“Approfondire ulteriormente l’ampio sforzo sulle riforme e promuovere una modernizzazione in stile cinese.” Il tutto entro il 2029, anno in cui la Repubblica Popolare celebrerà il suo 80° anniversario. Si è chiuso così, senza grandi sorprese, il Terzo Plenum del XX Congresso del Partito Comunista Cinese, svoltosi a Pechino dal 15 al 18 luglio.

Il comunicato conclusivo, rilasciato il 18 luglio da Xinhua, organo di stampa ufficiale del governo, ribadisce, come ci si aspettava, il focus sugli obiettivi già emersi lo scorso marzo durante le Due Sessioni: sviluppo di qualità, nuove forze produttive e una modernizzazione generale (a partire dall’educazione) che mantenga però un chiaro stampo socialista.

Di interessante, e se vogliamo inedito, ci sono però le tempistiche. Innanzitutto, il Terzo Plenum, che si sarebbe dovuto tenere nell'autunno 2023, è stato rinviato a quest'estate. Secondo molti analisti questo sarebbe un segno di divergenze all’interno del partito: il presidente Xi Jinping aveva urgenza di riprendere in mano le redini, cosa che ha fatto nel suo discorso ai delegati, chiedendo “incrollabile sostegno” al suo piano di riforme. E poi c’è quel “2029”: una deadline precisa per il completamento delle riforme, che coincide con una data simbolica per la storia cinese e, soprattutto, sottintende che Xi ha tutte le intenzioni di rimanere al comando per il suo quarto mandato.

Infine, in tutto il lungo e un po’ fumoso comunicato si parla sempre di obiettivi a lungo termine, senza scendere troppo nei dettagli e glissando sull’elefante nella stanza di questa plenaria: l’attuale rallentamento economico del Paese, che nel primo semestre di quest’anno ha visto una crescita del +4,7% contro un’attesa (annunciata in marzo) del +5%.

Che cos’è il Terzo Plenum del Partito Comunista Cinese

Il Terzo Plenum è generalmente uno degli appuntamenti politici più importanti per capire la direzione che prenderà l’economia cinese negli anni a venire. Il Politburo del PCC e il suo comitato centrale convocano di solito sette plenum ogni cinque anni. Mentre il primo e secondo plenum sono dedicati alle nomine politiche e al rinnovamento degli organi governativi, il terzo si concentra su importanti politiche e riforme per il Paese. Ad esempio il Terzo Plenum del 1978 servì per traghettare la Cina dai disastri della Rivoluzione Culturale alla riforma economica di Deng Xiaoping.

Ma se in passato – come osserva l’analista di Chatham House Yu Jie – queste plenarie avevano puntato su una progressiva liberalizzazione del mercato e sulla riduzione dell’intervento del governo, quest’anno si va invece verso un maggior controllo centrale, allo scopo, come si legge nel comunicato, di ottimizzare l’allocazione delle risorse nei settori considerati strategici e nell’innovazione. Un accentramento riassunto dallo slogan “nuovo sistema nazionale”, con un’enfasi che, sottolinea Yu Jie, più che sull’economia è sulla geopolitica: “Se il peggioramento delle relazioni con l’Occidente ha già compromesso il futuro accesso della Cina al mercato e all’innovazione tecnologica, il sistema nazionale è allora la ricetta di Pechino per acquisire tecnologie mettendo insieme tutte le risorse nazionali disponibili per sostenere la svolta tecnologica interna”.

Una lista di priorità per il prossimo decennio

Veniamo dunque alla lista degli obiettivi da raggiungere nel prossimo decennio. “Entro il 2035 – si legge all’inizio del comunicato – avremo completato la costruzione di un’economia di mercato socialista di alto livello, migliorato ulteriormente il sistema del socialismo con caratteristiche cinesi, modernizzato in generale il nostro sistema e la capacità di governo e in pratica realizzato la modernizzazione socialista.”

