Immaginate di dover insegnare a vostro figlio ad andare in bicicletta. Pedalare, così come restare in equilibrio, rappresenta una delle sfide più difficili da affrontare. Per questa ragione, nella maggior parte dei casi, si cerca di insegnare al bambino ad andare per gradi: dapprima gli si mettono le rotelle per aiutarlo a restare in equilibrio, in seguito gli si spiega come girare e frenare, e infine anche a scampanellare, che forse è la parte più divertente di tutte quando si è piccoli.

Una volta presa dimestichezza e raggiunta una certa confidenza, si può pensare di togliere le rotelle e insegnare al bambino ad andare senza. Le prime volte lasceranno dei segni indelebili nella sua mente: ginocchia sbucciate, pianti a squarciagola, voglia di abbandonare tutto e non riprovarci mai più.

Il bambino però non si perde d’animo, riprende in mano la sua bici e ci riprova, finché non prende il via e non si ferma più. “L’importante”, gli ricorda il padre, “è non pedalare troppo veloce, ma, soprattutto, avere contezza di dove andare.”

Un nuovo attore sulla scena internazionale

Come nell’immagine del bambino che si appresta e pedalare, forte delle indicazioni del padre, così l’India, forte delle proprie competenze tecnologiche e del proprio sistema formativo, si prepara a fare il proprio ingresso da protagonista sulla scena internazionale.

Sono già molti i record raggiunti: il primo fra tutti rappresentato dalla popolazione. Il rapporto State of World Population 2023 delle Nazioni Unite stima che a giugno 2023 il paese di Gandhi ha superato la Cina in termini di popolazione arrivando a rappresentare circa un quinto di tutta quella mondiale. Un fattore di non scarsa rilevanza, se si considera che il Paese rappresenta già il 7% del PIL mondiale e, secondo dati ISPI del 2022, cresce a un tasso di quasi uguale entità (pari a circa il 6,9%). A guidare l’aumento della domanda, una classe media con redditi in aumento e, secondo dati del 2022 forniti dal Governo italiano, un peso dei consumi sul PIL pari a circa il 60%.

Se da una parte l’India sta gradualmente sviluppando un’efficiente industria di outsourcing di servizi, dall’altra resta ancora molto legata all’industria estrattiva. La ricchezza del sottosuolo la rende una candidata ideale per l’estrazione di materie quali il carbone, il ferro e la bauxite. Si attesta come primo produttore al mondo di ferro ridotto, secondo per produzione di cemento e terzo per acciaio. Possiede il 3% delle riserve di terre rare di tutto il mondo, e si prepara ad aumentare la propria capacità estrattiva nei prossimi anni (Governo italiano, 2022).

 

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Sulle orme della Cina

Negli ultimi vent’anni, l’India è stata oggetto di profondi cambiamenti che hanno inciso non solo sulla popolazione ma anche sull’economia e, in particolare, sul sistema produttivo. Chiaro è che l’India sta cercando di accorciare la forbice che la divide dalle altre potenze mondiali ma quali sarebbero le conseguenze qualora l’India dovesse ricalcare le orme della Cina? Si riuscirebbe a rispettare gli accordi sul clima di Parigi che limitano l’aumento della temperatura a 1,5 C°?

Fino a oggi, le due potenze asiatiche sembrano aver viaggiato su due binari paralleli ma con velocità distinte. Ad accomunarle sicuramente una storia millenaria e due popolazioni che hanno finito per rappresentare circa il 37% di quella mondiale. Dal punto di vista produttivo, a partire dalla metà del Ventesimo secolo, entrambe cercarono di superare la propria economia agraria e rurale attivando processi di industrializzazione pianificata focalizzandosi, soprattutto, sull’industria pesante.

Se in un primo periodo le loro strade sembravano andare di pari passo, verso gli anni Settanta del Ventesimo secolo la Cina ha iniziato a superare l’India in termini economici, demografici e sociali. La potenza cinese detta regole e modelli da seguire. Sembra essere senza freno ma, come succede spesso ad un certo punto si presenta la necessità di rivedere le carte in tavola e far spazio ad altri: l’India.

