La Cina, lo stato a più alto impatto climatico del mondo, sta cambiando il metodo con cui fissa i propri obiettivi climatici. Da un sistema di riduzione del consumo energetico che penalizza le fonti rinnovabili, Pechino passerà gradualmente a un meccanismo di controllo delle emissioni duale, ovvero registrando l’intensità carbonica per unità di PIL e il volume delle emissioni di gas serra totali.

Venerdì 2 agosto la Commissione nazionale dello sviluppo e delle riforme ha presentato il piano che dovrebbe ridefinire la traiettoria di decarbonizzazione cinese, almeno nei suoi obiettivi e nella metodologia di rendicontazione. Toccare il picco delle emissioni di CO₂ entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2060 sono i target climatici stabiliti dal presidente Xi Jinping nel settembre del 2020. Ora serve accelerare il passo.

Cosa cambia con il meccanismo di controllo delle emissioni duale

In base alle disposizioni delle Nazioni Unite, entro il 10 febbraio 2025 ogni paese dovrà presentare i Nationally Determined Contributions (NDC), ovvero dichiarare come intende contribuire agli sforzi collettivi di mitigazione climatica per i prossimi 10 anni. "Grazie al sistema di controllo duale per la prima volta vedremo la Cina inserire un NDC che contiene un target assoluto relativo alle emissioni di anidride carbonica”, ha dichiarato all’Agence France-Presse Li Shuo, esperto di clima presso il think tank Asia Society Policy Institute. Secondo Yao Zhe, analista di Greenpeace Cina, questo nuovo approccio contribuirà ad allineare l'azione climatica interna con gli impegni internazionali.

Nel piano si legge che a partire dal 2026 verrà aggiornato e migliorato il sistema di contabilità statistica delle emissioni di carbonio, verranno introdotti e implementati numerosi standard relativi alla contabilità delle emissioni di CO₂ delle imprese e dei prodotti, e inoltre sarà completato l’inventario nazionale delle emissioni di gas serra. Insomma, il governo cinese sta apparecchiando la tavola per il nuovo meccanismo di controllo delle emissioni duale.

Gli obiettivi climatici tarati sulla riduzione del consumo energetico non sono più pertinenti alla transizione energetica cinese. Soprattutto perché pongono paradossalmente dei limiti anche alla produzione di energia rinnovabile. Limitare la quantità dell’energia consumata senza considerare l’intensità carbonica penalizza fortemente anche le industrie pesanti che puntano al consumo di energia pulita. La problematica era già stata sollevata nel 2021 alla Central Economic Work Conference, il meeting annuale che definisce l’agenda economica nazionale.

Il boom delle rinnovabili rimette sui binari la Cina?

Il piano di decarbonizzazione cinese 2020-2025 prevede già un obiettivo di riduzione del 18% delle emissioni di gas serra. Tuttavia, secondo il think tank CREA (Centre for Research on Energy and Clean Air), i progressi finora raggiunti non sono sufficienti. La crescita post pandemica ha incentivato modelli di sviluppo ad alta impronta carbonica che hanno allontanato la Cina dal target.

Il settore energetico è responsabile di quasi il 90% delle emissioni di gas serra generate dal paese, ma ci sono segnali promettenti, come lo straordinario ritmo di installazione di parchi eolici e solari. Secondo un rapporto del Global Energy Monitor (GEM), la Cina sta costruendo 339 gigawatt (GW) di energia eolica e solare su scala industriale, pari al 64% dei progetti globali. Questo per gli autori del report renderebbe più credibile l’obiettivo di triplicare la capacità rinnovabile globale entro il 2030. Pechino è anche sulla buona strada nel centrare il proprio obiettivo di installare 1.200 GW di energia eolica e solare con sei anni di anticipo. Intanto la produzione di cemento e acciaio è diminuita a causa del crollo del settore immobiliare, il che suggerisce che le emissioni cinesi potrebbero aver raggiunto il picco già nel primo trimestre di quest'anno, per poi mostrare una tendenza al ribasso nel secondo trimestre.

Visto il peso industriale e demografico della Repubblica Popolare Cinese non è poi così sorprendente trovare primati e statistiche apparentemente controintuitive: mentre la produzione nazionale di pannelli fotovoltaici infrange nuovi record, oltre il 60% dell’elettricità è ancora generata dalla combustione del carbone; mentre l’industria delle batterie per veicoli elettrici cinese domina il mercato globale, Pechino è il secondo consumatore di petrolio al mondo. Peculiarità di un paese da quasi un miliardo e mezzo di abitanti, senza il quale ogni sforzo di limitare l’aumento di temperatura a 1,5°C sarà vano.

 

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Abbiamo approfondito il tema nell'articolo di Giorgia Marino, Cina: il gigante in transizione, pubblicato sul numero 49 di Materia RinnovabileFinanza

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Immagine: il villaggio di Shicheng, Envato