Si ribadiscono, insomma, le priorità già enunciate durante le Due Sessioni di marzo e che sono diventate il mantra di Xi Jinping negli ultimi anni: modernizzazione e sviluppo di alta qualità. Due istanze onnicomprensive, che interessano ogni livello dell’economia e della società cinesi, dall’educazione alla ricerca scientifica, dall’innovazione industriale a quella di mercato. E che confluiscono in quello che è l’ultimo tormentone di Pechino, ovvero le “nuove forze produttive” (xin sheng chanli). Si tratta (come abbiamo spiegato qui) di vari settori emergenti e industrie “future-oriented”, come il digitale, l’AI, l’aerospazio, gli smart vehicles, l’idrogeno o le tecnologie quantistiche, che nelle intenzioni di Xi dovrebbero compensare le leve tradizionali sempre più in crisi dell’economia cinese (manifatturiero e immobiliare/edilizia), portando il Paese alla tanto agognata “autosufficienza tecnologica”.

Per riuscirci, come si diceva sopra, occorrerà che il governo intervenga con un maggior controllo sull’allocazione delle risorse, ma anche che ci sia un rinvigorimento del mercato, sia interno che estero. E qui si parla di una non ben precisata riforma dei mercati, e di una “apertura” verso il mondo e cooperazione, da attivare in realtà soprattutto attraverso i canali della Belt and Road Initiative. Detto questo, rimangono i punti fermi della sicurezza interna e della difesa, e immancabilmente si ribadisce l’assoluta indipendenza della Cina nella sua politica estera.

Al capitolo green economy e alla costruzione della molto sponsorizzata “Bella Cina” (Meili Zhongguo) è poi dedicato uno svelto paragrafo, in cui si accenna (ma senza dati o target) al taglio di emissioni di carbonio, alla riduzione dell’inquinamento e alla conservazione ecologica.

Anche la crisi interna è affrontata molto sommariamente, con accenno a due enormi problematiche. La prima è la questione dello spopolamento delle campagne, un trend che è in realtà in atto da parecchio tempo. Nel documento si afferma che “l’integrazione di sviluppo urbano e sviluppo rurale è indispensabile per la modernizzazione della Cina” e ci si impegna pertanto a “promuovere scambi equi e flussi produttivi bidirezionali fra città e campagne”, per ridurre le disparità fra i territori, a supportare gli agricoltori e a riformare il sistema fondiario.
L’altra questione, già sottolineata a marzo dal Primo Ministro Li Qiang durante le Due Sessioni, riguarda il derisking del settore immobiliare e del debito delle amministrazioni locali, per il quale si promette di “implementare varie misure”, insieme ad altre iniziative per il controllo e la prevenzione del rischio di disastri naturali e climatici.

Domande senza risposta

A conti fatti, il comunicato finale del Terzo Plenum non dice nulla di nuovo e non risponde alle domande che più preoccupano l’opinione pubblica cinese e il mondo dell’industria e degli investitori. In primo luogo, non è chiaro come Xi Jinping pensi davvero di rinvigorire la fiducia dei consumatori cinesi e far crescere il mercato interno, visto che comunque quello estero sta soffrendo, e continuerà presumibilmente a soffrire, per le politiche protezionistiche di Stati Uniti e Unione Europea.

Inoltre non si affronta il gravissimo problema della disoccupazione giovanile, che ha ormai superato la soglia critica del 20%. Si parla, è vero, moltissimo di educazione di alto livello, di formazione scientifica e tecnologica. Ma, come osserva ancora Yu Jie, non è chiaro se “una tale svolta tecnologica possa avere l’effetto di generare più posti di lavoro per i giovani e le famiglie comuni gravate da mercati del lavoro difficili e da prezzi immobiliari irragionevolmente alti”.

E infine, le belle formule e gli slogan usciti da questo Terzo Plenum non rispondono alla domanda che dava il titolo, il mese scorso, a un provocatorio editoriale del Foreign Policy: Perché Xi non sta aggiustando l’economia cinese?

 

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Immagine: © Giorgia Marino