Entro il 2100 fino a 5,5 miliardi di persone potrebbero essere esposte ad acqua inquinata. È questa la principale conclusione di uno studio pubblicato il 17 luglio scorso sulla rivista scientifica Nature Water. La qualità delle acque superficiali, spiegano i ricercatori, cambierà a causa delle alterazioni dei carichi inquinanti, dei prelievi e dei regimi idrologici, determinati sia dal cambiamento climatico che dagli sviluppi socioeconomici.
Variazioni non senza conseguenze, soprattutto a voler leggere i dati in termini di giustizia climatica. Se da un lato la qualità delle acque migliorerà nella maggior parte delle economie avanzate grazie a infrastrutture e investimenti, ben diverse sono le prospettive per il Sud Globale. L'Africa subsahariana, in particolare, diventerà hotspot globale per l'inquinamento delle acque di superficie. La sicurezza idrica, insomma, non dipenderà solo dalla quantità di oro blu a disposizione.
“Molti studi hanno esaminato gli aspetti quantitativi, cioè come cambierà la disponibilità di acqua in futuro con il cambiamento climatico. Alcuni hanno preso in considerazione anche i cambiamenti socioeconomici, ma pochissimi studi hanno fatto la stessa cosa ponendo l'accento sulla qualità dell'acqua. Questo lavoro, pubblicato su Nature Water, credo sia il primo tentativo, soprattutto con un orizzonte temporale che si spinge al 2100”, spiega a Materia Rinnovabile Edward Jones, geoscienziato dell'Università di Utrecht e coautore dello studio.
Lo studio
Prima di addentrarsi nello studio, una premessa fondamentale: la scarsità d’acqua è un concetto relativo. Di acqua ce n’è poca non solo quando aumenta la domanda (leggasi: popolazione globale che ad oggi ha superato 8 miliardi di individui), ma anche quando l'approvvigionamento idrico è influenzato dalla diminuzione della quantità o della qualità della risorsa a disposizione.
“In questo studio abbiamo analizzato la temperatura dell'acqua e tre diverse concentrazioni di inquinanti: i solidi totali disciolti, che sono un indicatore piuttosto generico dell'inquinamento da salinità; la richiesta biochimica di ossigeno (BOD), un indicatore generico dell'inquinamento organico; infine, i coliformi fecali, che sono fortemente correlati all'inquinamento da patogeni e batteri. Poi siamo passati all’esame di ciò che accadrebbe se si raggiungessero gli obiettivi delle Nazioni Unite per il trattamento delle acque reflue”, continua Jones.
Secondo il 6° Assessment Report dell’IPCC - la più esaustiva e aggiornata rassegna della conoscenza scientifica sui cambiamenti climatici per i governi, la comunità scientifica internazionale e l’opinione pubblica mondiale - attualmente, circa 4 miliardi di persone vivono in condizioni di grave scarsità d'acqua dolce per almeno un mese all'anno, mentre mezzo miliardo di persone nel mondo deve affrontare una grave scarsità d'acqua per tutto l'anno. Ed è proprio intorno a tre scenari socioeconomici e di concentrazione di gas serra (SSP1-RCP2.6, SSP5-RCP8.5 and SSP3-RCP7.0) sviluppati dall’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che i ricercatori hanno sviluppato le loro simulazioni al 2100.
In tutti e tre gli scenari – quindi rispettivamente con cambiamento climatico limitato e sviluppo sostenibile priorità globale, caso intermedio e quadro di crescenti rivalità nazionali unite a lento progresso economico e ambientale - la qualità dell'acqua è peggiorata nei Paesi del Sud America e dell'Africa subsahariana caratterizzati da economie emergenti. Viceversa, in molti Paesi sviluppati, i livelli di inquinanti tendevano a diminuire, grazie al miglioramento del trattamento delle acque.
In particolare, nel caso peggiore (SSP3-RCP7.0), l'inquinamento organico delle acque superficiali dell’Africa subsahariana è più che quadruplicato entro il 2100, lasciando 1,5 miliardi di persone esposte ad acqua non sicura. Deterioramenti significativi anche in Asia Meridionale, Medio Oriente e Nord Africa.
Infrastrutture (anche ispirate alla natura) e collaborazione transfrontaliera tra le possibili soluzioni
Sono gli stessi ricercatori a proporre le possibili soluzioni. “Bisogna incoraggiare la cooperazione globale, soprattutto se uno dei motivi per cui stiamo assistendo a miglioramenti nel mondo occidentale, ad esempio, è legato alla globalizzazione. Abbiamo spostato le nostre attività produttive altrove, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. In un certo senso abbiamo esternalizzato parte del nostro inquinamento. Credo quindi che ci sia una certa responsabilità nell'aiutare i Paesi in via di sviluppo a utilizzare le conoscenze acquisite nel mondo occidentale, in Nord America e in altri Paesi più ricchi del mondo, sulla gestione e il trattamento delle acque reflue”, conclude Jones.
“Oltre a puntare alla prevenzione, cioè evitare che gli inquinanti entrino negli ecosistemi, il secondo suggerimento, in termini di raccolta e trattamento delle acque reflue, è di guardare oltre alle infrastrutture classiche altamente ingegnerizzate. Certo, possono sicuramente aiutare, soprattutto nelle aree urbane, ma nelle aree rurali possono non sono necessariamente la strada migliore da percorrere. Meglio preferire soluzioni basate sulla natura. Ad esempio, rispetto a sistemi di raccolta e trattamento centralizzati, le zone umide non richiedono anche energia”.
Immagine: Envato Elements