici, nella classifica stilata da Wood Mackanzie, sono aziende cinesi. Gli investimenti esteri in progetti di energia rinnovabile sono, inoltre, un altro punto di forza della strategia cinese. Secondo il rapporto di Climate Energy Finance, le aziende cinesi avrebbero infatti giù impiegato 109,2 miliardi di dollari in investimenti diretti esteri (IDE) dall'inizio del 2023, con un’attenzione particolare agli impianti di produzione, ai veicoli elettrici e le relative batterie, all'energia idroelettrica, solare ed eolica, ai sistemi di accumulo delle batterie e alla trasmissione di elettricità.

La concorrenza cinese e i timori di Europa e Stati Uniti

L’innegabile crescita della Cina nel settore energetico ha allarmato, al contempo, gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Il ricorso al tema della “concorrenza sleale” e delle regole del commercio internazionale violate dalla nazione asiatica hanno suscitato, quindi, delle misure concrete da parte di Washington e Bruxelles. La Casa Bianca ha quadruplicato già quest’estate, ad esempio, i dazi applicati alle auto elettriche, slittati dal 25 al 100%, con aumenti fino al 25% per le batterie e nuove tariffe al 50% per i pannelli solari. La sovracapacità del mercato interno cinese è sempre più visibile e incombe sui ritardi negli sviluppi di tecnologie pulite da parte dei paesi occidentali. Di fronte a una situazione sempre più tesa, gli Stati Uniti minacciano quindi di vietare le importazioni di veicoli elettrici cinesi, mentre l’UE ha appena confermato l’aumento dei dazi fino al 45% sulle auto elettriche provenienti dalla Cina.

Nonostante le barriere sollevate dal blocco occidentale, gli investimenti di capitale estero da parte di aziende cinesi, secondo il gruppo di ricerca fDi Intelligence, hanno raggiunto, però, i 162,7 miliardi di dollari nel 2023: la cifra più alta da quando sono iniziate le rilevazioni 20 anni fa. A supporto della Cina sono subentrati, in particolare, i paesi connettori, ossia stati considerati dei nodi fondamentali per i commerci internazionali come Thailandia, Indonesia, Brasile, Ungheria e Marocco, più interessati da flussi di commercio e investimenti cinesi da quando USA e UE hanno iniziato a erigere barriere commerciali più stringenti.

Cina, gli ostacoli nella transizione energetica

Il raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni obbliga la Cina a scelte ponderate che, secondo Cimate Energy Finance, dovranno focalizzarsi sull’efficienze energetica, la decarbonizzazione del settore siderurgico, il miglioramento della connettività della rete e l’affinamento di tecnologie per l’accumulo dell’energia. La rete elettrica della Cina rappresenta infatti un ostacolo importante alla transizione energetica, considerando la necessità di trasportare l'elettricità generata da fonti rinnovabili negli angoli più remoti del paese. In questa direzione, la Cina ha promesso un investimento di circa 800 miliardi di dollari entro il 2030 per modernizzare la rete di trasmissione e il software sottostante che controlla i flussi di elettricità verso gli utenti residenziali, commerciali e industriali.

Per affrancarsi completamente dai combustibili fossili, la Cina dovrà inoltre rinunciare alle fonti fossili, dismettere le vecchie centrali elettriche a carbone e provvedere alla trasformazione di un mercato interprovinciale controllato da State Grid, società elettrica a capo della maggior parte del sistema elettrico cinese, in uno nazionale e ramificato in tutto il paese. Le sfide non mancano quindi alla potenza asiatica per raggiungere la promessa della decarbonizzazione, ma le premesse, guardate con sospetto dal resto del mondo, lasciano ben sperare.

 

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Immagine: Envato