Lo scorso 29 gennaio la Commissione UE ha presentato la Bussola per la competitività, o Competitiveness Compass for the EU, un piano strategico per orientare le politiche europee nei cinque anni di mandato. Allo stesso tempo si discute di Omnibus Simplification Package, proposta legislativa destinata a semplificare le normative su Tassonomia, Corporate Sustainability Reporting (CSRD) e Due Diligence (CSDDD).
Materia Rinnovabile ha fatto il punto con Annalisa Corrado, europarlamentare di PD - Gruppo alleanza progressista socialisti e democratici, in occasione della presentazione del programma di lavoro per il 2025 della Commissione UE: “Una comunicazione molto ordinaria, un po’ sottotono. Ursula von der Leyen non ha partecipato, come invece auspicavamo. Aspettiamo ora i primi testi, che arriveranno tra fine febbraio e inizio marzo, per dare un giudizio più specifico su quello a cui la Commissione sta lavorando”.
Qual è il suo punto di vista sulla Bussola per la competitività e come è stata recepita dai colleghi la proposta di von der Leyen?
La Bussola riprende una serie di parole chiave e obiettivi importanti, su cui si è costituita la maggioranza, per cui da questo punto di vista siamo soddisfatti, dalla riaffermazione della decarbonizzazione, anche in considerazione della nuova agenda Trump, all’ambizione sul Green Deal. Forse si poteva essere più forti sulla parte di protezione sociale, pensando a tutte le persone che stanno perdendo il lavoro e alla necessità di riqualificazione professionale. Il grande assente è, secondo me, l’aspetto degli strumenti: come realizzare le iniziative? Servono risorse per fare tutte queste cose, serve modificare i trattati e superare il principio dell’unanimità per essere efficaci e dinamici, senza cambiare le regole non ci smuoviamo dalla situazione in cui siamo. Se poi si considera che parallelamente si parla di fare debito per le armi, qualcosa che non funziona c’è. La sensazione è questa, in estrema sintesi.
Non circolano proposte per una strategia di budget? Si discute di Clean Industrial Deal, ma senza i soldi si può fare poco.
Ci sono gli strumenti che conosciamo, come il NextGenerationEU che si chiuderà nel 2026, c'è poi l’Agenda Draghi che apre scenari sul dopo, ma su questo aspetto sono tutti piuttosto abbottonati, così come sull’Omnibus che dovrebbe avere al centro la semplificazione. Anche in questo caso non so se dipende dal fatto che la Commissione sia, appunto, molto abbottonata nei nostri confronti oppure se la discussione tra le capitali sia pure qui ancora in alto mare . Non c’è un clima di grande coralità e condivisione.
Tra l’altro ci sono state lamentele da parte del mondo della finanza, ma anche dell’industria, perché si ritiene che la consultazione si sia tenuta eccessivamente a porte chiuse, limitata ai soggetti dell’oil and gas.
Le realtà che hanno protestato sono numerose, tra cui le ONG e i sindacati, che hanno anche organizzato una manifestazione.
A proposito di Omnibus, qual è il suo auspicio sul risultato finale?
Premesso che si tratta di uno spacchettamento per fasi di cui si sa ancora poco, in linea generale quella della semplificazione è un’esigenza ampiamente condivisa e auspicata da tutti, a vari livelli. Il timore, come sempre, è che la semplificazione rappresenti un abbassamento delle ambizioni di vario genere, dalla protezione ambientale alla decarbonizzazione. Questo è il diavolo che si nasconde nei dettagli. Chiaramente bisogna rendere più snelli certi aspetti, ma, viste anche le maggioranze che ci sono al Parlamento in questo momento, si rischia che questo diventi un cavallo di Troia per mettere in discussione le cose. Quindi, benvenuta semplificazione, purché non sia un abbassamento dell’ambizione travestito. Il rischio è anche quello del disimpegno delle risorse private, oltre a quelle pubbliche, destinate alla transizione.
