Il 2023 forse passerà alla storia come l’anno dei Nobel assegnati alla lotta per la parità di genere.
Dopo quello per la Pace all’attivista iraniana Narges Mohammadi, in carcere per il suo impegno contro la pena di morte ma soprattutto contro l’oppressione delle donne nel suo Paese, lunedì 9 ottobre l’Accademia Reale di Svezia ha annunciato che il Premio Nobel per l’Economia 2023 andrà a Claudia Goldin per i suoi studi sul gender gap nel mercato del lavoro.

Economista, sociologa e professoressa di Harvard, Goldin diventa così la terza donna, su 93 premi assegnati fino ad oggi, a ricevere il Nobel per l’Economia. Un passo, ha commentato qualcuno, per colmare quel divario di genere da cui la stessa Accademia svedese non può dirsi certo esente.

Chi è Claudia Goldin, Nobel per l'Economia 2023

Nata nel 1946 a New York, Claudia Goldin vanta una lunghissima carriera accademica e decine di pubblicazioni. Ha insegnato all'Università del Wisconsin-Madison, all'Università di Princeton e all'Università della Pennsylvania, e soprattutto è stata la prima donna ad ottenere, nel 1990, una cattedra nel dipartimento di Economia di Harvard.

Tra i suoi libri (non solo sul gender) si ricordano il fondamentale Understanding the Gender Gap: An Economic History of American Women (1990), The Defining Moment: The Great Depression and the American Economy in the Twentieth Century (1998), The Race between Education and Technology (2008) e l’ultimo Career & Family: Women's Century-Long Journey toward Equity (2021). Goldin è inoltre co-direttrice del Gender in the Economy Study Group del National Bureau of Economic Research ed è stata presidente dell'American Economic Association nel 2013/2014 e presidente dell'Economic History Association nel 1999/2000.

Un Nobel per la parità di genere nel mondo del lavoro

Un premio “per aver migliorato la nostra comprensione riguardo la partecipazione femminile al mercato del lavoro”. Con questa motivazione ufficiale l’Accademia Reale di Svezia ha assegnato il Nobel per l’Economia a Claudia Goldin.
Goldin ha infatti dedicato la sua carriera accademica a studiare l’accesso delle donne al mercato del lavoro, la disuguaglianza di reddito e i tanti fattori sociali che alimentano il divario di genere in campo professionale.

“Le donne sono ampiamente sotto-rappresentate nel mercato del lavoro globale e, quando lavorano, guadagnano meno degli uomini”, riassume il comunicato ufficiale dell’Accademia. Goldin è andata allora a cercare i dati per spiegare questa cronica disuguaglianza e capire come superarla in futuro. Vista la carenza di analisi e statistiche sul tema, e soprattutto – problema comune a tutti gli studi sul gender gap – vista la mancanza di dati disaggregati per sesso, si è dovuta reinventare “detective”, come lei stessa ha raccontato, e andare a spulciare tutti gli archivi degli Stati Uniti in cerca di indizi e informazioni. Il suo monumentale lavoro di ricerca l’ha portata alla fine a raccogliere 200 anni di dati, che le hanno permesso di tracciare un quadro completo di come e perché le differenze di genere nei guadagni e nei tassi di occupazione sono cambiate nel tempo.

Infografica della curva a U di Goldin, courtesy of nobelprize.org

Dai suoi studi emerge in particolare un risultato contro-intuitivo: la partecipazione femminile al mercato del lavoro nel mondo occidentale non ha infatti, come si potrebbe pensare, un andamento di crescita costante e lineare, ma segue invece una curva a U. Il che significa che, con il passaggio da una società agricola a una industriale, le donne smisero gradualmente di lavorare (o almeno, di lavorare fuori casa), per poi ricominciare ad accedere al mercato del lavoro all’inizio del XX secolo, con la crescita del settore dei servizi. Un andamento che viene spiegato dalla studiosa come legato all’evoluzione delle norme sociali circa le responsabilità femminile nella gestione della casa, della famiglia e dei figli. Tanto è vero che l’avvento della pillola contraccettiva diviene, in questa storia, una delle svolte determinanti per accelerare la rivoluzione.

Tuttavia, se oggi siamo sul lato crescente della U, il divario retributivo tra uomini e donne è ancora lontano dall’essere colmato. E qui, secondo Goldin, la spiegazione potrebbe risiedere nelle decisioni educative, che vengono probabilmente prese in età troppo giovane e risentono spesso delle aspettative femminili formatesi a partire dalle esperienze delle generazioni precedenti.
Eppure, come emerge dalle ricerche della studiosa (e non solo) nell’ultimo secolo “i livelli di istruzione delle donne sono aumentati costantemente e nella maggior parte dei Paesi ad alto reddito sono ora sostanzialmente più alti di quelli degli uomini”.

Immagine: BBVA Foundation, via Wikimedia Commons