La concentrazione di anidride carbonica (CO₂) e metano (CH₄) nel mar Mediterraneo è in aumento a causa delle emissioni antropiche e questo mette a rischio la regione, particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici. A dirlo è il nuovo report dell’Osservatorio Climatico ENEA Madonie-Piano Battaglia, in Sicilia.
La concentrazione atmosferica di CO₂, in particolare, ha dal 2005 un tasso di crescita di 2.16 ppm/anno, un trend che si sta registrando anche su scala globale.
La fragilità del mar Mediterraneo
Questa tendenza costituisce una minaccia per il Mar Mediterraneo, e pertanto va monitorata adeguatamente. “Il Mediterraneo è un mare chiuso e per questa ragione è un luogo di grande interesse per la comunità scientifica internazionale”, spiega a Materia Rinnovabile Francesco Monteleone, ingegnere ricercatore presso ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile. “È il bacino che per primo registrerà gli effetti dei cambiamenti climatici, quali l’innalzamento del livello del mare, la desertificazione, le specie invasive. Questa è una situazione particolare, e l’Italia, data la sua posizione in questo mare, ha un ruolo fondamentale nelle rilevazioni.”
Il monitoraggio dei livelli di CO₂ e metano è fondamentale per la comprensione dei fenomeni futuri e presenti. Per esempio, spiega Monteleone, ci sarà un aumento nella frequenza di trombe d’aria, un fenomeno anomalo nel Mediterraneo. Il disequilibrio che si genera quando si registra un aumento esponenziale di questi gas nell’atmosfera, infatti, ha delle conseguenze gravi, ma non immediate. Aggiunge infatti Monteleone: “Sul breve termine, queste misurazioni non hanno nessuna influenza: qui si parla di decine e decine di anni. I fenomeni estremi che stanno avendo luogo ora, come le alluvioni in Emilia-Romagna lo scorso anno e che vanno accentuandosi, sono dovuti a cause di cinquant’anni fa. I processi sono lenti: le ripercussioni degli aumenti di oggi le vedremo tra trenta o quarant’anni”.
L’importanza del monitoraggio
Le stazioni per misurare i dati climatici devono trovarsi in luoghi isolati, privi di contaminazioni locali e possibilmente in alta quota. Le stazioni di misurazione della qualità dell’aria locale, infatti, servono prettamente a fornire dei dati per valutare i rischi per la salute umana in un breve lasso di tempo. Luoghi come l’Osservatorio climatico di Piano Battaglia, collocati in alta quota, o l’Osservatorio climatico di Lampedusa, situato in mezzo al mare, favoriscono misurazioni più accurate e rappresentative di aree più vaste.
“Se vogliamo misurare la CO₂ di una certa area, dobbiamo farlo nei cosiddetti siti remoti, lontani dall’inquinamento – spiega Monteleone – Ciò che è importante per fare delle previsioni sul lungo periodo è andare a verificare i parametri di base, perché le misurazioni locali sono molto variabili. Se si misura la CO₂ a Milano, se ne trova tantissima: ma non è un dato rappresentativo della regione Lombardia. […] La CO₂ misurata a Lampedusa, un puntino al centro del Mediterraneo, può essere rappresentativa della regione del Mediterraneo.”
È per questa ragione che è nato l’Osservatorio Climatico Madonie-Piano Battaglia, rappresentativo di tutta l’area del Mediterraneo centrale, istituito con la collaborazione dell’Ente Parco delle Madonie (che è partner dell’Unesco Global Geoparks Network) e del Comune di Petralia Sottana. Qui sono state installate diverse strumentazioni per misurare i dati, tra cui una stazione meteorologica e un sistema di campionamento dell’aria per determinare la concentrazione di anidride carbonica, metano e monossido di carbonio. I campioni vengono poi inviati all’Osservatorio Climatico ENEA di Lampedusa per un’analisi accurata e in seguito messi a disposizione della rete mondiale per lo studio del clima globale (GAW, Global Atmosphere Watch).
Immagine di copertina: Yassine Khalfalli, Unsplash