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Se la vittoria di Donald Trump è stata fin troppo netta e chiara, e anche le motivazioni appaiono adesso piuttosto evidenti, quel che è decisamente meno chiaro è cosa ne pensi la Cina. Per tutto il periodo della campagna elettorale americana, i media ufficiali cinesi non solo non si sono mai sbilanciati nel prendere una posizione per una delle due parti, ma non hanno neanche dato un gran peso all’elezione che invece ha tenuto con il fiato sospeso il resto del mondo.

Eppure, l’ineffabile presidente Xi Jinping questa volta non ha atteso giorni e giorni, come fece quattro anni fa, per chiamare il neoeletto collega americano: già mercoledì 6 novembre, come riporta la CNN, avrebbe fatto la fatidica telefonata. Che ci sia una certa preoccupazione per le politiche protezionistiche americane, questa è l’unica certezza. Ma forse a Xi, e alla Cina, il Trump-bis non dispiace così tanto.

Trump vs. Harris: per chi tifava la Cina?

Giovedì mattina, 7 novembre, mentre le testate internazionali postavano aggiornamenti continui sul day after delle elezioni americane, la homepage di Xinhua, l’agenzia stampa di Stato cinese, relegava a un titoletto basso sulla colonna di sinistra la lettera di congratulazioni di Xi Jinping a Donald Trump.

Ampio spazio veniva dato invece a una – sicuramente imperdibile – conferenza sulla cultura classica appena inaugurata a Pechino, e alla visita istituzionale di Xi nella provincia dell’Hubei. Un comportamento che a noi pare quantomeno insolito ma è in realtà “piuttosto normale per i media cinesi”, ci spiega al telefono Simone Pieranni, fra i maggiori esperti italiani di Cina, autore del podcast Altri Orienti e del recentissimo saggio 2100. Come sarà l’Asia, come saremo noi (Mondadori, 2024). “Le testate ufficiali cinesi in genere non danno risalto alle elezioni politiche delle nazioni occidentali – dice Pieranni – e non ne hanno dato neanche nelle settimane precedenti al voto.”

Quanto alla domanda che un po’ tutti ci siamo fatti – ovvero, per chi facevano il tifo i cinesi? – Pieranni non ha dubbi: “Non tifavano per nessuno, perché tanto sanno che sul piano dello scontro in atto, sia commerciale che geopolitico, la situazione non cambierà. Quella fra Stati Uniti e Cina è una relazione complicata, chiunque ci sia alla presidenza, e i cinesi ne sono consapevoli”. Insomma, per la Repubblica Popolare un presidente (americano) vale l’altro.

Le congratulazioni di Xi Jinping a Donald Trump

La super tempestiva telefonata di Xi Jinping al neo(ri)eletto presidente americano – arrivata secondo la CNN già mercoledì, a risultati ancora caldi – è invece un fatto un po’ più insolito. Per Joe Biden, quattro anni fa, le congratulazioni cinesi si erano fatte attendere ben otto giorni. Allora perché tanta sollecitudine questa volta?

La fretta si spiega solo in parte con la preoccupazione, peraltro più che giustificata, per le politiche protezionistiche promesse da Trump in campagna elettorale. “Se da un lato hanno un certo timore per la sua politica tariffaria e sanzionatoria – osserva Pieranni – dall’altro, essendo Trump un imprenditore, forse ritengono di avere la possibilità di parlarci in modo più chiaro rispetto a un presidente democratico, che sarebbe più attento a questioni legate ai diritti. Credo che la Cina, tutto sommato, non veda in modo così negativo la presidenza Trump. I cinesi in genere preferiscono muoversi su un terreno conosciuto e con Trump ci si muoverà presumibilmente sul terreno dell’economia: lui metterà dei dazi, la Cina risponderà con altri dazi, e la faccenda si fermerà lì, senza ‘lezioni’ sulla superiorità del sistema democratico americano rispetto a quello cinese. Trump di sicuro non gli andrà a fare questi discorsi...”

Per il momento, nelle congratulazioni ufficiali pubblicate da Xinhua, il presidente Xi Jinping ha ribadito il consueto invito a “trovare il modo giusto per andare d'accordo nella nuova era, in modo da avvantaggiare entrambi i Paesi e il mondo in generale”. Osservando poi come “la storia insegni che la Cina e gli Stati Uniti guadagnano dalla cooperazione e perdono dal confronto”, ed esprimendo la speranza “che le due parti sostengano i principi di rispetto reciproco, coesistenza pacifica e cooperazione win-win, rafforzino il dialogo e la comunicazione, gestiscano correttamente le differenze ed espandano una cooperazione reciprocamente vantaggiosa”.

