Se non vengono applicate restrizioni ai PFAS, bonificare i siti contaminati costerà ai paesi europei circa 100 miliardi di euro ogni anno. A rivelare per la prima volta il conto salato per ripulire l’ambiente dagli inquinanti eterni è un’inchiesta del Forever Pollution Project, un progetto di giornalismo investigativo europeo coordinato dal quotidiano francese Le Monde in collaborazione con 46 giornalisti di 16 paesi, inclusa l’Italia.
In un orizzonte temporale di 20 anni, il costo di bonifica totale salirebbe a 2.000 miliardi di euro. Insomma, danni ambientali ed economici esorbitanti che secondo gli autori dell’inchiesta potrebbero essere limitati da Bruxelles. Ma intanto, secondo i documenti raccolti dal team di giornalisti, l’azione di lobby di coloro che vengono soprannominati “mercanti del dubbio”, ovvero gli stakeholders dell’industria dei PFAS, cercano di indebolire o bloccare ogni restrizione. L’obiettivo è continuare il loro business as usual.
La contaminazione da PFAS in Europa
Secondo gli scienziati e gli organi di protezione ambientale intervistati dai giornalisti del Forever Pollution Project, il “veleno del secolo” ha creato la peggiore crisi di inquinamento che l’umanità abbia mai affrontato. I PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) comprendono circa 10.000 composti chimici e sono noti per la loro persistenza nell'ambiente. Oltre a questa caratteristica, alcuni sottogruppi di PFAS presentano altri rischi, come il potenziale di bioaccumulo negli organismi viventi, la mobilità in acqua, suolo e aria, il trasporto a lungo raggio e gli effetti tossicologici su esseri umani e ambiente.
Utilizzati sin dagli anni Quaranta, i PFAS sono impiegati in numerosi settori industriali e di consumo per le loro proprietà uniche, che li rendono resistenti ad acqua, grassi e alte temperature. Si trovano in prodotti come piatti di carta, padelle antiaderenti, imballaggi alimentari, tessuti, tappeti, pellami, elettronica e schiume antincendio. Una diffusione che ha delle conseguenze.
All’inizio del 2023, con la collaborazione scientifica del Centre national pour la recherche scientifique (CNRS) il team del Forever Pollution Project ha individuato quasi 23.000 siti contaminati in tutta Europa. Anche l’Agenzia europea per l’ambiente (AEA) il 9 dicembre 2024 ha rilasciato la sua prima panoramica sull’inquinamento da PFAS nelle acque europee. Sulla base dei dati del 2022 provenienti da circa 1.300 siti di monitoraggio in Europa, il 59% dei siti nei fiumi, il 35% dei siti nei laghi e il 73% dei siti nelle acque di transizione e costiere hanno superato i limiti.
La campagna di lobby dell’industria
Nel febbraio 2023 cinque paesi europei, tra i quali Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, hanno proposto una restrizione totale per i PFAS nell'ambito del regolamento europeo sulle sostanze chimiche REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals). Il divieto prevede la produzione e l’importazione dell'intero “universo” chimico dei PFAS, con alcune deroghe fino allo sviluppo di alternative. In risposta, secondo il Forever Pollution Project, centinaia di operatori che difendono gli interessi di circa 15 settori hanno esercitato pressioni sui decisori politici europei, per indebolire o bloccare la proposta. Analizzando quasi 10.000 documenti ottenuti tramite centinaia di FOIA (Freedom of Information Act), l'inchiesta fa luce sulla massiccia campagna di lobbying e disinformazione orchestrata da produttori e utilizzatori dei PFAS, chiamati dal Forever Pollution Project “i mercanti del dubbio”.
Per esempio, il team di giornalisti ha rivelato il tentativo dei produttori di plastica di ottenere una deroga per un'intera categoria di PFAS, nota come fluoropolimeri. Si tratta di un tipo di plastica “ad alte prestazioni” che viene utilizzata per una miriade di applicazioni, dalle pentole antiaderenti all'abbigliamento per esterni, dalle guarnizioni degli impianti chimici all'isolamento dei cavi degli aerei. Le tattiche di lobby sono le stesse che usò l’industria del tabacco per negare le evidenze scientifiche riguardanti la pericolosità del fumo. Oggi una strategia simile di campagne di informazioni false e fuorvianti inquina anche il dibattito sui pesticidi e altre sostanze chimiche pericolose.
Sui PFAS l’opposizione alle restrizioni dell’industria si appella a ragioni economiche, al fatto che non ci sarebbero alternative oppure che non è ancora possibile attribuire a ogni composto chimico appartenente alla famiglia PFAS lo stesso grado di tossicità. Coinvolgendo 18 accademici e avvocati internazionali di Zurigo, Stoccolma, Toronto, Rotterdam e altri paesi, dal campo della chimica ambientale alla criminologia, l’inchiesta smonta punto per punto ogni argomentazione.
Greenpeace e i PFAS in Italia
Nei mesi di settembre e ottobre 2024 Greenpeace Italia ha condotto un’indagine durante la quale ha prelevato 260 campioni in 235 comuni italiani di tutte le regioni e le province autonome, tranne in Valle d’Aosta. Le analisi, condotte da un laboratorio indipendente e certificato, hanno determinato la presenza di 58 molecole PFAS. Sebbene il numero di campioni non sia molto rappresentativo, i risultati mostrano comunque la presenza di questi composti inquinanti nelle reti acquedottistiche. In 206 dei 260 campioni, pari al 79% del totale, è stata registrata la presenza di almeno una sostanza riconducibile al gruppo dei PFAS.
Tuttavia solo i campioni prelevati dal comune di Arezzo rilevano una soglia superiore ai 100 nanogrammi per litro, uno dei limiti definiti recentemente dall’Europa come soglia di sicurezza e che entreranno in vigore a partire dal 2026. Tra l'altro in una piccola nota riportata nel documento di Greenpeace Italia si legge che il gestore Arezzo nuove acque, dopo il prelievo della ONG, ha avviato una campagna di monitoraggio prelevando 7 campioni: tutti hanno mostrato una concentrazione di PFAS inferiore alla soglia limite.
Le molecole più diffuse sono risultate il PFOA, classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro in classe 2B (possibilmente cancerogeno per l’uomo), e il possibile cancerogeno PFOS in 58 campioni, il 22% del totale. “La verità è che il fenomeno PFAS è globale, come globale è non solo la produzione ma, soprattutto, l’utilizzo dei PFAS”, dichiara Riccardo Piunti, presidente di CONOU, il Consorzio nazionale oli usati che nel 2024 ha avviato un focus di ricerca sulla presenza di PFAS negli oli esausti recuperati e su come questi interferiscono sulla loro circolarità. “Sebbene il dibattito tenda a concentrarsi spesso sui siti produttivi, certamente più critici, si tende a dimenticare che i PFAS una volta prodotti, da grandi nuotatori quali sono, possono diffondersi nelle acque industriali e potabili a causa delle emissioni dei siti utilizzatori."
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In copertina: immagine Envato