Il 26 giugno la viceministro dell’Ambiente Vannia Gava aveva celebrato la firma sul decreto End of Waste per rifiuti inerti da costruzione e demolizione come una “svolta epocale”. Toni meno trionfalistici assume invece l’associazione dei riciclatori di rifiuti inerti (ANPAR) che richiama all’attenzione del MASE alcuni nodi da sciogliere.

Rispetto al testo entrato in vigore il 4 novembre del 2022 − contro cui ANPAR aveva presentato ricorso al TAR del Lazio − il nuovo regolamento ha risolto gran parte delle criticità, alleggerendo i limiti imposti alla presenza di contaminanti ma anche di costituenti contenuti nel test di cessione da effettuare degli aggregati recuperati. Tuttavia gli operatori non sono soddisfatti e chiedono maggiore dialogo con il ministero. I prossimi 24 mesi saranno decisivi per monitorare gli effetti del nuovo decreto e apportare eventuali modifiche.

Cosa non va nel decreto End of Waste

Grazie al decreto End of Waste, il recupero di materiali a fine vita come sabbia, ghiaia, conglomerati cementizi, macerie e tanto altro viene regolamentato in osservanza alle normative europee. A tutti gli effetti, una volta verificata la sussistenza dei requisiti, il materiale recuperato diventa un prodotto e quindi una risorsa. Il nuovo regolamento prevede di sbloccare le potenzialità circolari di un settore − tra i più importanti per quantità prodotte in Italia, in Europa e in tutto il mondo − che solo nel 2021 ha generato nel nostro paese oltre 78 milioni di tonnellate di rifiuti inerti.

Il testo precedente, entrato in vigore nel 2022, fu duramente contestato dalle imprese della filiera edile, con in testa ANPAR in rappresentanza degli operatori del recupero, per la natura troppo restrittiva dei limiti imposti alla presenza di costituenti e di contaminanti negli aggregati recuperati. Limiti che ostacolavano il recupero dei rifiuti inerti incentivando paradossalmente il ricorso alla discarica.

“Un po’ di problemi sono stati risolti per quanto riguarda alcuni controlli ambientali, l’inquadramento delle modalità di campionamento dell’aggregato e l’inserimento di norme di idoneità per i campi di applicazione degli aggregati recuperati”, spiega a Materia Rinnovabile Paolo Barberi, presidente di ANPAR. Ma il regolamento non convince ancora gli operatori. “È stata introdotta un’analisi sulla sostanza secca che impone una ricerca di possibili contaminanti nell’aggregato senza considerare il principio dei parametri pertinenti. La riteniamo una prudenza esagerata che grava sull’economia di quelle imprese che questi controlli li devono pagare”, aggiunge Barberi.

Inquinanti, rifiuti interrati e rifiuti da bonifica

Insomma, secondo ANPAR è più che legittimo verificare la contaminazione di un blocco di cemento armato utilizzato a contatto di una sostanza inquinante. Meno sensato sarebbe, per esempio, ricercare la presenza di inquinanti particolari quando il manufatto da demolire durante il suo ciclo di vita è venuto a contatto con materiali innocui come ad esempio la carta oppure degli abiti o altro che non provoca inquinamento. Il contesto dovrebbe contare.

Tra i punti contestati c’è anche l’esclusione dall’End of Waste dei rifiuti interrati e dei rifiuti provenienti da siti sottoposti a bonifica, nonostante siano inerti e non pericolosi. “Non vanno vanificati l’impegno e gli investimenti delle molte aziende italiane che operano legittimamente nell’interesse dell’economia circolare e della crescita economica propria e di questo settore”, ha dichiarato Giorgio Bressi, direttore di ANPAR e vicepresidente di EURIC Construction & Demolition Branch.

Secondo Barberi i limiti mal posti, ovvero che non hanno una giustificazione di tipo ambientale, oltre a creare danni alle aziende creano danni al sistema paese e all'ambiente perché riducono il quantitativo di rifiuti inerti che possono essere recuperati.

La diffidenza verso i rifiuti inerti

Secondo gli ultimi dati di ISPRA (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) gli inerti da costruzione e demolizione sono i rifiuti speciali più riciclati, con il recupero di 64,7 dei 78 milioni di tonnellate totali. Si tratta di un settore in crescita ma che sui prodotti aggregati paga ancora una certa diffidenza da parte del mercato. “Sono di qualità, costano meno e riducono l’impatto ambientale degli aggregati naturali”, commenta Barberi. “Ma il settore non li percepisce ancora come validi. Penso sia arrivato il momento di pensare a incentivi economici per chi utilizza aggregati recuperati.”

 

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Immagine: Gene Gallin, Unsplash