Lo scorso weekend è stato un momento nero per la sfida climatica globale e un presagio per un negoziato sul clima, quello di COP28 a Dubai a dicembre, che si preannuncia essere tutto in salita, specie per chi attende un annuncio di definitivo phase-out delle fonti fossili.
La prima notizia non bella arriva dal quartier generale dell’UNFCCC a Bonn, dove è stato pubblicato il Technical dialogue of the first global stocktake. Synthesis report by the co-facilitators on the technical dialogue, ovvero il primo report di sintesi che fornisce una valutazione dei progressi verso il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine dell’Accordo di Parigi. Una sorta di pagella sull’operato delle nazioni con suggerimenti su come fare meglio e dove intervenire di più. Purtroppo i voti sono pessimi, quasi nessun promosso e tanti rimandati agli esami di riparazione.
Climate change, i progressi fatti finora sono insufficienti
Il Syntesis Report, redatto da rappresentanti degli Stati Uniti e del Sud Africa e basato sul contributo di centinaia di governi, scienziati e gruppi della società civile di tutto il mondo, ribadisce e conferma un fatto già noto: i progressi fatti a livello internazionale per il clima sono a malapena “modesti”.
Nonostante ci siano state riduzioni di emissioni in varie parti del mondo e alcuni degli scenari più catastrofici del climate change sembrano al momento improbabili, i progressi fatti fino a oggi sono ancora insufficienti per evitare importanti calamità, dai fenomeni meteo estremi alle siccità prolungate, allo scioglimento dei ghiacciai al collasso della barriera corallina.
“Esorto i governi a studiare attentamente i risultati del rapporto e, in ultima analisi, a comprendere cosa significa per loro e definire quali azioni dovranno intraprendere in seguito”, ha affermato Simon Stiell, responsabile del clima delle Nazioni Unite. “Il bilancio globale è un momento critico per una maggiore ambizione e un’accelerazione dell’azione”.
G20 India, nessuna menzione alle fossili nel comunicato finale
A Dubai, infatti, i paesi dovranno all’interno dei negoziati di COP28 approvare il primo Global Stocktake, una sorta di riassunto di quanto fatto da ogni paese e individuare le aree di miglioramento (modificando i propri NDCs) per poter raggiungere una riduzione delle temperature ben al di sotto dei 2°C come richiesto dall’Accordo di Parigi, possibilmente rimanendo entro 1,5°C di aumento delle temperature medie globali entro la fine del secolo. Al momento rimaniamo in traiettoria con lo scenario da 2,5°C, fatto che desta grave preoccupazione tra gli scienziati e policy maker.
Per mantenere il riscaldamento globale a livelli più sicuri, le emissioni globali dovrebbero crollare di circa il 60% entro il 2035, il che molto probabilmente richiederebbe un’espansione molto più rapida delle fonti energetiche come l’energia eolica, solare o nucleare e una forte diminuzione dell’inquinamento da combustibili fossili, come petrolio, carbone e gas naturale.
Le speranze da riporre sui governi sono però limitate. Nonostante il report, dal G20 di Delhi non sono arrivate notizie soddisfacenti per il clima. Se si legge il comunicato finale dei lavori delle più grandi nazioni della terra (che da sole producono l’80% delle emissioni di gas serra e una percentuale simile di PIL), non si trova infatti nessuna menzione alle fonti fossili, né al phase out/down né alla questione dei sussidi fossili (se ne parlò la prima volta nel G20 di Pittsburgh nel 2009).
Dal G20 di Delhi pochi impegni e poche speranze
Certo c’è l’annuncio di triplicare lo sforzo di installazione di nuove fonti rinnovabili, sicuramente encomiabile, così come d’interesse (ma da prendere con le pinze) è il lancio della Global Biofuel Alliance. Ma sarebbe servita una presa di posizione chiara dei leader, anche generica, sulle fonti fossili. Invece si è ribadito (come già successo al summit dell’Amazzonia) come gli interessi economici a breve termine di alcune grandi aziende sono più importanti per i capi di stato del G20 della sicurezza e della salute di 8 miliardi di cittadini.
Non bastano a riportare speranza i 2 miliardi di dollari che il Regno Unito impegnerà per il Green Climate Fund, il più imponente meccanismo di finanziamento per affrontare il cambiamento climatico. A porre il veto sulla risoluzione sono stati i paesi petroliferi Arabia Saudita, Russia e Australia e i paesi legati al carbone, India e Sud Africa. Per di più la nuova iniziativa indo-saudita-europea che sostituirà la Roads and Belts Initiative cinese (con il beneplacito degli USA) rafforzerà ulteriormente i petro-emirati, da anni in prima linea per far fallire ogni decisione internazionale sulla riduzione del consumo di gas e petrolio.
Una conditio sine qua non per raggiungere gli obiettivi climatici, su cui il G20 non può esimersi dal prendere una decisione. Sino a quel momento le speranze di fermare il riscaldamento globale e tutte le conseguenze annesse rimango pari a zero.
Immagine: Laurentiu Morariu, Unsplash