424 pagine. È questa la mole della versione integrale della proposta di aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). Il documento, inviato il 19 luglio dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica alla Commissione Europea, aggiorna il PNIEC del 2019 e fissa gli obiettivi nazionali al 2030 su efficienza energetica, fonti rinnovabili e riduzione delle emissioni di CO2.
Tuttavia, la proposta di Piano – che affronta anche temi come sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile – ha già scatenato le prime reazioni. E non poteva che essere altrimenti: approccio emergenziale, percorso di uscita dalle fonti fossili non coerente con gli obiettivi di neutralità climatica al 2050, ingresso di un “Piano Fermi” sul nucleare e del famigerato “Piano Mattei” per fare dell’Italia hub energetico del Mediterraneo, target per le rinnovabili poco ambiziosi, oltre alla mancanza di un quadro di governance ben definito per il monitoraggio del Piano e di una sua eventuale modifica successiva all’approvazione.
Nel frattempo, la bozza ora al vaglio degli organismi comunitari dovrà passare nei prossimi mesi anche da Parlamento e Regioni e attraverso procedimento di Valutazione Ambientale Strategica. L’iter dovrà infatti concludersi entro giugno 2024.
Il vecchio PNIEC 2019 giudicato troppo ottimista
Nell’aggiornare il Piano del 2019, il MASE è partito da una ricognizione dei principali indicatori energetici ed emissivi per definirne lo stato dell’arte al 2021 rispetto alla previsione al 2030 con le attuali politiche vigenti. Risultato? “Se confrontati con gli obiettivi declinati nel PNIEC 2019 - si legge nel documento - tali valori hanno messo in luce delle distanze rispetto agli obiettivi che ci si prefiggeva di raggiungere”.
Tutto, o quasi, da rifare. Ad esempio, con le attuali politiche la penetrazione al 2030 delle fonti rinnovabili assumerebbe un valore del 27% (contro un obiettivo del 30%), il consumo finale scenderebbe solo a 109 Mtep (5 megatonnellate di petrolio equivalente oltre l’obiettivo del PNIEC 2019) e la riduzione delle emissioni nel settore non industriale (trasporti, residenziale, terziario, rifiuti, agricoltura e industria non ricadente nel settore ETS , quindi esclusi quei settori industriali ad alta intensità energetica, legati a produzione di energia elettrica e di calore o aviazione civile) raggiungerebbe il 28,6%, invece del 33% previsto.
“Questi ‘gap’ possono essere imputati principalmente all’eccessivo ottimismo del Piano 2019 circa la possibilità di raggiungere gli obiettivi, all’incompleta attuazione delle misure previste e al mutato contesto (pandemia, ripresa economica, guerra)” si legge nelle motivazioni.
Sul fossile phase-out incoerente e Italia hub energetico. Nel mezzo nucleare e corridoi per la CCS
Leggendo il Piano salta all’occhio la retorica emergenziale, declinata in chiave di sicurezza energetica attraverso lo sfruttamento del gas naturale.
Il phase-out del carbone sarà infatti implementato attraverso la realizzazione di unità termoelettriche addizionali alimentate a gas. Intervento motivato con il mantenimento dell’adeguatezza del sistema in presenza del forte incremento delle quote di rinnovabili non programmabili nella generazione elettrica. A questo va poi aggiunto, oltre ai rigassificatori, lo sviluppo di ulteriori infrastrutture di interconnessione per la diversificazione degli approvvigionamenti di gas. Austria, Algeria, Tunisia, Egitto e Azerbaijan tra i Paesi su cui puntare per fare dell’Italia un hub energetico del Mediterraneo, come più volte ribadito dalla premier Meloni nell’annunciato “nuovo Piano Mattei”.