 

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Energia e crescita: uno sguardo al presente e al futuro

Cominciamo ad analizzare il contesto in cui si trova a operare l’India. Come tutte le grandi potenze mondiali, la crescita economica e industriale dell’India dipende dalla sua capacità di assicurarsi una stabilità energetica. Più si riesce a essere indipendenti dagli altri Paesi, meglio si riescono a fronteggiare eventuali interruzioni della fornitura, assicurando così la continuazione di tutte le attività produttive.

I combustibili fossili, tra cui il carbone, soddisfano ancora circa il 75% di tutto il fabbisogno elettrico del Paese. La restante parte, secondo dati aggiornati al 2020 della IEA, è coperta da altre fonti fossili, dal nucleare e da fonti rinnovabili. Nel 2022, le emissioni dell’India hanno superato quelle dell’Unione Europea, posizionando il Paese al terzo posto a livello mondiale. Secondo una stima di Bloomberg, il trend è in aumento e si pensa possa raggiungere il proprio picco massimo solamente fra il 2040 e il 2045.

Un trend in crescita che contrasta con la recente stretta internazionale sul cambiamento climatico. Infatti, nel 2015 gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite si sono riuniti a Parigi per fissare il limite all’aumento della temperatura media globale a 1,5 C°. L’India, insieme a Stati Uniti, Cina, Europa e molti altri è stata fra i principali fautori dell’accordo. In quest’ottica, il primo ministro Narendra Modi ha previsto di aumentare la potenza rinnovabile installata da 86 GW a 175 GW. Secondo le stime di BloombergNEF, il piano energetico nazionale volto a un futuro più sostenibile consentirà di aumentare le fonti a zero emissioni dal 43% al 67% entro il 2050.

Fra le sfide più impegnative vi è sicuramente quella di elettrificare ogni villaggio del Paese. Un impegno arduo, se si considera che il settore energetico indiano è gestito in prevalenza da società a partecipazione statale con evidenti inefficienze, frequenti blackout e, soprattutto, mancanza di investimenti. In molti casi, è la resistenza della popolazione a farla da padrone, con gli abitanti dei villaggi che si oppongono all’installazione di pannelli solari, perché motivo di riduzione dello spazio agricolo coltivabile a disposizione.

Com’è possibile allora conciliare lo sviluppo economico con la sostenibilità ambientale? Secondo l’International Energy Agency (IEA), le emissioni inquinanti dell’India non verranno da sistemi già esistenti ma dalle nuove infrastrutture: un’opportunità per concepire fin dalla nascita sistemi più puliti.

 

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La chiave di svolta: innovare con uno sguardo al passato

Come già osservato in altri articoli di Back To The Circular, anche questa volta la chiave di svolta è la tradizione. A cosa serve andare alla ricerca di nuovi modelli di business quando si può prendere spunto dalla cultura e dai costumi locali? Per avere successo, l’innovazione non può che fondarsi sulla tradizione, ambito in cui l’India non è sicuramente da meno di altri Paesi.

Restando in ambito ambientale, risorse naturali come l’acqua in India sono considerate sacre per motivi di tipo religioso, culturale e spirituale. Per questo motivo, il fiume Gange è considerato come una divinità, tanto da ricevere l’appellativo di Ganga Ma, ovvero Madre Gange, ed essere considerato sacro e purificatore. Motivo in più per sviluppare dei sistemi di raccolta e gestione dell’acqua come il Bawari e il Khadin, volti a supportare la sostenibilità idrica. Il primo consiste in un sistema di serbatoi per la gestione dell’acqua piovana utilizzati nella regione del Rajasthan. Il secondo, invece, più tipico del Nord-Ovest dell’India, consente di gestire le acque agricole attraverso la costruzione di canali e dighe.

Se ci si sposta nel campo dell’abbigliamento, il primo esempio di riuso e rimpiego di materiali viene dai sari, gli abiti tipici delle donne indiane. Infatti, i vecchi e non più utilizzati sari vengono usati per creare nuovi oggetti in tessuto come borse, tappeti o coperte.

L’esempio più emblematico è rappresentato dalle case vernacolari: un classico esempio di business model sostenibile che impiega input circolari. Infatti, soprattutto in molte zone dell’India rurale, le case continuano a essere costruite con materiali locali quali il fango, la paglia e l’argilla, con evidenti impatti positivi a livello ambientale.