Una sola certezza: arriveranno più dazi per la Cina

Se i media cinesi ufficiali glissano sulle preoccupazioni per le annunciate politiche tariffarie di Trump, il South China Morning Post dedica invece alla faccenda un lungo approfondimento. Per il quotidiano di Hong Kong, sul Trump-bis c’è almeno una cosa su cui essere assolutamente sicuri: ci saranno più dazi. Del resto il nuovo presidente USA non aveva mai fatto mistero delle sue intenzioni, tanto da definire il termine “tariffa”, in un’intervista a Bloomberg di ottobre, la sua parola preferita, anzi, “the most beautiful word in the dictionary”.

Va detto che, se fu Trump a iniziare la guerra dei dazi nel 2018, Joe Biden durante la sua presidenza non è stato da meno, mantenendo la maggior parte delle tariffe già in essere e introducendo aumenti per specifiche importazioni cinesi, tra cui veicoli elettrici e celle solari. La “promessa” per il nuovo mandato repubblicano va però oltre ogni moderazione, con l’intenzione di aumentare le tariffe attuali al 60% su tutte le importazioni cinesi e aggiungere una tariffa generale del 10 o 20% su tutti i beni stranieri che entrano negli Stati Uniti (“tutti”, anche quelli europei).

"La realtà è che queste nuove tariffe sarebbero disastrose per l'economia statunitense", ha commentato Jack Zhang, professore di scienze politiche presso l'Università del Kansas, intervistato dal SCMP. "Le catene di fornitura globali potrebbero essere in grado di assorbire tariffe del 20%, ma con il 60% si frammenterebbero. E questo farebbe aumentare i prezzi al consumo, schiaccerebbe i grossisti e i dettaglianti statunitensi e metterebbe sotto pressione i produttori statunitensi che si affidano a componenti importati dalla Cina".
Secondo Tiffany Smith, vicepresidente del National Foreign Trade Council di Washington, importatori e consumatori statunitensi avrebbero già pagato più di 220 miliardi di dollari in costi aggiuntivi a causa dei dazi imposti sui prodotti cinesi dal 2018. Ed è piuttosto ovvio che le lobby delle multinazionali e organizzazioni commerciali americane come la US Chamber of Commerce e la National Retail Federation non siano affatto contente della prospettiva protezionistica che si affaccia con l’era Trump.

Il problema tuttavia non sarà solo americano o cinese, ma si ripercuoterà sulle catene di fornitura globali, innescando, come dice ancora Zhang, "una corsa al ribasso che distruggerà il sistema basato sulle regole del commercio internazionale".

Tra Cina e USA, l’Europa che farà?

Infine, dai commenti a caldo della stampa cinese sulle elezioni americane spunta anche l’Europa, che in questo periodo sta dando dei grossi grattacapi a Pechino per la questione dei dazi sulle auto elettriche, confermati lo scorso 30 ottobre da Bruxelles.

L’elezione di Donald Trump potrebbe però favorire un riavvicinamento dell’Unione Europea alla Cina. Lo sostengono diversi osservatori e lo ha scritto lo stesso South China Morning Post, mercoledì 6 novembre mattina, mutuando l’opinione del professor Gianfranco Siciliano della China Europe International Business School di Shanghai. “La politica estera degli Stati Uniti sarà la preoccupazione più grande per l'Europa, in quanto potrebbe portare a un disimpegno da parte di Washington in alcune aree, costringendo l'UE a ripensare le sue strategie geopolitiche”, ha spiegato Siciliano. Inoltre, “la posizione dura di Trump sul commercio con l’Europa potrebbe spingere l'Unione Europea verso la Cina nei prossimi anni".

Su questo punto è più dubbioso Simone Pieranni. “Mi sembra più che altro un wishful thinking", commenta. "Diciamo che nei prossimi anni l’Unione Europea si troverà a essere meno considerata da Trump, e avrebbe la possibilità di sganciarsi e rendersi più autonoma. L’incognita è se sarà in grado di fare questa operazione, visto che una politica estera europea di fatto non esiste e ogni Stato fa la sua. C’è chi ritiene sia il momento di tirar fuori l’agenda Draghi, e fare massicci investimenti per potersi confrontare con Cina e USA da una posizione di maggior forza. Ora, sulla carta, l’Europa è il vaso di coccio. Anche perché, i dazi, Trump non li metterà solo alla Cina”.

 

In copertina: Donald Trump e Xi Jinping agli incontri bilaterali del G20 Giappone a Osaka, il 29 giugno 2019 ©  Trump White House Archive