Il primo aspetto in discussione è quello dei report di sostenibilità e della CSRD.
Io vengo dal mondo delle imprese ed effettivamente certa reportistica sta mettendo in crisi anche i più virtuosi, perché si tratta di cambiamenti importanti ed è veramente difficile tenere tutto sotto controllo. Le imprese che già lo fanno sanno che questo è un valore aggiunto, perché diventa un asset strategico della loro attività. Se però viene percepito solo come un orpello costoso, il rischio flop è clamoroso, soprattutto in una fase come questa, con il prezzo dell’energia alle stelle, la crisi delle materie prime in corso e la geopolitica impazzita. Ribadisco: un conto è provare a capire che cosa non ha funzionato e mettere in atto meccanismi di flessibilità e di adattamento alle diverse esigenze delle aziende, un conto è fregarsene e dire “fate come vi pare”, oppure spostare in avanti.
Quali sono le tematiche legislative principali per il 2025, in particolare su temi come sviluppo e agricoltura sostenibile?
Ci sono la Climate Law, con l'obiettivo di decarbonizzazione al 2040, l'applicazione della Nature Restoration Law, su cui tra l’altro mancano chiarimenti su strumenti e risorse, la nuova iniziativa sugli oceani , molto interessante anche per le implicazioni sull’offshore, e la strategia per la resilienza dell’acqua. Guardando al futuro, si continua sulla questione dei rifiuti e del packaging, pensando al Circular Economy Act previsto per il 2026. Ci sono poi dossier che arriveranno in acommissione ITRE (industria), importantissimi per la sostenibilità e la sicurezza energetica, con la questione della chiusura delle importazioni di energia dalla Russia, e il Sustainable Transport Investment Plan, con il grande tema dell’infrastruttura dei trasporti. Infine, oltre al Clean Industrial Deal, è previsto l’Action Plan on Affordable Energy: questo è uno temi più discussi, perché è un vulnus di competitività e una leva di deindustrializzazione clamorosa, e noi italiani ci troviamo nella situazione peggiore di tutta l’Europa.
Il tema dell’energia preoccupa sempre di più, anche perché si parla di prezzi che rimarranno alti fino a primavera inoltrata, nonostante un inverno tutto sommato mite.
Ci si focalizza molto sul prezzo del gas ma, secondo me, ci si concentra troppo poco su come questo prezzo viene stabilito. Pensiamo al disaccoppiamento: nei paesi in cui le rinnovabili non sono penetrate abbastanza, come l’Italia, il prezzo marginale continua a farlo il gas, venduto su un mercato che assorbe le questioni geopolitiche in maniera clamorosa. Dalla Russia all’Algeria, dall’Azerbaigian alla Libia, la dipendenza del nostro continente da paesi instabili è un tema: siamo proprio incastrati in questo sistema. C’è il GNL statunitense, sì, ma ora lo gestisce in qualche modo Trump, quindi non è comunque una situazione rosea.
Come fare per cercare di mitigare la situazione, ancora più grave a livello domestico?
Il gas costa tanto, ma non è detto che costerà sempre di più, perché può anche oscillare. Mentre il prezzo che si stabilisce al TTF è affetto da speculazioni, volatilità, instabilità, la stragrande maggioranza del gas continua ad essere venduto con i prezzi stabili (e ben più bassi di quelli del mercato giornaliero) dei contratti bilaterali pluriennali. A mio avviso bisognerebbe trovare il modo di sganciarsi e tornare a un prezzo reale. Per esempio, ci stiamo informando su una sperimentazione attuata in Europa nella scorsa legislatura, AggregateEU, una piattaforma che dovrebbe aggregare la domanda di diversi paesi.
In pratica, l’ipotesi dell’acquirente unico per il gas, che vogliamo in Italia.
