A nulla sono valsi i tentativi diplomatici messi in atto quest’estate dalle autorità cinesi: per i veicoli elettrici, l’Europa tira dritto sulla strada dei dazi. Nel pomeriggio del 29 ottobre, è arrivato infatti il via libera definitivo da parte della Commissione europea alle imposte aggiuntive su tutte le auto elettriche prodotte in Cina. Le tariffe aggiuntive vanno dal 7,8 al 35,3%, ed entreranno in vigore subito dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, quindi già a partire dal 31 ottobre, per un periodo di 5 anni.
“Accogliamo con favore la concorrenza, anche nel settore dei veicoli elettrici, ma deve essere sostenuta da equità e parità di condizioni”, ha dichiarato il Vicepresidente esecutivo e Commissario per il commercio europeo Valdis Dombrovskis, rimarcando come la decisione sia arrivata dopo un’indagine durata otto mesi per stabilire se i sussidi statali di cui beneficiano i produttori cinesi siano in linea con le regole del commercio internazionale.
Le case automobilistiche europee e alcuni Paesi membri come Germania e Spagna non sono però affatto contenti. E i contatti fra Bruxelles e Pechino proseguono nel tentativo di negoziare un accordo nell’ambito della World Trade Organization.
Chi viene colpito dai dazi sugli EV cinesi?
I dazi decisi da Bruxelles non colpiranno solo le “auto cinesi”, ma tutti i veicoli elettrici prodotti in Cina, quindi anche quelli venduti da aziende europee e americane, come ad esempio Tesla. Quanto all’ammontare delle tariffe aggiuntive, sono state praticamente confermate quelle stabilite lo scorso 4 luglio dalla Commissione europea, decise caso per caso in base al grado di collaborazione delle aziende all’indagine dei funzionari UE sul dumping.
Nel dettaglio, il gruppo BYD sarà soggetto a dazi aggiuntivi per il 17%, Geely per il 18,8% e SAIC per il 35,3%, così come tutte le altre aziende che non hanno collaborato alle richieste di trasparenza da parte dell’UE. Caso a parte sono i modelli Tesla prodotti in Cina, per i quali la società americana ha chiesto un confronto separato con i tecnici dell’UE ottenendo un’imposta aggiuntiva del 7,8%.
Va ricordato che le tariffe sono per l’appunto “aggiuntive”, il che vuol dire che si vanno a sommare ai dazi già in essere per le importazioni che si aggirano intorno al 10%, arrivando così, nella maggior parte dei casi, a una maggiorazione di ben il 45%.
Perché i dazi sono necessari secondo l’UE?
I dazi sui veicoli elettrici sono solo l’ultimo capitolo di una disputa commerciale ben più ampia fra l’Europa (ma ancor di più gli Stati Uniti) e la Cina. Una controversia che ha al suo centro una questione tutt’altro che banale. Ovvero: fino a che punto i sussidi del governo cinese al settore delle tecnologie green (EV, batterie, fotovoltaico, ecc.) sono in linea con le regole del commercio internazionale stabilite dalla WTO? E quando invece si possono a ragione considerare dumping?
Per quanto riguarda le auto elettriche, secondo la Commissione europea la linea è stata ampiamente superata. Per deciderlo, ci è voluta un’indagine durata 8 mesi. I funzionari UE hanno analizzato i vari incentivi governativi di cui beneficiano le aziende che producono auto elettriche in Cina, anche quelle occidentali che vanno a produrre là: terreni offerti dai governi delle province a prezzi economici per costruire le fabbriche, forniture di litio da imprese statali al di sotto dei prezzi di mercato, agevolazioni fiscali, tassi agevolati sui finanziamenti concessi dalle banche controllate dal governo cinese. Aiuti massicci che consentirebbero a queste aziende di indebolire i concorrenti e conquistare fette più grandi del mercato europeo. Del resto è un fatto, dice la Commissione, che la quota di mercato delle auto elettriche prodotte in Cina sia balzata dal 3,9% nel 2020 al 25% nel settembre 2023.
Questa rapida crescita, sempre secondo la Commissione, rischia di mettere in crisi la capacità dell’industria europea di produrre le proprie tecnologie per la transizione e minaccia i posti di lavoro del settore automotive.
Una decisione che non piace né alla Cina né all’industria europea
Se i dazi sono stati decisi con l’intento di proteggere l’industria dell’UE, è tuttavia lo stesso settore automotive europeo a non essere contento della decisione, insieme a Paesi come la Germania, patria di BMW, Volkswagen e Mercedes-Benz, che si è opposta fino all’ultimo.
Una posizione che si può solo in parte spiegare con la delocalizzazione della produzione di molte aziende europee in Cina. Quello che il settore automotive teme è, piuttosto, un effetto “cannibalizzazione”, come lo definisce il Guardian: in pratica, per aggirare i dazi, molte industrie cinesi stanno già pensando di aprire stabilimenti direttamente in Europa. E con ogni probabilità non lo faranno nei Paesi che hanno già una loro tradizione nel settore. “Secondo Tavares – scrive il Guardian – i marchi cinesi non si rivolgeranno a Germania, Francia o Italia, patrie delle più antiche case automobilistiche europee, ma cercheranno opzioni più economiche nei Paesi dell'Europa orientale come l'Ungheria, dove i costi della manodopera sono più bassi.” E infatti BYD sta già costruendo uno stabilimento in Ungheria e Chery Automobile ha in programma di andare a produrre in Catalogna.
A questo si aggiunge poi la paura di una “ritorsione” del governo cinese, che ha già imposto dazi aggiuntivi sul brandy francese e ha fatto sapere che sta valutando se aumentare le tariffe su altri prodotti europei come formaggi, carne di maiale e sui veicoli a benzina con motori di grandi dimensioni.
Cosa succederà ora?
I giochi sono comunque ancora aperti. “Accogliamo con favore la concorrenza, anche nel settore dei veicoli elettrici, ma deve essere sostenuta da equità e parità di condizioni”, ha dichiarato il Vicepresidente esecutivo e Commissario per il commercio europeo Valdis Dombrovskis. “Adottando queste misure proporzionate e mirate dopo un'indagine rigorosa, stiamo difendendo pratiche di mercato eque e la base industriale europea. Parallelamente – ha però aggiunto – rimaniamo aperti a una possibile soluzione alternativa che sarebbe efficace nell'affrontare i problemi identificati e compatibile con la WTO.”
I colloqui fra Bruxelles e Pechino dunque proseguono – anche sulla spinta di Paesi come la Germania e la Spagna (astenutasi dal voto) – nel tentativo di negoziare una soluzione nell’ambito delle regole della WTO. Una possibile risoluzione si potrebbe trovare se le due parti accettassero degli “impegni sui prezzi”: ai produttori cinesi si chiederebbe cioè di acconsentire a un prezzo minimo stabilito per la vendita delle loro auto sul mercato UE.
Secondo alcuni osservatori, in tal caso i dazi potrebbero essere ritirati. Un’ipotesi da augurarsi, visto che una guerra commerciale sulle tecnologie per la transizione ecologica non fa bene a nessuna delle due parti. E, detto a margine, non fa bene neanche al clima.
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