In Norvegia sembrava tutto pronto per l’avvio, con il nuovo anno, del primo ciclo di licenze per l’estrazione mineraria nelle acque dell’Artico. Tuttavia, pochi giorni fa, il partito della sinistra socialista ha vincolato il proprio sostegno all’approvazione del bilancio dello stato al blocco delle licenze per deep sea mining previste per il 2025. In risposta, il governo norvegese ha annunciato che, almeno per il momento, sospenderà i piani.

Il deep sea mining nell’Artico

Era il 9 gennaio 2024 quando il parlamento norvegese ha approvato la pratica del deep sea mining a fini commerciali nelle proprie acque territoriali. Diverse aziende minerarie, tra cui le norvegesi Loke Marine Minerals, Green Minerals e Adepth Minerals, si erano già dimostrate interessate a chiedere le licenze per esplorare i fondali abissali alla ricerca di terre rare, litio, rame, zinco e altri materiali ormai fondamentali per il settore tech e per la transizione ecologica. L'area interessata si trova nell’Artico, a est della Groenlandia, tra le isole Svalbard e l’isola di Jan Mayen, una zona vasta circa quanto l’Italia, con un’estensione di 280.000 chilometri quadrati. L’estrazione era prevista nelle profondità marine in una zona compresa tra i 1.500 e i 4.000 metri.

“Si tratta di un disastro per l'oceano e di una vergogna per la Norvegia”, aveva detto all’epoca Frode Pleym, a capo di Greenpeace Norvegia. “Il governo norvegese non solo ignora le preoccupazioni di centinaia di scienziati, ma dimostra anche di non rispettare gli obblighi internazionali e la propria legislazione ambientale. Aprendo all'estrazione mineraria in acque profonde, la Norvegia ha compromesso ogni credibilità come nazione responsabile degli oceani, nonostante abbia firmato il Trattato delle Nazioni Unite sugli oceani.”

L’opposizione al deep sea mining fuori e dentro la Norvegia

La Norvegia si è trovata sotto pressione non solo per l’opposizione di numerose ONG, scienziati, cittadini e 32 paesi, tra cui Canada, Brasile e Francia, ma anche per una recente azione legale avviata dal WWF Norvegia. L’organizzazione per la conservazione della natura ha infatti citato in giudizio lo stato, sostenendo che la valutazione dell'impatto strategico condotta dal Ministero dell'energia, alla base della decisione di aprire le aree al deep sea mining, non rispetta i requisiti legali minimi previsti dal Seabed Minerals Act, la legge che regola l'esplorazione e lo sfruttamento delle risorse minerarie situate nei fondali marini, rendendo così l’apertura illegittima.

Una delle principali preoccupazioni riguarda i danni irreversibili che l'estrazione mineraria potrebbe causare alla biodiversità e agli ecosistemi di una regione ancora poco conosciuta, già minacciata da attività antropiche come la pesca, l’inquinamento e la crisi climatica. L'area ospita habitat unici, come le montagne sottomarine, che sono rifugio per numerose specie, molte delle quali, si stima, non ancora scoperte. Questo rende impossibile valutare appieno sia il loro potenziale ecologico sia i rischi legati alla loro perdita.

Per avere un'idea più chiara dell'estensione geografica dell'area interessata, è possibile consultare online il progetto The Norwegian Deep-Sea Mining Project sul sito di Greenpeace Norvegia. Attraverso una mappa interattiva, si possono visualizzare le zone che la Norvegia intende destinare all'estrazione mineraria e sovrapporle alle aree più vulnerabili, alla distribuzione di specie marine come capodogli, iperodonti boreali e megattere, oppure alle altre attività antropiche presenti nella regione, come la pesca e l’estrazione di petrolio.

A seguito di questo passo indietro, le prime licenze per il deep sea mining in Norvegia non potranno essere concesse prima delle prossime elezioni parlamentari, previste per settembre 2025. Il primo ministro norvegese, Jonas Gahr Støre, ha definito la decisione come un semplice "rinvio" e ha garantito che i lavori preparatori, inclusi lo sviluppo delle normative e la valutazione dell’impatto ambientale, proseguiranno senza interruzioni.

 

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Immagine: Envato