La soluzione alla fine è quella, anche per cercare di superare il fatto che in Europa non parliamo con una voce sola: l'obiettivo finale sarebbe avere una strategia industriale comune, una strategia energetica comune e un sistema di acquisti comune. Attualmente l’Italia paga il gas algerino più della Spagna, nonostante il nostro legame consolidato, perché Sanchez ha messo il tetto alle importazioni, ed è abbastanza allucinante. Però, ripeto, mentre si fa un lavoro a medio-lungo termine, è urgentissimo trovare un modo per scardinare le speculazioni, non solo quella del TTF. Guardiamo ancora al prezzo dell’energia, sempre nei paesi dove le rinnovabili non sono ancora abbastanza penetrate: in Germania è il doppio del TTF, o poco più, mentre in Italia è il triplo, o anche il quadruplo, perché noi abbiamo un secondo giro di speculazioni, che ci fa avere alla fine le bollette più alte. Questa è questione di pura regolazione.
Il costo elevato dell’elettricità non sta almeno favorendo lo sviluppo delle rinnovabili, in Europa e anche in Italia?
Le rinnovabili viaggiano forte. L’anno scorso abbiamo prodotto tanti gigawatt, anche nel nostro paese, ma erano frutto di iniziative che arrivavano dal recente passato. Adesso in Italia abbiamo un problema di leggi che non si parlano tra di loro, mentre le regioni e i territori, di fronte al delirio, hanno alzato gli scudi. Abbiamo presentato un'interrogazione parlamentare proprio sul fatto che in Italia le leggi emanate sono contrastanti l'una con l’altra, e quindi le rinnovabili non vengono favorite realmente, malgrado il PNIEC. Negli altri paesi europei, invece, crescono di più e il prezzo dell’energia si abbassa veramente, vedi Spagna.
Sulla Direttiva suolo, che lei sta seguendo, a che punto siamo?
Non essendo andata in porto sotto la presidenza ungherese, i lavori sono ripresi con la presidenza polacca e sembra si stia procedendo: ancora non c'è un invito al trilogo, ma speriamo di chiudere su questo provvedimento essenziale per contrastare inquinamento e dissesto idrogeologico.
Di quali altre iniziative si sta occupando?
Sto lavorando a un parere sulla resilienza dell'acqua in commissione Agricoltura e sto seguendo i lavori di ITRE, proprio per stare sul tema dell’energia. Mi sto naturalmente occupando di mitigazione del cambiamento climatico. Ho partecipato con la delegazione del Parlamento all'ultima COP29 a Baku e sto lavorando alla preparazione della COP30 a Belem, ancor più importante nell’era Trump. Sono coinvolta inoltre nei lavori di vari intergruppi, su Benessere animale, Investimenti per la sostenibilità e Protezione civile, con un focus particolare sulla gestione degli eventi estremi.
Una domanda più politica: all’Europarlamento si sente molto il peso dei partiti di destra in opposizione alle questioni ambientaliste?
Moltissimo. Usano tutti gli strumenti della propaganda e delle fake news, in un modo ancora più becero rispetto a quanto abbiamo visto in Italia, con l’aggravante che il PPE si accoda ogni tanto, vedi il piano sull’auto: questo è un problema enorme, il rischio di sbandamento è proprio dietro l'angolo. Non solo si sentono le destre radicali, ma vacillano i conservatori. La tesi è che, non essendo il cambiamento di origine antropica, è inutile distruggere le nostre economie, ma basta fare adattamento, senza mitigazioni. Sappiamo bene che questa non è la strada giusta.
Infine, il ponte sullo Stretto di Messina.
Per il prossimo 19 febbraio abbiamo promosso una grande manifestazione con gli altri partiti di opposizione, i comitati provenienti da Sicilia e Calabria, le associazioni, i sindacati. Siamo contrari a tutti i livelli ma, in particolare, vogliamo sottolineare che la costruzione di quest’opera infrange una serie di normative europee, dalla gara a Natura 2000. Lavoriamo per fare in modo che non vengano spazzate via.
In copertina: Annalisa Corrado