Ma attenzione, se da un lato per alcuni gasdotti si parla anche di sviluppo di rete multivettoriale (quindi capaci di trasportare in futuro anche l’idrogeno) nel PNIEC si torna a parlare di cooperazione transfrontaliera in tema Carbon Capture and Storage (CCS): “Con riferimento ai flussi internazionali di CO2 provenienti da altri Paesi dell'area mediterranea, sono pervenute manifestazioni di interesse di iniezione in Italia, nell’ambito delle procedure del Regolamento TEN-E, da emettitori esteri, per un totale di oltre 1 Mton/anno di CO2, provenienti principalmente dalla Francia, che si aggiungono a quelle relative agli impianti nazionali di almeno 3,6 Mton/anno ed una potenziale cattura ed esportazione dall’Italia verso la Grecia entro la prima metà del 2030”.
Oltre alla CCS anche il nucleare fa capolino in maniera più convinta. “Esistono grandi potenzialità per l’Italia per contribuire al rilancio dell’energia nucleare in Europa e nel mondo, in termini di partecipazione a programmi di sperimentazione su soluzioni innovative di generazione elettro-nucleare”, si legge nel testo. Giudizio completamente negativo secondo il think tank ECCO: la strategia globale di abbandono delle fonti fossili è incoerente con gli obiettivi di neutralità al 2050.
Elettricità Futura: sulle rinnovabili alzare l’ambizione
In linea con gli obiettivi comunitari derivanti dal Fitfor55, la proposta di PNIEC prevede al 2030 una quota del 40% di rinnovabili nei consumi finali lordi di energia che sale al 65% per i consumi solo elettrici. Il 37% di energia da rinnovabili per riscaldamento e raffrescamento, il 31% nei trasporti, 42% di idrogeno da rinnovabili per gli usi dell'industria.
“Il nuovo PNIEC” commenta a Materia Rinnovabile Agostino Re Rebaudengo, Presidente Elettricità Futura, “che dovrà essere approvato entro giugno 2024, auspico indicherà un target rinnovabili più alto rispetto all’attuale bozza e più coerente rispetto alle priorità del nostro Paese che importa l’80% del fabbisogno energetico. Abbiamo un’eccellente filiera industriale della transizione energetica pronta a installare 80 GW di rinnovabili da qui al 2030 e creare 360 miliardi di benefici per l’economia italiana e 540.000 nuovi posti di lavoro, come prevede il Piano 2030 del settore elettrico elaborato da Elettricità Futura.”
Lo scenario di policy elaborato a partire dalle misure previste a giugno 2023, prevede infatti che al 2030 siano installati complessivamente circa 131 GW di impianti a fonti rinnovabili (di cui circa 80 GW fotovoltaici e circa 28 GW eolici), con un incremento di capacità di circa 74 GW rispetto al 2021. Una capacità da svilupparsi maggiormente al centro-sud, facendo ricorso alle diverse tecnologie disponibili, incluse quelle offshore (anche flottanti).
L’importanza dei settori non-ETS nella decarbonizzazione. Edilizia, ma soprattutto trasporti
Nel nuovo PNIEC una delle maggiori revisioni riguarda la riduzione delle emissioni dei settori non ETS. Il Regolamento Effort Sharing, aggiornato di recente dall’UE, ha infatti fissato per l’Italia un obiettivo più ambizioso rispetto allo scenario di policy (che si fermerebbe tra -35,3% e -37,1%): entro il 2030 le emissioni di trasporti, residenziale, terziario, industria non ricadente in ETS, rifiuti e agricoltura si dovranno ridurre del 43,7% rispetto ai livelli del 2005.
Target che il MASE punta a raggiungere non solo attraverso la riqualificazione degli edifici, come previsto dalla nuova Direttiva Energy Performance Building Directive, ora in fase di negoziazione.