Negli anni, in India si sono sviluppati diversi modelli sostenibili, coprendo una vasta gamma di settori come agricoltura, edilizia, sanità, moda e, persino, cucina. Sebbene questi modelli rappresentino una solida base per un futuro più sostenibile, è evidente la necessità di introdurre un tocco di innovazione per affrontare le sfide moderne.

 

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L’Europa come culla di business model sostenibili

Fino a ora abbiamo parlato del percorso dell’India, mettendolo a confronto con quello della Cina, ma l’Europa in questo contesto dove si posiziona? Ripercorriamo alcuni degli aspetti chiave nel caso dell’India. A oggi, la popolazione europea a 27 Paesi rappresenta appena il 5,7% di quella mondiale ed entro il 2070 si stima che possa raggiungere il 3,7%. Secondo dati EEAS del 2020, le sue emissioni annuali di CO₂ si attestano al 7,3% a livello globale. I numeri sembrano rilegare l’Europa in una posizione secondaria sullo scacchiere internazionale, ma è davvero così? Il Vecchio Continente può ancora contribuire al cambiamento.

L’Europa è chiamata ad assumere il ruolo del padre nel racconto all’inizio dell’articolo che, in virtù della propria età e delle proprie conoscenze, sviluppa modelli sostenibili per poi esportali. A guida del cambiamento il Circular Economy Manager, una figura dirompente, capace di ridisegnare prodotti, servizi e processi con l’obiettivo di cogliere tutte le opportunità di mercato. Un nuovo modo di concepire il business con un focus al mondo circostante.

A differenza dei Paesi in via di sviluppo, l’Europa ha già vissuto il suo periodo di splendore industriale ed economico. Dalla seconda rivoluzione industriale alla fine del Diciannovesimo secolo, è stata al centro delle principali innovazioni e rivoluzioni di tutti i tempi: dall’invenzione del motore a scoppio, delle lampadine elettriche, delle automobili fino alla rivoluzione chimica e delle telecomunicazioni. Se è vero che molti di questi cambiamenti hanno consentito sviluppo e avanzamento della società, è altrettanto vero che hanno condizionato i modelli produttivi e di vita adottati oggi in tutto il mondo: la maggior parte delle volte non sostenibili.

Motivo per cui non si può pensare di imporre all’India o ad altri Paesi che ora si trovano nella loro fase florida di arrestare o rallentare il proprio sviluppo. Si riconosce dunque il valore aggiunto dato dal continente europeo, ma oggi gli si chiede di considerare anche l’altra faccia della medaglia. L’Europa è chiamata a sdebitarsi del proprio impatto ambientale passato e dei propri modelli di sviluppo, determinando la rotta da seguire per lo sviluppo sostenibile dei prossimi anni o, forse, anche decenni.

In tema di politiche ambientali, l’Unione Europea si posiziona in netto vantaggio in rapporto alle altre potenze mondiali. Sulla scia del Green Deal che prevede di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 ed arrivare alla neutralità climatica entro il 2050, nel 2020 veniva approvato il Piano d’azione dell’Unione Europea per l’economia circolare con l’obiettivo di guardare a 360 gradi il ciclo di vita dei prodotti. Ancora una volta, l’obiettivo di natura ambientale consentirebbe un vantaggio anche in termini economici, con un beneficio netto, stimava la Commissione Europea nel 2020, di 1.800 miliardi di euro entro il 2030.

L’applicazione concreta dell’economia circolare e, soprattutto, la sua scalabilità restano però lontane. È la denuncia fatta al World Circular Economy Forum del 2023, che sottolinea come il gap tra economia circolare e lineare sia approssimabile a 90 miliardi di dollari. Ogni anno si destina circa il 2% del PIL all’economia lineare che, unito alla mancanza di un indirizzo politico comune a livello internazionale in ambito di sostenibilità, non fa altro che accentuare lo squilibrio fra i due tipi di economie.

La storia ci insegna che nessun traguardo o successo è stato raggiunto senza sforzi o complicazioni. La strada verso un futuro green è lunga e tortuosa. L’Europa dall’alto del suo passato storico, di pace e stabilità, sotto la guida del Circular Economy Manager ci lascia pensare di avere tutte le carte in regola per farsi fautrice di nuovi sistemi e modelli di business circolari. Una volta definiti e consolidati, i modelli possono essere esportati e adattati in tutto il mondo consentendo all’Europa e all’India di scrivere nuove pagine della storia moderna insieme.

 

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Immagine: Envato