Qualche giorno fa ho per la prima volta sperimentato, e capito profondamente, cosa sia l’eco-ansia. Non sono dovuta andare a osservare un ghiacciaio in estinzione a 4000 metri, e non mi è nemmeno toccato viaggiare per migliaia di chilometri per raggiungere un ex paradiso terrestre lordato da plastica e petrolio. Sono tutte cose che ho fatto in passato, in effetti, ma nonostante le sensazioni di tristezza e rabbia che spesso queste e altre situazioni analoghe mi avevano procurato, non mi era mai capitato di ritrovarmi impigliata in quella rete di impotenza, disfatta e paura del futuro che oggi chiamano eco-ansia.
Ebbene, è successo. Ed è successo nella mia
Torino, passeggiando a pochi minuti da casa sulla riva del fiume che conosco sin da quando ero bambina: il grande Po oggi è in secca, e io francamente non ho memoria di spettacolo più desolante.
È chiaro che l’angoscia che mi ha assalito non è derivata dalla violenza dell’immagine: non ho visto, camminando lungo il Po, cormorani con le ali incatramate, né bambini che scavavano in una discarica, ma solo delle anatre che arrancavano nella melma, invece di nuotare in due metri d’acqua come sarebbe normale. È stato tuttavia il collocarsi di quell’immagine in una sfera di quotidianità a creare il cortocircuito della consapevolezza: il mondo non sarà più quello che conosciamo. E il cambiamento è già in atto, rapidissimo.

I numeri della siccità

Sarà, anzi è già, un mondo dove parole come siccità e desertificazione non riguardano più esclusivamente qualche “luogo sfortunato” nei pressi dell’Equatore, ma interessano tutti da vicino. “Nessun Paese è ormai immune alla siccità”, ci ricordano le Nazioni Unite in occasione del World Day to Combat Desertification and Drought, indetto il 17 giugno.
La quantità e la durata degli eventi siccitosi sono aumentate del 29% negli ultimi vent’anni. Nel mondo ci sono già 2,3 miliardi di persone che affrontano situazioni di stress idrico e il numero è destinato a crescere: secondo l’UNICEF, entro il 2040 un bambino su quattro vivrà in aree con gravi carenze d’acqua ed entro il 2050 i tre quarti della popolazione mondiale potrebbero sperimentare condizioni di siccità. Secondo una stima della Banca Mondiale, più di 200 milioni di persone potrebbero essere costrette a emigrare a causa della mancanza d’acqua entro il 2050 e sono 129 i Paesi che vedranno aggravarsi i propri problemi di siccità legati agli effetti del cambiamento climatico. In tutto il mondo, compresa l’Europa. Anzi, se non dovessimo riuscire a contenere l’aumento delle temperature e il riscaldamento globale dovesse raggiungere i 3°C nel 2100, le perdite dovute alla siccità (in primis quelle agricole) potrebbero essere cinque volte superiori a quelle odierne, soprattutto per i Paesi del Mediterraneo e le regioni atlantiche dell'Europa. E per chi pensasse che il 2100 in fondo è lontano, i dati diffusi dalle Nazioni Unite avvertono che nell’UE e nel Regno Unito “le perdite annuali dovute alla siccità sono attualmente stimate a circa 9 miliardi di euro e si prevede che aumenteranno a oltre 65 miliardi senza un'azione per il clima significativa”.
Oltre a colpire la sussistenza delle popolazioni umane, siccità e stress idrico sono ovviamente una delle cause principali della degradazione del suolo e della desertificazione dei territori, un problema che – come abbiamo già spiegato su queste pagine – riguarda sempre più anche l’Europa. L’Italia, in particolare, è uno degli hotspot di questa crisi e il triste spettacolo del suo più grande fiume a corto d’acqua ne è l’immagine più eloquente. Secondo l’Autorità di Bacino del Po, la situazione a cui stiamo assistendo in queste settimane è “la peggior crisi da 70 anni ad oggi”, con impatti gravi soprattutto nei settori dell’agricoltura e della produzione di energia.

Rigenerare e adattarsi

Ora la domanda è: possiamo fare qualcosa? La risposta è che dobbiamo. Perché se l’eco-ansia è una reazione più che giustificata, non servirà a fermare la sete.
La
mitigazione climatica, ovviamente necessaria, da sola non basta. Bisogna rigenerare, così come le Nazioni Unite hanno chiesto di fare inaugurando, l’anno scorso, il Decennio per il Ripristino degli Ecosistemi. È necessario riportare la materia organica nel terreno, adottare pratiche di agricoltura rigenerativa, controllare l’erosione, fermare la cementificazione e lo sconsiderato consumo di suolo, efficientare l’utilizzo dell’acqua adottando, ovunque sia possibile, un approccio circolare (come spieghiamo nel numero 40 del magazine).
E naturalmente bisognerà imparare ad adattarsi, ad essere più resilienti, a
far tesoro di ogni goccia.

Immagine: Oleksandr Sushko (Unsplash)