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Il primo passo per proteggere la biodiversità del pianeta è avere dei dati accurati, omogenei, il più possibile certi. Poi si può parlare di soluzioni, a livello di aziende, di enti territoriali e di nazioni. Su questo lavora 3Bee, la nature-tech company italiana nata con l’obiettivo di monitorare, proteggere e rigenerare la biodiversità attraverso l’uso di tecnologie all’avanguardia: dai dati satellitari ai sensori sul campo che captano il ronzio degli impollinatori, dalla citizen science al coding del DNA. Fra piattaforme per aziende ed enti, ricerca d’avanguardia e policy per la biodiversità, abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il fondatore e CEO di 3Bee, Niccolò Calandri.

Niccolò Calandri

Qual è la missione di 3Bee?

La nostra missione è cambiata molto rispetto a quando abbiamo iniziato. Oggi l’obiettivo di 3Bee è di analizzare il rischio climatico, gli impatti e le dipendenze su natura, clima e biodiversità di aziende, municipalità e parchi naturali.

Quali prodotti proponete alle aziende?

Oggi il nostro prodotto di punta è la 3Bee Environmental Platform per Clima, Biodiversità e Natura, una piattaforma di assessment, monitoraggio e rigenerazione. Ogni azienda ha ormai l'obbligo di rendicontare e, allo stesso tempo, l'esigenza di essere resiliente ai fenomeni atmosferici e agli eventi climatici estremi. La nostra piattaforma assegna un punteggio di rischio che permette di capire quanto effettivamente un’azienda è resiliente al cambiamento climatico, quanto impatta sul suo territorio e in che modo. E poi arriva il secondo step: a partire dai dati ottenuti dalla prima fase di assessment, è possibile identificare una strategia climatica e di biodiversità su misura, in conformità ai principali standard di rendicontazione internazionali.

3Bee è una società in grado di raccogliere ed elaborare molti dati. Che ruolo ha l'informazione quantitativa nel processo decisionale? 

I dati sono essenziali. Prima dell’esistenza della nostra piattaforma di monitoraggio, tutte queste attività venivano svolte esclusivamente da consulenti. Il consulente – un agronomo, un ecologo, uno scienziato − si reca sul campo per misurare, censire e capire esattamente cosa accade in un preciso punto del territorio. Si tratta di un lavoro molto geolocalizzato e soprattutto molto lungo. Per fare un censimento ci vogliono settimane, o addirittura mesi, e quindi il costo da sostenere per un’azienda è notevole. Il nostro approccio permette di scalare questo processo, riducendone il costo. Più aziende applicano questa tecnologia, più si ottiene una mappatura globale del problema o della soluzione. Si parte dal piccolo sito dell'azienda per poi arrivare al comune, alla regione fino allo stato, ottenendo così una pianificazione strategica dell'obiettivo. Con tanti dati si può dunque misurare in modo più ampio il problema e arrivare a una soluzione più efficace.

Quanto ha pesato questo plus informatico nella vostra crescita molto rapida?

3Bee è nata proprio dalla parte software, dall’analisi dei dati e satellitare. Abbiamo un team di esperti di scienze ambientali, zootecnia, agronomia, architettura del paesaggio, il cui lavoro è guidato dalla nostra tecnologia. Le loro decisioni vengono prima di tutto da un'analisi dei dati, a partire dalla quale si definiscono le soluzioni. È la differenza tra un'azienda di consulenza, che ti dà un servizio ma ci mette sei mesi, e un'azienda di prodotto. Se mi dai una coordinata GPS nel mondo e un perimetro, in mezz'ora posso dirti il tuo problema e in due giorni arrivare a una soluzione. Poi la soluzione va applicata, e a quel punto intervengono i tempi della natura.

Che tipo di rischi vi viene chiesto di monitorare?

Le aziende hanno spesso a che fare con le compagnie assicurative, quindi hanno generalmente bisogno di una valutazione del rischio climatico: inondazioni, rischio idrogeologico, rischio di aridità. Ad esempio un’azienda che produce bibite avrà una dipendenza dall'acqua, e avrà dunque la necessità di sapere quanto è a rischio la sua dipendenza dalla natura. Oppure, se la sede aziendale si trova nel cuore della Pianura Padana, l’esigenza è di sapere qual è il rischio idrogeologico, per intervenire eventualmente con barriere artificiali o naturali. Se parliamo invece di città e comuni, ci sono i rischi verso il cittadino, come quelli legati alle isole di calore. Ad esempio a Milano ci sono zone estremamente cementificate dove si creano isole di calore molto forti che diventano pericolose per la popolazione, soprattutto in estate. O ancora c’è il rischio di alluvioni, soprattutto dove il territorio urbano è più impermeabile perché c’è meno verde. Se consideriamo invece i parchi naturali, la maggiore necessità è di valutare il rischio di specie aliene, capire come si stanno sviluppando, e di conseguenza come intervenire.

Dal punto di vista del quadro internazionale, quanto rilevanti sono stati per voi gli accordi internazionali sulla biodiversità?

