Per costruire gli smartphone tanto usati in Occidente è indispensabile il tantalio, un metallo critico che proviene per la maggior parte dalle miniere di coltan della Repubblica Democratica del Congo, dove è in corso un conflitto sanguinario. E in questa guerra il coltan ha un ruolo non secondario.

Il coltan (contrazione di columbite-tantalite) è un minerale di color nero metallico, ampiamente utilizzato nell'industria elettronica, informatica e automobilistica. Viene raffinato in tantalio anche in Ruanda, Brasile e Nigeria, ma almeno il 40% della catena di approvvigionamento globale ha origine in Repubblica Democratica del Congo.

Tuttavia una delle regioni congolesi più ricche di coltan, nell’estremo est del paese, è ora sotto il controllo di milizie ribelli supportate militarmente dal Ruanda. Da un paio di settimane, i gruppi armati capeggiati dalla milizia M23 hanno conquistato Goma, città di 2 milioni di abitanti che si affaccia sul lago Kivu. L’Organizzazione mondiale della sanità stima 2.900 morti e alcune migliaia di feriti negli scontri tra i ribelli e l’esercito congolese.

Nonostante l’annuncio di un cessate il fuoco per ragioni umanitarie, mercoledì 5 febbraio le milizie hanno violato la tregua attaccando e conquistando la città mineraria di Nyabibwe, nella provincia del Sud Kivu. Secondo l'Ansa, un portavoce della Repubblica Democratica del Congo ha definito la tregua solo "un diversivo".

Dall'inizio di quest'anno, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari ha registrato 700.000 sfollati a causa del conflitto. Violenza e fame rischiano di causare una nuova crisi umanitaria in una delle regioni più povere al mondo. 

L’estrazione di coltan finanzia le milizie ribelli in Congo

Secondo diversi report delle Nazioni Unite, e come dimostra la conquista della città mineraria di Nyabibwe, l’obiettivo dei gruppi armati ribelli è finanziare il conflitto con i profitti derivati dal contrabbando illegale di coltan, scambiandolo per denaro o armi. 

Un altro indizio è il sequestro ad aprile di Rubaya, sede di una delle più grandi miniere al mondo. L’M23 ha rilasciato permessi minerari e formato un'amministrazione di tipo statale per la produzione, il commercio e il trasporto del minerale metallico, con ricavi stimati intorno agli 800.000 dollari al mese.

Secondo un report delle Nazioni Unite pubblicato l’8 gennaio, le milizie hanno esportato nel 2024 oltre 150 tonnellate di coltan in Ruanda che a sua volta lo vende in tutto il mondo. Secondo i dati dell’agenzia di stampa africana Ecofin Agency, è il quinto anno dal 2014 che il Ruanda esporta più coltan della Repubblica Democratica del Congo, nonostante Kinshasa detenga maggiori risorse minerarie.

Secondo diversi rapporti delle Nazioni Unite il Ruanda svolge un ruolo attivo nel conflitto, con 4.000 soldati inviati a supporto delle milizie ribelli. Tuttavia, in un’intervista concessa al canale di news statunitense CNN, il presidente del Ruanda Paul Kagame ha risposto di “non sapere” se delle truppe da lui comandate fossero coinvolte negli scontri in Repubblica Democratica del Congo.

Come fermare l’export illegale del coltan?

A dicembre, il Congo ha accusato formalmente Apple di utilizzare coltan estratto in zone di conflitto nelle sue catene di approvvigionamento. La multinazionale statunitense, che non si approvvigiona direttamente dei minerali, ha contestato subito la denuncia, sostenendo di aver imposto ai fornitori di non acquisire minerali dalle aree controllate dalle milizie.

Teoricamente un sistema di tracciabilità – noto come International Tin Supply Chain Initiative (ITSCI) – dovrebbe dimostrare che la materia che entra in un telefono e in altri dispositivi elettronici sia estratta in modo responsabile, eviti di finanziare conflitti e sia associato a violazioni di diritti umani.

