Non solo l’inquinamento atmosferico contribuisce allo svilupparsi di malattie cardiovascolari, tumori e infezioni respiratorie: ora è associato anche a segni riconducibili alla malattia di Alzheimer, la forma più comune di demenza. A rivelarlo è uno studio della Emory University pubblicato il 21 febbraio 2024 sulla rivista scientifica Neurology, che ha trovato una correlazione tra l’esposizione all’inquinamento da particolato atmosferico fine e le placche senili (o placche amiloidi) presenti nel tessuto cerebrale dei pazienti affetti da Alzheimer.

Come gli stessi autori specificano, la ricerca non prova che la malattia neurodegenerativa sia causata direttamente dall’inalazione delle particelle, ma che chi vive in zone inquinate dal traffico veicolare ha più probabilità di sviluppare questi agglomerati di proteine neurotossiche.

Il particolato atmosferico fine, noto anche come PM2,5, è infatti rilasciato principalmente da processi di combustione, e il tubo di scappamento dei veicoli rappresenta una delle principali fonti di emissione. Un altro studio stima che negli Stati Uniti il PM2,5 è stato responsabile nel 2011 di 107.000 morti premature e il 28% di questi decessi è stato attribuito al trasporto su strada. Ma oltre ai trasporti, anche gli impianti di riscaldamento e le attività industriali e agricole rilasciano particolato atmosferico fine. In Europa, secondo i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente, nel 2021 i decessi imputabili al PM2,5 sono stati 253.000, con l’Italia al secondo posto per numero di morti (46.800), dopo la Polonia (47.300).

Lo studio

I ricercatori della Emory University ha studiato post mortem il cervello di 224 persone malate di Alzheimer provenienti dall’area metropolitana di Atlanta. L’età media era di 76 anni e circa il 57% di queste persone aveva il gene APOE, il più rilevante fattore di rischio genetico per la malattia di Alzheimer. Tuttavia, gli studiosi hanno trovato più placche amiloidi nei cervelli delle persone non geneticamente predisposte al morbo.

“I donatori che vivevano in aree con livelli particolarmente elevati di PM2,5 a causa del traffico avevano più placche rispetto a coloro che vivevano in aree meno inquinate", ha dichiarato al Washington Post Anke Huels, una delle autrici principali della ricerca.

I danni neurologici dell’inquinamento da PM2,5

Il morbo di Alzheimer non è l’unica malattia associata all’inquinamento da particolato atmosferico fine. Alcuni studi hanno trovato un legame con casi di Parkinson, deterioramento cognitivo, depressione, ansia e ipotizzano anche un collegamento con l’autismo. Una ricerca pubblicata dall'Università della California del Sud nel 2021 dimostra che le persone anziane che vivono in luoghi con alti livelli di PM2,5 hanno più probabilità di soffrire di demenza e subire un maggior restringimento del cervello.

Altri studi hanno anche rivelato che l’esposizione al particolato fine dovuta al traffico è associata a uno spessore corticale ridotto e a una materia grigia (l’insieme dei neuroni che formano la corteccia cerebrale) più sottile. Tutti fattori che possono influenzare l’elaborazione delle informazioni, l’apprendimento e la memoria.

Qualità dell’aria: i nuovi standard sono abbastanza?

Il 7 febbraio 2024 l’Agenzia di Protezione ambientale degli Stati Uniti (EPA) ha annunciato nuovi standard di qualità dell’aria per proteggere i cittadini dall’inquinamento atmosferico. La nuova norma fissa un limite medio annuale di 9 microgrammi di PM2,5 per metro cubo di aria, restringendo così il limite precedente, che era di 12 microgrammi. Ogni Stato federale sarà tenuto a rispettare il nuovo standard anche quando dovrà valutare le richieste di autorizzazione per nuove fonti fisse di inquinamento atmosferico, come centrali elettriche, fabbriche e raffinerie di petrolio.

Anche l’Unione europea ha deciso di rivedere i propri standard. Il 20 febbraio 2024 il Parlamento e il Consiglio europei sono arrivati a un accordo provvisorio che impone agli Stati membri di raggiungere una concentrazione media annuale di massimo 10 microgrammi di PM2,5 per metro cubo di aria entro il 2030. Tuttavia, per quelle aree in cui il rispetto della direttiva risulterebbe irrealizzabile "a causa di specifiche condizioni climatiche e orografiche”, l’accordo tra istituzioni europee prevede la possibilità di chiedere una proroga per estendere la scadenza dal 2030 al 2040. Questo vuol dire che chi abita in zone come la Pianura Padana, la regione con l'aria più inquinata dell’Europa occidentale, potrebbe dover aspettare ancora diversi anni prima di respirare aria migliore.

È inoltre da notare che le attuali linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomandano limiti ancora più stringenti: la concentrazione non dovrebbe superare i 5 microgrammi di PM2,5 per metro cubo d’aria. Ciò significa che, nonostante la comunità scientifica debba indagare ancora molto sul rapporto tra PM2,5 e malattie neurologiche come l’Alzheimer, una cosa finora sembra certa: la necessità di ridurre l’inquinamento atmosferico.

 

Immagine: Eugene Nelmin, Unsplash