La biodiversità è sbarcata a Roma. Nonostante non ci siano grandi eventi organizzati a latere del negoziato COP16 bis, il mondo delle imprese ha seguito con curiosità i lavori negoziali nelle sale della FAO. Un dato di fatto: è cresciuto negli ultimi due anni l’interesse delle aziende sugli impatti e i rischi legati alla perdita di biodiversità. Ne abbiamo parlato con Paolo Viganò, fondatore di Rete Clima, presente nelle sale della FAO.

 

Rete Clima lavora da dieci anni per accompagnare aziende in percorsi di ESG, sostenibilità, governance, CSR e decarbonizzazione. Come sta cambiando la domanda di servizi di consulenza legata ai temi della biodiversità e della tutela e rigenerazione della natura?

Lavoriamo con tanti settori, certi classici, come l’agroalimentare e zootecnico, altri non strettamente legati al tema biodiversità, come quello bancario. Ci sono aziende che portano avanti con noi progetti di riforestazione e rigenerazione o lavorano in maniera più ampia sulla biodiversità. Noi ci concentriamo sulla multifunzionalità delle foreste, offrendo servizi di progettazione, esecuzione, manutenzione per la tutela della biodiversità e la generazione de servizi ecosistemici. Ci sono aziende direttamente interessate alla protezione della biodiversità, altre che la raggiungono come beneficio integrante dei progetti di compensazione ambientale o compensazione delle emissioni di gas serra. La richiesta è quella della certezza del risultato, del suo monitoraggio e della sua rendicontabilità. È un risultato che cerchiamo di garantire usando sia strumenti satellitari, che strumenti di misura diretta, che algoritmi di modellazione secondo una logica fortemente science-based, strutturata secondo approccio olistico e integrato, e non limitandoci a mettere qualche alveare qua e là.

Che livello di attenzione ha il settore privato italiano sulla biodiversità?

Non c'è tanta cultura sul tema. Le azioni che le aziende fanno sono spesso a complemento di altre azioni che svolgono in campo ambientale o climatico. Con l’affermazione della compliance con la CSRD, seppur revisionata, le aziende si confrontano con lo standard ESRS E4 sulla biodiversità e iniziano a includerla nei propri bilanci di sostenibilità. Spesso però lo fa anche chi non ha un obbligo, in maniera totalmente volontaria. Il passaggio dagli standard GRI (linee guida internazionali per la rendicontazione della sostenibilità aziendale, utilizzate per misurare e comunicare l'impatto economico, ambientale e sociale delle attività aziendali) allo standard europeo degli ESRS è pervasivo. Rimangono fedeli al GRI solo le aziende che hanno un approccio internazionale e non sono vincolate alla CSRD. Non crediamo che la compliance sia fondamentale per allargare l’interesse della misurazione sugli impatti e rischi legati alla biodiversità. Già ora vediamo tante aziende interessate alla biodiversità in maniera volontaria. E noi lavoriamo per il 99% con aziende che non hanno l’obbligo ma ne capiscono l’importanza strategica.

Che peso ha sulle scelte delle aziende il negoziato sulla biodiversità? Accordi come il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework sono percepiti come una linea di indirizzo?

Sta soprattutto a società come la nostra o ai media fare sensibilizzazione sui negoziati e sulla biodiversità. Nella survey che abbiamo lanciato recentemente emerge che, se da un lato ci sono i consumatori poco informati, le aziende lo sono, anche se ancora in maniera generica. La notizia positiva è che – secondo la nostra analisi – il 71% delle aziende di vari settori produttivi ha in programma di realizzare e sostenere progetti di biodiversità entro i prossimi tre anni, una buona parte già avviati. Stiamo passando soprattutto da piccole azioni spot a una strategia coordinata e sistematica.

Il 25 febbraio a Roma, a COP16 bis, si è annunciata la piena operatività del Fondo di Cali, a cui le imprese private di medie-grandi dimensioni che sfruttano commercialmente il sequenziamento digitale della natura possono contribuire versando o lo 0,1% del fatturato o lo 1% dei profitti. Nessuna azienda però si è fatta avanti pubblicamente. Pensi che sia importante contribuire?

Questo è un approccio volontario ma credo che sia importante per le aziende di settori come agroalimentare, cosmetico o farmaceutico contribuire in maniera concreta per tutelare quei bacini di biodiversità che sono fondamentali per fare nuove scoperte attraverso il sequencing genetico di specie esistenti e nuove. In particolare, questo fondo sarà usato per le popolazioni indigene e per tutelare le aree megadiverse. Una grande opportunità anche di posizionamento e marketing.

COP16 bis è terminata ieri, giovedì 27 febbraio, dopo tre giornate in cui voi siete stati presenti per osservare da vicino i lavori. Come mai?

Fa parte di quel tentativo di sensibilizzazione e comunicazione con i nostri stakeholder, i nostri partner. Ma c'è anche un altro motivo per cui siamo qui: per molte aziende noi offriamo un’indicazione di posizionamento su temi emergenti, poter quindi accedere ad informazioni di prima mano è per noi importantissimo anche al fine di un migliore accompagnamento su questi temi così importanti. In particolare, la COP16 ha segnato un passaggio fondamentale, da una parte per dimostrare la tenuta del multilateralismo, dall’altra per promuovere la protezione della biodiversità e il rafforzamento delle politiche di finanziamento a sostegno degli ecosistemi. La decisione di mobilitare 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 è un passo necessario per colmare il gap finanziario e garantire azioni concrete per la tutela della natura soprattutto in quei paesi più esposti al cambiamento climatico, ma anche più ricchi di biodiversità. La creazione del Global Biodiversity Framework Fund e il coinvolgimento del settore privato sono elementi chiave per accelerare questa transizione. Tuttavia, affinché queste risorse siano efficaci, è fondamentale garantire accessibilità, trasparenza e una chiara governance dei finanziamenti, assicurando che comunità locali, imprese e territori possano realmente beneficiarne. In questo senso il lancio del Cali Fund rappresenta un’iniziativa importante per la giustizia ambientale e l’impegno del settore privato. Questo fondo mira infatti a redistribuire equamente i benefici derivanti dall’uso delle informazioni sul sequenziamento digitale delle risorse genetiche, riconoscendo finalmente il ruolo cruciale delle comunità indigene nella conservazione della biodiversità. È essenziale, però, che le aziende partecipino attivamente e volontariamente a questo meccanismo, affinché il Cali Fund possa realizzare appieno il suo potenziale. Come Rete Clima continueremo a lavorare sul territorio locale promuovendo azioni concrete per integrare la biodiversità nelle strategie di sostenibilità aziendale e territoriale, supportando i soggetti privati nella loro nature strategy. L’appello ora è a governi, aziende e società civile: solo un’azione condivisa e coordinata potrà garantire un futuro agli accordi presi in difesa della biodiversità.

 

In copertina: Paolo Viganò, Rete Clima