A livello internazionale, le direttive emanate sono diverse. Siamo partiti dalla COP15 dove il framework sulla biodiversità ha dato un primo target abbastanza semplice ma molto difficile da raggiungere: ripristinare il 30% di ciò che abbiamo distrutto. Il grande problema è che si tratta di un target settato senza una policy, il che vuol dire che gli stati non lo stanno applicando. Queste policy però, stanno iniziando ad arrivare a livello europeo. La Direttiva CSRD è il driver portante di 3Bee attualmente ed è stata recepita dall'Italia in tempi anche abbastanza brevi. La CSRD introduce alcuni nuovi obblighi, come la doppia materialità, ma soprattutto parla in modo diretto di biodiversità. Si parla dell’obbligo di monitorarla e di sapere esattamente se il sito di un’azienda si trovi in un'area sensibile: ovvero quante specie protette ci sono, quante aree a rischio, quanti parchi naturali, quante key-biodiversity area, quanto è ricca di biodiversità quella zona (non solo di specie a rischio). Le aziende oggi non hanno queste informazioni, ma visti gli obblighi introdotti hanno ora la necessità di iniziare a ottenerle tramite attività di monitoraggio. Quindi, ci sono due alternative: rivolgersi a un consulente che si rechi fisicamente a censire, analizzare, elaborare mappe in sei mesi a un costo notevole, per poi fornire un output; oppure esistono aziende tecnologiche come 3Bee, che aggregano dati per aziende, municipalità e parchi naturali a cui li forniscono. Per noi la CSRD è fondamentale perché impone degli obblighi reali alle aziende. Sarà poi da vedere quali nuovi target emergeranno dalla COP16.

Su quali gap di dati occorre ancora lavorare?

Attualmente con gli obblighi della CSRD ci sono un po’ di dati mancanti per tutti. La MSA (Mean Species Abundance), calcolata confrontando l'abbondanza delle specie in una zona con la loro abbondanza in un ambiente totalmente naturale (non coinvolto da attività umane), è l’indicatore scientifico fondamentale che andrebbe utilizzato. Si tratta di un indicatore calcolabile grazie allo standard GLOBIO, riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma rappresenta una stima e dunque una misura indiretta. Dunque, il maggiore data gap ancora da colmare riguarda la possibilità di censire un certo territorio con una accuratezza tale da essere certi della biodiversità presente. Questo significherebbe censire a partire dal suolo tutti i microrganismi presenti, per poi salire di livello e censire per esempio gli anfibi, i mammiferi ed      espandersi lateralmente per censire anche gli uccelli. Ciò sarà fondamentale per passare da una misura indiretta, ottenuta ora con tecniche più o meno complicate (es. tramite i dati satellitari), a una misura diretta. A questo obiettivo si potrà arrivare in futuro grazie a una piattaforma come quella di 3Bee, che aggrega osservazioni in campo con l’app Biodiversa, analisi del DNA presente nell’acqua o nei pollini, censimenti sonori tramite tecnologia Spectrum e censimenti di fototrappolaggio.

Dal vostro punto di vista di ricerca e sviluppo su cosa state lavorando ora, se potete rivelarcelo?

Attualmente lavoriamo quasi in open book, quindi non abbiamo particolari segreti rispetto alle attività su cui facciamo ricerca. Stiamo lavorando tantissimo sull’analisi satellitare, tema che al momento occupa il 90% della nostra ricerca. L’obiettivo è identificare da satellite cosa c'è al suolo, quali tipologie di piante per ogni singolo pixel di un bosco, ad esempio. In base a questo possiamo definire il land-use di un territorio, che ci permette di arrivare alla misura indiretta della MSA che citavo prima. Il secondo step sarà migliorare le misure in campo. Attualmente, ad esempio, censiamo gli impollinatori con dei sensori IoT denominati Spectrum, delle vere e proprie “orecchie elettroniche” che captano le vibrazioni − buzz − emesse da questi insetti durante il volo. Stiamo inoltre lavorando per sviluppare tecnologie che possano registrare tutta la parte sonora, come i canti degli uccelli o degli anfibi, così da ampliare la nostra analisi e capire in maniera più approfondita quali specie sono presenti in una determinata area di studio. Infine, vorremmo arrivare a utilizzare il bar-coding, o il meta bar-coding per identificare il maggior numero di specie a partire dal polline delle api o dall'acqua delle pozze e degli stagni.

Avete lanciato una vostra app, Biodiversa. A cosa servirà?

L’app Biodiversa nasce con lo scopo di coinvolgere il maggior numero di persone nella nostra missione. Attualmente effettuiamo il censimento delle piante tramite satellite, ma la risoluzione è di 10x10 metri. Come fare per ottenere una iper-risoluzione? Un’opzione potrebbe essere Google, che va in giro a fare foto a tutte le nostre piante, ma non abbiamo ancora una tale potenza. L’altra opzione è di coinvolgere direttamente le persone: scaricando l’app Biodiversa, gli utenti possono scattare foto alle piante ovunque si trovino, inviarcele e scoprire di più sulle specie fotografate. Fin qui potrebbe sembrare un po’ noioso. In realtà il gioco è il vero motore dell’obiettivo scientifico: più giochi, più guadagni punti e sali in classifica. Al momento è anche attivo un concorso a premi, che permette agli utenti − previa iscrizione − di vincere dei premi in base al posto raggiunto in classifica. Con questo sistema cerchiamo di ottenere più fotografie possibili geolocalizzate, così da poter analizzare la biodiversità in modo granulare su tutto il territorio. A oggi Biodiversa è presente in Italia, Spagna, Germania, Francia e in generale in Europa. Abbiamo già raccolto mezzo milione di snap in quattro mesi dal lancio. Ma il nostro obiettivo è censire 50 milioni di piante in tutti i paesi coinvolti. Perciò ora è necessario aumentare la base utenti: ne abbiamo 10.000, di cui 5.000 attivi, ma per raggiungere l’obiettivo e arrivare a censire 50 milioni di piante sarà necessario maggiore supporto dalle persone.

 

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Immagini: 3Bee