L’olivicoltura si sta mostrando particolarmente vulnerabile agli effetti della crisi climatica. La filiera necessita quindi di un ripensamento del proprio modello produttivo, che tuteli il suolo, ottimizzi le risorse idriche e valorizzi gli scarti di produzione. Dal campo fino alla tavola, vi raccontiamo il percorso di sostenibilità intrapreso da Monini.
L’olivicoltura è una delle filiere meno impattanti tra le produzioni alimentari. Calcolando l’impronta carbonica per ogni litro di olio d'oliva prodotto, il docente della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa Luca Sebastiani sostiene che vengano emessi solo 1,24 kg di CO2. Una buona cifra se consideriamo che gli oliveti catturano anidride carbonica grazie a ottime capacità di stoccaggio sia nel suolo sia nel legno.
Diminuisce la produzione con la crisi climatica
Come tante altre attività agricole però, l’olivicoltura è particolarmente vulnerabile all’aumento di temperatura causato dai gas serra. Gli effetti della crisi climatica sono sempre più visibili: dalla degradazione del suolo all’uso eccessivo dei pesticidi, dai forti stress idrici dovuti alla siccità alla diffusione di patogeni come la Xylella fastidiosa e insetti fitofagi come le cimici asiatiche e le mosche olearie. Impatti negativi che vanno a colpire la produzione di uno dei prodotti made in Italy più invidiati.
Secondo le ultime ricognizioni effettuate da Ismea, per la campagna 2021-22 si sono prodotte 315mila tonnellate di olio di oliva. Si registra un +15% sul 2020, ma siamo lontani da quella che viene considerata una buona annata, come le 429mila tonnellate del 2017 o le 506mila del 2012.
Che l’olio italiano non basti a soddisfare la domanda interna è un problema noto già da tempo. Per questo i produttori devono spesso correre ai ripari acquistando olive provenienti da altre regioni o dall’estero – soprattutto Spagna – annullando così il principio di unicità del prodotto.
Viste le criticità della filiera e gli effetti della crisi climatica, per le aziende olivicole è arrivato il momento di ripensare il proprio modello produttivo in modo sostenibile. Eletta per il secondo anno consecutivo leader della Sostenibilità 2022 da un’indagine di Sole 24 Ore e Statista, l’impresa olearia umbra Monini ha iniziato il suo percorso verso la sostenibilità nel 2020, in occasione del suo centesimo anniversario. Con il piano di sostenibilità A Hand for the Future, Monini si è presa l’impegno di raggiungere entro il 2030 una serie di obbiettivi contenuti in tre macroaree, che tracciano tutto il ciclo vita dell’olio: dal campo fino alla tavola. Materia Rinnovabile ha potuto analizzare i progressi e i risultati raggiunti dall’azienda di Spoleto nel Bilancio di Sostenibilità 2021, realizzato in collaborazione con The European House-Ambrosetti.
I progetti “sul campo “di Monini
Monini ha deciso di puntare sulla piantumazione di un milione di ulivi entro il 2030 seguendo le linee guida della strategia europea Farm to Fork che mira a dimezzare l’uso di pesticidi chimici e promuovere l’agricoltura biologica. Capaci di adattarsi a terreni molto aridi e mitigare gli effetti della desertificazione, gli uliveti del Bosco Monini – che sta nascendo tra Umbria e Toscana utilizzando prevalentemente terreni abbandonati – faranno parte di un ecosistema capace potenzialmente di sequestrare fino a 50mila tonnellate di anidride carbonica. A fine 2021 sono stati piantumati 425.865 olivi in regime di agricoltura biologica, un metodo di coltivazione che ammette l’utilizzo di sole sostanze naturali, escludendo prodotti chimici come concimi, diserbanti e pesticidi. In questo modo il Bosco Monini può aiutare a tutelare la biodiversità e contribuire a mantenere la fertilità del terreno, arricchendone il contenuto di sostanza organica e quindi la sua attività biologica. Preservare la struttura del suolo e aumentare le fonti di nutrimento aiuta anche a migliorare la qualità dell’olio di oliva.
Quando ogni goccia conta
È ormai da qualche anno che il mondo dell’agricoltura sta pagando a caro prezzo le prolungate siccità causate dal riscaldamento globale. La devastante crisi idrica di questa estate, che ha colpito soprattutto il Nord, ne è la conferma. Dal momento che la filiera olivicolo-olearia è caratterizzata da consumi idrici significativi, Monini ha voluto ridurre i propri impatti adottando sistemi di irrigazione di precisione, grazie ai quali il rilascio dell’acqua avviene molto lentamente, facendo passare l’acqua per minuscoli labirinti. In questo modo si minimizza l’erosione e la compattazione del suolo, riducendo la dispersione dell’acqua. Nei primi anni di implementazione del sistema goccia a goccia, la distribuzione di acqua localizzata ha permesso all’azienda di aumentare l’efficienza di irrigazione al 95% rispetto a una efficienza media del 70% dei sistemi convenzionali. Ma di questo risparmio idrico non beneficia solo l’ambiente: secondo uno studio pubblicato dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, un’irrigazione controllata può portare ad aumento del contenuto di polifenoli nel periodo di sviluppo del frutto, aumentando così la qualità dell’olio.
Sottoprodotti e packaging: la circolarità dell’olio d'oliva
In ottica di economia circolare Monini sta attuando una completa valorizzazione dei propri scarti di produzione e un alleggerimento del packaging dei propri prodotti. I sottoprodotti sono i residui del processo di estrazione dell’olio e sono di tre tipologie: sansa, acqua di vegetazione e nocciolino. Insieme rappresentano mediamente l’85% del residuo di lavorazione del processo di frangitura, il restante 15% si trasforma in olio extravergine di oliva. Attualmente grazie a moderni frantoi, l’azienda recupera il 100% dei sottoprodotti sia per produrre energia elettrica sia per la fertirrigazione. Sempre più persone inoltre chiedono prodotti che siano tracciabili, di qualità certificata e distribuiti con packaging e imballaggi più circolari possibile. Così, attraverso la tecnologia blockchain, l’azienda umbra vuole rendere tracciabili al 100% i propri prodotti made in Italy, eliminando gli imballaggi di troppo e puntando al commercio di bottiglie di Pet riciclato al 100%. Per quanto riguarda le bottiglie di vetro, invece, Monini ha già raggiunto una percentuale di vetro riciclato del 60% ed entro la fine del decennio punta al 100%. Centrando così il vero spirito dell’economia circolare.
Immagine: Monini
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