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Il ronzìo di api e calabroni in un prato alla periferia di una grande città; i satelliti in orbita a migliaia di chilometri dalla superficie terrestre; un report di sostenibilità sulla scrivania di un’azienda europea. Sembra l’inizio di un film di fantascienza o la trama di una sciarada. Si tratta invece di un riassunto per immagini del percorso e dell’attività – invero un po’ fantascientifici – di 3Bee, la nature-tech company italiana con la missione di proteggere la biodiversità attraverso l’uso di tecnologie di frontiera.
Nata nel 2017 per sviluppare una tecnologia per monitorare lo stato di salute delle api (Hive-Tech), la società fondata da Niccolò Calandri e Riccardo Balzaretti ha ben presto allargato il proprio raggio d’azione alla biodiversità tout court, mettendo a punto una serie di sistemi per il suo monitoraggio, la sua tutela e rigenerazione.
Fino al lancio, nell’ottobre 2024, di un nuovo strumento rivolto principalmente alle aziende, ma non solo: la 3Bee Environmental Platform, piattaforma integrata per il reporting su biodiversità, clima e natura.
Un progetto che unisce tutti i puntini, combinando il rilevamento del buzz degli impollinatori con i dati satellitari della European Space Agency, per arrivare a report accurati e puntuali che consentano ad aziende o enti locali di agire efficacemente per la protezione della biodiversità. E diventare, come amano dire quelli di 3Bee, Nature Positive.
Come si monitora la biodiversità?
Tutta l’attività di 3Bee prende le mosse da una basilare constatazione: per proteggere e rigenerare la biodiversità, bisogna innanzitutto avere dati il più possibile capillari, omogenei e accurati sul suo stato. Poi si può parlare di soluzioni e strategie, a livello di aziende, enti locali, parchi naturali e persino nazioni.
Il primo passo è dunque mappare, monitorare e censire. Per farlo, 3Bee combina tutto il range di sistemi e tecnologie attualmente a disposizione: dai dati satellitari ottenuti grazie alla collaborazione con l’ESA, ai database pubblici, fino ai censimenti ricavati dalle tecnologie in campo sviluppate dalla stessa società.
Ad esempio Spectrum, che, come ci spiega la responsabile della comunicazione Lisa Santillo, “è un sensore IoT, funziona come un orecchio elettronico che capta il buzz di apoidei, sirfidi e altri impollinatori, rilevandone l’abbondanza e la varietà in una certa area”.
Gli impollinatori (tra cui api, vespe, farfalle, coleotteri) sono una categoria chiave per mappare la biodiversità che li circonda. “Li utilizziamo come una proxy descrittiva della biodiversità [una variabile correlata a quella che non si può misurare direttamente, ndr]”, ci dice Daniele Valiante, agronomo e Biodiversity Strategist di 3Bee. “La loro presenza ci fa capire che c'è una diversità vegetale, e dunque un habitat non solo per gli impollinatori ma anche per fauna grande e piccola.”
Dall’aggregazione dei dati delle diverse fonti, si estrae quindi l’indicatore MSA, ovvero l’abbondanza media di specie in una data area: un parametro riconosciuto a livello europeo che ha diversi sottoindicatori, tra cui l’MSA_LU o Land Use, legato all’uso del suolo.
“Tra tutti i driver di impatto, l’uso del suolo è il più forte rispetto alla biodiversità”, spiega Valiante. “L’inquinamento chimico o l’eutrofizzazione delle acque portata dall’agricoltura, ad esempio, possono variare nel tempo, ma l’uso del suolo è costante e influenza radicalmente il tipo di biodiversità di un’area.”
L’MSA_LU consente di stabilire il grado di “naturalità” di un’area, e di recente 3Bee ha dato una dimostrazione della sua efficacia stilando una classifica delle città italiane “più naturali”: sul podio ci sono Isernia, Belluno e Savona, tre cittadine di provincia con un'ampia copertura vegetale, un basso livello di antropizzazione e, appunto, una biodiversità quasi intatta.
Dal monitoraggio alle strategie
Se le classifiche sono utili per la promozione, i dati elaborati da 3Bee hanno però finalità molto più pragmatiche e importanti. Su di essi si basa infatti la nuova Environmental Platform, che consente a imprese, municipalità e altri enti territoriali di analizzare i propri impatti sugli habitat e le proprie dipendenze dai servizi ecosistemici di un’area, al fine di implementare strategie personalizzate per il clima e la biodiversità.
Si comincia dunque con una fase di assessment: grazie alla piattaforma di 3Bee, bastano 15 minuti per ottenere una fotografia accurata dello stato attuale di un ecosistema, identificando le aree più critiche che richiedono interventi urgenti.
“A questo punto è possibile individuare una strategia, delle azioni concrete di rigenerazione”, spiega Santillo. “Ed è qui che entra in gioco il nostro Biodiversity Strategist, un tecnico appositamente formato che lavora al fianco dei nostri partner e clienti.”
Le aziende coinvolte sono già più di 1.000 e la piattaforma ha raggiunto i 17.000 siti monitorati in 21 paesi. Numeri destinati a crescere rapidamente, anche grazie alla nuova direttiva europea CSRD, che obbliga le imprese a rendicontare i propri impatti su clima e biodiversità, e soprattutto l’efficacia delle soluzioni che adottano. Perché per diventare Nature Positive non bastano dichiarazioni e buone intenzioni: servono i dati.
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In copertina: immagine Envato