Anche la Thailandia si è stancata di raccogliere i rifiuti in plastica di mezzo mondo. Come annunciato un anno fa, il 1° gennaio 2025 è entrato ufficialmente in vigore il divieto di importazione di rottami in plastica entro i confini del regno di re Vajiralongkorn.

Il Paese asiatico aveva visto un’impennata nell’import di rifiuti a partire dal 2018, quando la Cina, gettando notevole scompiglio nell’industria globale della plastica, aveva annunciato il suo stop all’arrivo di plastica da riciclare da Europa, America, Giappone e Corea.

Secondo alcuni movimenti ambientalisti, che si sono battuti in questi anni per raggiungere il risultato, la Thailandia potrebbe ora cogliere l’occasione per posizionarsi come leader regionale nella lotta al cosiddetto “colonialismo dei rifiuti” e nella regolamentazione del loro traffico transfrontaliero.

Le rotte della plastica e lo stop della Thailandia

Il divieto appena entrato in vigore è stato approvato dal Ministro dell’Ambiente e delle Risorse naturali thailandese a dicembre 2024. Ma in realtà la campagna per la sua implementazione era in corso già da diversi anni.

A partire dal 2018, la Thailandia era infatti diventata una delle destinazioni chiave per l’export di rifiuti plastici da Paesi sviluppati come gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Giappone, e in misura minore anche l’Unione Europea. Le rotte mondiali della plastica erano quell’anno state rivoluzionate dalla decisione repentina della Cina di chiudere i propri confini ai rifiuti che fino ad allora, e a partire dai primi anni ‘90, aveva ricevuto, smaltito o riciclato per conto, letteralmente, di mezzo mondo.

La Thailandia si era così vista recapitare, nel giro di un anno, oltre 500.000 tonnellate di rifiuti in plastica: praticamente dieci volte tanto rispetto alla media prima del 2015. Tra il 2018 e il 2021, secondo i calcoli del dipartimento delle dogane, avrebbe importato oltre 1,1 milioni di tonnellate di scarti in plastica. Decisamente troppi per un Paese non ancora dotato di infrastrutture moderne per il riciclo e lo smaltimento, e dove spesso i rifiuti finiscono bruciati con grave danno per ambiente e salute umana.

È così partita, nel 2021, una campagna per chiedere al governo di fermare l’import di rifiuti dall’estero. Come racconta il Bangkok Post, il movimento di opinione partito da alcune Ong ambientaliste come la Ecological Alert and Recovery-Thailand (EARTH), ha raccolto in breve tempo il sostegno di 108 organizzazioni della società civile e ha promosso una petizione su Change.org firmata da 32.000 persone. Il Ministero dell’Ambiente ha dovuto ascoltare, e il divieto è oggi realtà.

Gli attivisti tuttavia non abbassano la guardia. “Sebbene questo sia un grande passo avanti per la Thailandia – dice ad esempio Punyathorn Jeungsmarn dell'Environmental Justice Foundation, intervistato dal Guardian – c'è ancora molto lavoro da fare. Dopo l'entrata in vigore della legge, il governo thailandese deve impegnarsi per garantirne l'applicazione e l'implementazione”. E inoltre, “la legge attuale non affronta il transito di rifiuti di plastica, il che significa che la Thailandia potrebbe essere utilizzata come Stato di transito per inviare rifiuti ai nostri… vicini”.

Le vittime del colonialismo dei rifiuti

I “vicini” di cui parla l’attivista thailandese sono i Paesi del Sudest asiatico che più hanno sofferto i contraccolpi del divieto cinese, assorbendo i flussi di rifiuti che i Paesi occidentali non sapevano più come smaltire. Malaysia, Vietnam e Indonesia sono, in quest’ordine, i Paesi non-OCSE che importano le maggiori quantità di scarti in plastica da nazioni sviluppate, pur non avendo infrastrutture e tecnologie adeguate per gestirli in maniera sostenibile. Si tratta ovviamente di un mercato che porta introiti consistenti, ed è per questo che gli attivisti incontrano resistenza. Secondo le stime dell'Osservatorio della complessità economica (OEC), nel 2022 Malaysia ha importato 238 milioni di dollari di rottami di plastica, il Vietnam 182 milioni e l'Indonesia 104 milioni.

E poi c’è il caso della Turchia, che dopo lo stop cinese, è diventata, come dice un recente report di Greenpeace, “la discarica d’Europa”. Qui finisce infatti un’enorme fetta dei rifiuti in plastica del Regno Unito ma anche di vari Paesi dell’UE, inclusa l’Italia: nel 2023, secondo i dati Eurostat, il Regno Unito ha esportato in Turchia 140.907 tonnellate di rifiuti in plastica, la Germania 87.109, il Belgio 74.141, l’Italia 41.580 e i Paesi Bassi 27.564.

Nel 2021, proprio a seguito di un report di Greenpeace, il governo turco aveva provato a porre un freno alla situazione, bandendo l’importazione di scarti in polietilene. Un divieto poi ritirato in tutta fretta su pressione della locale industria della plastica. Ma chissà che ora l’esempio thailandese non porti di nuovo alla ribalta la lotta al colonialismo dei rifiuti.

 

Immagine: Pexels, Mumtahina Tanni