È un partito democratico che vede finalmente la possibilità della vittoria quello che ha chiuso la Convention Dem di Chicago giovedì 22 agosto. Un partito che ha ritrovato l’entusiasmo di essere in corsa alle elezioni presidenziali anche de facto, non solo nominalmente come lo era con Joe Biden, grazie all’arrivo sulla scena di Kamala Harris, che dopo quattro anni incastrata nei limiti del suo ruolo istituzionale sta finalmente adottando la propria strategia, dando l’immagine di sé in cui crede di più e che sembra finalmente conquistare la simpatia o almeno l’interesse dell’elettorato. I quattro giorni di convention hanno rispecchiato in pieno potenzialità e contraddizioni di questo percorso, tra grandi applausi per i discorsi convincenti (quale più, quale meno) dei big e delle big di partito e qualche contestazione, soprattutto in tema di Palestina.
La strada intrapresa in questa convention dal partito democratico sembra quella dell’unità e dell’ampliamento dei propri orizzonti, tornando a rivolgersi alla classe media e cercando di riappropriarsi di temi che sembravano monopolio di Trump e dei repubblicani: libertà, patriottismo, sicurezza e leadership forte. Una strada che sembra quella giusta e potrebbe portare al successo, ma è ancora lunga e con diverse incognite.
Kamala Harris conquista la Convention Democratica
Non c’è dubbio che Kamala Harris abbia superato l’esame, presentandosi sul palco della Convention Dem nel suo ultimo giorno determinata, sorridente e con un discorso che ha infiammato la platea. Era già chiaro che Harris non punta a presentarsi come (potenziale) prima donna, nonché prima donna nera, presidente degli Stati Uniti, ma in questi quattro giorni ha definito meglio la strategia che intende seguire: quel tipo di narrazione potrebbe portare a una vittoria che sarebbe solo sua, mentre Harris punta a una vittoria collettiva, del popolo contro Donald Trump.
Una formula che mutua dal suo incarico di procuratrice: “Quando istruivo un caso non lo facevo nel nome della vittima, ma nel nome del popolo. Per una semplice ragione: nel nostro sistema giudiziario, un crimine contro una persona è un crimine contro ognuno di noi. Lo spiegavo spesso alle vittime, per ricordare loro che nessuno dovrebbe ritrovarsi a combattere da solo, ma siamo tutti coinvolti. Ogni giorno in tribunale mi presentavo con orgoglio davanti al giudice e dicevo cinque parole: ‘Kamala Harris per il popolo’. E, per essere chiara, in tutta la mia carriera ho avuto un solo cliente: il popolo”.
Parole efficaci che la contrappongono ancora di più a Donald Trump che, dice, da presidente vuole servire “l’unico cliente che ha mai avuto: se stesso”. Lei procuratrice, lui invischiato in diversi guai giudiziari, in una sorta di processo Kamala Harris per il popolo contro Donald Trump, in cui a giudicare sarà l’elettorato e il cui verdetto si avrà il 5 novembre 2024. Non è un caso che uno degli slogan elettorali dem sia Kamala Harris for the people.
Un’aspirazione alla giustizia che, racconta, la guida da tutta la vita, da quando, bambina, ha dovuto fare i conti con il razzismo contro sua madre, immigrata indiana, e con gli abusi sessuali subìti da una sua compagna di scuola, fino a indirizzarne la carriera verso la pubblica accusa, in difesa “delle donne e dei bambini, dei veterani e degli studenti, degli anziani e dei lavoratori”, contro “le grandi banche” e “i cartelli che trafficano armi, droga ed esseri umani, che minacciano la sicurezza del nostro confine e la sicurezza delle nostre comunità”.
Ma nel suo discorso Kamala Harris ha parlato anche di diritto all’assistenza sanitaria e all’istruzione, di aborto e diritti civili, immigrazione e difesa dei confini ma anche della dignità umana, di Ucraina e Palestina, toccando uno dei temi più scottanti all’interno del partito democratico statunitense. “Mi batterò sempre per il diritto di Israele a difendersi e farò sempre in modo che Israele abbia la possibilità di difendersi. Perché il popolo di Israele non debba mai più affrontare l'orrore che il terrorismo di Hamas ha causato il 7 ottobre, comprese indicibili violenze sessuali e il massacro di giovani a un festival musicale. Allo stesso tempo, ciò che è accaduto a Gaza negli ultimi 10 mesi è devastante. Tante vite innocenti perse. Persone disperate e affamate che fuggono per salvarsi, ancora e ancora. L'entità della sofferenza è straziante.”
Gli endorsement dei Clinton e degli Obama
Meno incisivo il discorso tenuto da Tim Walz, candidato democratico alla vicepresidenza USA. Un discorso diretto e pragmatico, perfettamente in linea con l’immagine di rappresentante della middle class che vuole dare di sé e in questo senso sicuramente efficace, ma anche molto simile a quanto ha già detto finora.
Mentre l’attuale presidente Joe Biden ha tenuto un discorso nella prima serata della convention che sembrava lo stesso che avrebbe pronunciato se fosse stato lui il candidato alla Casa Bianca, le ex coppie presidenziali Clinton e Obama hanno dato un deciso appoggio alla candidatura di Kamala Harris. Hillary Clinton con un taglio più femminista e rivolto al futuro, mentre il marito Bill si è affidato all’ironia. Ma le star della convention sono stati sicuramente gli Obama, bussole del partito democratico che infatti, in mezzo a tutto l’entusiasmo, hanno invitato il pubblico e il partito alla prudenza.
“Quello che sentiamo in questa arena” ha detto Michelle Obama “è il potere contagioso della speranza, l'attesa, l'energia, l'euforia di essere ancora una volta sulla soglia di un giorno più luminoso. La possibilità di sconfiggere i demoni della paura, della divisione e dell'odio che ci hanno consumato e di continuare a perseguire la promessa incompiuta di questa grande nazione. Il sogno per cui i nostri genitori e nonni hanno combattuto, sono morti e si sono sacrificati. America, la speranza sta tornando.” Ma, ha aggiunto “ricordate che ci sono ancora tante persone che desiderano disperatamente un risultato diverso, che sono pronte a mettere in discussione e a criticare ogni mossa di Kamala”, e, ha ricordato, “per quanto ci sentiamo bene stasera, domani o dopodomani, questa sarà una battaglia in salita. Quindi, gente, non possiamo essere i nostri peggiori nemici” per poi invitare a “fare tutto il possibile per far eleggere una persona come Kamala”, concetto riassunto nello slogan “do something”, facciamo qualcosa di concreto.
Sulla stessa linea Barack Obama, che ha ricordato che “non sarà facile. Dall’altra parte ci sono persone che sanno che è più semplice fare leva sulle paure e sul cinismo della gente. È sempre stato così. Vi diranno che il governo è corrotto, che il sacrificio e la generosità sono per i fessi e che, poiché il gioco è truccato, è giusto prendere ciò che si vuole e badare solo a se stessi” mentre invece “il nostro compito è quello di convincere le persone che la democrazia può davvero funzionare. E per farlo, non possiamo limitarci a ricordare ciò che abbiamo già realizzato. Non possiamo affidarci solo alle idee del passato. Dobbiamo tracciare una nuova strada per affrontare le sfide di oggi”.
E infatti la convention democratica è solo il punto di partenza per il team Harris-Walz di un percorso ancora lungo. Al momento i sondaggi vedono Kamala Harris in vantaggio su Donald Trump ma di una percentuale molto ridotta, mentre una grande incognita resta il dibattito tv tra Trump e Harris del 10 settembre.
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Immagine dal profilo Facebook ufficiale di Kamala Harris