Sui trasporti il PNIEC prevede infatti di incentivare misure tese sia a trasferire gli spostamenti dell’utenza dal trasporto privato a quello pubblico, attraverso lo shift modale dal trasporto su strada a mezzi di trasporto più sostenibili. “Nella bozza di PNIEC 2023 il nostro governo italiano manca di orientare in maniera utile le risorse energetiche per i differenti comparti del settore trasporti; quindi, di dare un indirizzo chiaro al processo di decarbonizzazione”, sottolinea Andrea Boraschi, direttore ad interim di Transport&Environment Italia.
“Gli impegni per la mobilità dolce, lo spostamento modale verso forme di trasporto più sostenibili, lo sharing e il potenziamento del trasporto pubblico locale sono chiaramente condivisibili, ma al momento non supportati da target chiari e politiche solide. Ugualmente positive appaiono le stime per il contributo dell’elettricità rinnovabile al trasporto su strada e a quello su rotaia; del resto è sostanzialmente impossibile conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni, al 2030, senza un significativo apporto di elettroni verdi.
Dove invece la bozza di PNIEC del Governo Meloni desta preoccupazione è nella previsione del contributo dei biocarburanti - inclusi quelli di prima generazione - sostanzialmente raddoppiati e impiegati in larga misura nel settore stradale. Si esprime l'ambizione di raggiungere numeri incompatibili con la disponibilità di feedstock sostenibili, e non si distingue tra biocarburanti realmente ‘avanzati’ e vettori che spesso sono più climalteranti degli idrocarburi fossili. Peraltro, l’Italia, per queste materie prime, è fortemente dipendente dall’import (per quasi il 90%); su gran parte di quelle stesse materie prime permangono forti dubbi di truffe, segnalate anche dalle istituzioni europee); e l’utilizzo di questi carburanti non incide sul gravissimo problema dell’inquinamento atmosferico, che in Italia causa circa 60 mila morti premature l’anno.”
Sulla governance servono linee guida più chiare per attuazione e monitoraggio
Nel PNIEC mancherebbe poi un impianto di governance che renda il Piano uno strumento attuativo ed efficace a seguito della sua approvazione. "Il PNIEC 2023 individua e descrive gli organi di governance che dovrebbero agire in modo dinamico e multilivello, con particolare riferimento al monitoraggio del Piano. Si fatica, però, ad indentificare il disegno complessivo di distribuzione delle responsabilità e delle azioni conseguenti il monitoraggio, ovvero la valutazione e l'eventuale modifica”, spiega Chiara Di Mambro, Responsabile Politiche di Decarbonizzazione di ECCO.
“Le consultazioni svolte finora non appaiono sufficienti a garantire un processo partecipativo e un dialogo multilivello che risponda ai requisiti del Regolamento sulla governance dell'Unione, né, alle esigenze attuative del Piano. Non viene chiarito il contributo di enti locali, imprese, organizzazioni e singoli cittadini chiamati all'attuazione del Piano. Contributo che non può esaurirsi con il disegno delle politiche, ma deve interessare anche le fasi di attuazione, monitoraggio, valutazione e la modifica eventuale delle politiche. Infine, bisogna riconoscere la menzione e l’inquadramento del Piano anche rispetto alla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e al Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC). Tuttavia, gli obiettivi PNACC appaiono scollegati da quelli del PNIEC. In particolare, per le sinergie tra adattamento e mitigazione delle emissioni."
In conclusione, c’è ancora quasi un anno per lavorare alla versione definitiva del PNIEC e alzare l’ambizione. E, viene da aggiungere, entro giugno 2024 sarebbe bene iniettare un po’ di incauto ottimismo, quantomeno con intento apotropaico. Almeno per una delle seguenti ragioni: nei giorni in cui l’Italia invia il suo Piano alla Commissione Ue, l’inviato USA per il clima John Kerry falliva nel trovare un accordo con la Cina, il G20 a Goa (India) sabato scorso non raggiungeva un consenso sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili e contestualmente si iniziava a preparare la prossima COP28 sul clima di Dubai, a casa dei petrolieri impenitenti.
Immagine: Envato Elements