Intervistato dalla BBC Ken Matthysen, esperto di sicurezza e gestione delle risorse del gruppo di ricerca indipendente IPIS, sottolinea che la natura diffusa di numerose miniere di piccole dimensioni rende difficile per le autorità locali monitorare l’origine dei minerali.

Per arginare il traffico illegale di risorse e contrastare gruppi armati come l’M23, diversi paesi hanno istituito leggi di due diligence sull’approvvigionamento di minerali critici come il tantalio. I primi a istituire una legge per la tracciabilità dei minerali furono gli Stati Uniti nel 2010 con il Dodd-Frank Act. Nel 2021 è entrato in vigore nell’Unione Europea un regolamento sull’approvvigionamento responsabile che, oltre a tagliare il legame tra conflitti e sfruttamento illegale dei minerali, mira a eliminare ogni forma di abuso verso le popolazioni locali e i lavoratori delle miniere.

Intanto a Bruxelles monta la pressione per sospendere il memorandum d'intesa con il Ruanda per aumentare il flusso di materie prime necessarie a produrre microchip e batterie delle auto elettriche. Firmato nel febbraio 2024, l’accordo prevede 900 milioni di euro per sviluppare in Ruanda infrastrutture per l’estrazione di varie materie prime e per l’adattamento climatico. L’intesa ha fatto infuriare il presidente congolese Félix Tshisekedi che lo ha definito una provocazione di pessimo gusto che saccheggia le risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo.

La guerra tra Congo e Ruanda

L’accaparramento di materie prime critiche non è ovviamente l’unico movente degli scontri. I combattimenti tra Congo, Ruanda e vari gruppi ribelli risalgono a decenni fa e si intrecciano con il conflitto tra i gruppi etnici Tutsi e Hutu. L'M23 sostiene di difendere i Tutsi che, anche secondo il governo ruandese, sarebbero perseguitati dagli Hutu e dalle milizie responsabili del genocidio di 800.000 Tutsi in Ruanda nel 1994.

Dopo la strage oltre un milione di Hutu fuggirono verso l'est della Repubblica Democratica del Congo, che all'epoca si chiamava Zaire, paese in cui vivevano anche numerosi Tutsi. Questo esodo innescò tensioni che poi hanno avuto conseguenze devastanti per il futuro del Congo. Tra il 1996 e il 1997, il Ruanda invase lo Zaire e sostenne una ribellione che portò alla caduta del regime autoritario di Mobutu Sese Seko. Laurent-Désiré Kabila, leader dell’opposizione e appoggiato dal Ruanda, prese il potere e ribattezzò il paese Repubblica Democratica del Congo.

Nel 1998, però, Kabila si rivoltò contro i suoi alleati ruandesi e ugandesi, permettendo alle milizie hutu di riorganizzarsi nell’est del paese. Questa mossa scatenò una nuova invasione da parte di Ruanda e Uganda, con l'Angola, la Namibia e lo Zimbabwe che si schierarono al fianco delle forze congolesi. Il conflitto durò 5 anni e causò la morte di più di tre milioni di persone, destabilizzando ulteriormente l’intera regione. Nonostante alcuni accordi di pace e iniziative di riconciliazione, la violenza e l'instabilità continuarono a imperversare nell'est del Congo.

Nel 2009, il Congresso nazionale per la difesa del popolo, gruppo che rappresentava l’opposizione firmò un accordo di pace con il governo congolese. La pace durò fino al 2012 quando un gruppo di ribelli congolesi formarono il movimento M23 che riuscì a conquistare la città di Goma. Dopo le pressioni internazionali, in particolare da parte degli Stati Uniti, il Ruanda fu costretto a cessare il proprio supporto e l'M23 si ritirò, venendo poi sconfitto nel 2013. Dopo anni di silenzio, l'M23 riemerse nel 2021 e nei tre anni successivi, sostenuto dal Ruanda, ha conquistato importanti aree nel Kivu settentrionale, fino a prendere Goma.

 

In copertina: foto scattata a nord di Kivu, Envato