Il mondo moderno dipende da pochi metalli sconosciuti: neodimio, disprosio, ittrio, samario, presenti nei motori delle auto elettriche e nei droni, ma anche in missili, reattori e chip per l’intelligenza artificiale.

Il 90% della produzione globale è dipendente dalla Cina, che estrae la maggior parte di queste terre rare e controlla le fasi critiche: raffinazione e produzione dei magneti permanenti. Recentemente, la Cina ha deciso di chiudere i rubinetti, riorganizzando i permessi di esportazione.

Qualche giorno fa l’autorevole Reuters ha riferito che le spedizioni di sette terre rare critiche sono bloccate nei porti cinesi da una settimana. Ufficialmente, è un aggiornamento della lista di materiali a “uso duale”, utilizzabili sia in ambito civile che militare.

Terre rare, Cina-USA ai ferri corti

I blocchi sono iniziati il 4 aprile, dopo che la Cina ha imposto restrizioni all’export di materiali nei settori della difesa, dell’energia e dell’automotive, in risposta ai nuovi dazi del presidente Trump sui prodotti cinesi. Chi vuole acquistare questi materiali dovrà richiedere una licenza speciale al Ministero del commercio cinese, con una procedura poco chiara. Un trader cinese anonimo ammette all’agenzia che i tempi stimati possono variare da 60 giorni in su, ma “potrebbe volerci molto di più”.

Le terre rare sono l’“arma metallica definitiva” della Cina. Pechino domina l’intera filiera globale, dall’estrazione alla produzione di magneti permanenti per laptop, auto elettriche, aerei da combattimento e altro. Secondo il centro studi CRU, la Cina produce circa il 90% dei magneti di terre rare, ora sotto controllo all’export. Finire nella watch list non equivale a un embargo totale, ma consente a Pechino di filtrare i destinatari, soprattutto quelli legati a forniture militari statunitensi. È ciò che è accaduto con gallio e germanio: le esportazioni verso gli USA si sono interrotte mesi prima del divieto ufficiale.

L’impatto sui mercati è notevole. L’antimonio è subito passato da 14.000 a quasi 60.000 dollari a tonnellata, il bismuto da 6 a 40 dollari al chilo. È un copione già visto nel 2010, quando l’embargo cinese al Giappone fece esplodere i prezzi delle terre rare. Se il blocco durasse oltre due mesi, le scorte dei clienti potrebbero esaurirsi, soprattutto negli Stati Uniti, dove ottenere le licenze sarà più difficile vista la crescente tensione commerciale.

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Europa e Stati Uniti dipendono dalla Cina per le terre rare

Nonostante il precedente, la dipendenza globale dalla Cina è rimasta sostanzialmente intatta. Oggi il paese produce il 60% del minerale grezzo e controlla circa il 90% della lavorazione. Anche l’unica grande miniera americana, Mountain Pass, invia il materiale in Cina per la raffinazione. Solo di recente USA ed Europa hanno avviato nuovi progetti minerari e programmi di riciclo, ma quasi nessuno è vicino a una produzione industriale e competitiva.

Un reportage del New York Times racconta che i depositi più ricchi del mondo di terre rare pesanti si trovano in una valle boscosa alla periferia di Longnan, nelle colline di argilla rossa della provincia di Jiangxi, nel centro-sud della Cina. La maggior parte delle raffinerie e fabbriche di magneti del paese si trova tra Longnan e Ganzhou, a circa 130 chilometri. A Ganzhou c’è la JL Mag Rare-Earth Company, fornitrice di Tesla e BYD, i principali produttori di auto elettriche, che si rivolgono a questa azienda per i magneti delle loro macchine. Non è un caso che la JL Mag Rare-Earth sia stata visitata nel 2019 da Xi Jinping.

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