La dura lezione degli investimenti in tecnologie innovative: sono indispensabili, ma è difficile sopravvivere, e molti inevitabilmente non ce la fanno. È la storia di Northvolt, il produttore di batterie che aveva realizzato una serie di gigafactories in Europa e in Canada.

Dopo una lunga agonia durata molti mesi, mercoledì 12 marzo l’azienda ha dichiarato ufficialmente bancarotta in Svezia, conquistando il non invidiabile record di fallimento di maggiori dimensioni della storia del capitalismo nel paese scandinavo.

L’Europa perde così una delle sue carte migliori per sfidare la Cina (almeno per ora) nel settore strategico dei sistemi di accumulo di elettricità. E gli investitori (marchi eccellenti, da Volkswagen a BMW, da Goldman Sachs a BlackRock) che hanno messo molti miliardi di euro nell’avventura di Northvolt li vedono svanire in fumo. Disastro anche per i cinquemila dipendenti del gruppo, e soprattutto per i tremila dello stabilimento di Skellefteå, una cittadina nel nord della Svezia dove la gigafactory Northvolt Ett era stata vissuta come una manna dal cielo.

La vicenda Northvolt è una storia un po’ triste di cattiva gestione industriale: nonostante le notevoli risorse immesse, i manager incaricati di far funzionare la società non sono mai riusciti a far marciare bene gli stabilimenti. La storia è questa, anche se c’è già chi proverà a dire che è colpa delle tecnologie green, destinate al flop, sbagliando però di grosso, a nostro avviso. Come peraltro dimostra il fatto che le gigafactory cinesi, targate CATL o BYD, vanno benissimo e macinano utili.

Northvolt dichiara fallimento in Svezia

Come accennato, la decisione di mercoledì − “non presa alla leggera, ma l’unica realistica”, a detta del presidente di Northvolt Tom Johnstone − è stata solo il passaggio finale di un lungo disastro che andava avanti da mesi. L’azienda aveva già richiesto le tutele Chapter 11 previste dalla legislazione statunitense lo scorso novembre, quando il buco aveva già raggiunto e superato quota 8 miliardi di dollari, e le riserve liquide si erano ridotte ai minimi termini.

In quell’occasione si era dimesso l’amministratore delegato, lo svedese Peter Carlsson. Da novembre a oggi non solo non sono arrivati i soldi necessari per salvare la situazione, ma le riserve si sono ulteriormente ridotte. E a gennaio si è dovuto dimettere anche il cofondatore di Northvolt, l’italiano Paolo Cerruti (ex Tesla), che era amministratore delegato della divisione nordamericana della società, considerato uno dei responsabili del flop produttivo.

La nascita dell’azienda

L’idea di Northvolt era venuta a un gruppo svedese molto liquido, la Vargas Holding, fondato dai finanzieri Harald Mix e Carl-Erik Lagercrantz, e impegnato a fondo in tutti i settori industriali legati alla transizione ecologica.

Costruzione di batterie e sistemi di batterie con i marchi Northvolt e Polarium, pompe di calore per il riscaldamento e il raffrescamento con Aira, riciclaggio e recupero dei tessuti con Syre, Stegra (precedentemente H2 Green Steel) per l’acciaio prodotto a emissioni zero.

Dal 2016 in poi Northvolt ha incassato 14 miliardi di euro, tra investimenti azionari, prestiti obbligazionari e sussidi pubblici, e tra gli investitori contava e conta Volkswagen, col 21% del capitale, e Goldman Sachs, che ha il 19%. Vargas è il terzo azionista, con il 7,6% del capitale, ma nella lista ci sono anche BlackRock e Fondaco, la società italiana di gestione del risparmio partecipata da Compagnia di San Paolo.

Con queste risorse è stata costruita in pochi mesi dal 2022 una colossale megafabbrica per la produzione di batterie per auto elettriche a Skellefteå (40.000 abitanti, città ex mineraria nella boscosa e sonnolenta regione settentrionale della Svezia, a 800 chilometri da Stoccolma). Doveva essere solo la prima di una serie di fabbriche di batterie elettriche, in Polonia, Germania e perfino Canada. Ma nel giro di pochi mesi, tra la fine del 2023 e la metà del 2024, il sogno di Northvolt si è trasformato in un incubo.

Northvolt, dalla crisi al fallimento

Forse un po’ ha pesato una domanda di auto elettriche inferiore al previsto. Ma l’immenso stabilimento di Skellefteå è stato ampliato come da previsioni, richiamando tecnici e lavoratori da mezzo mondo.

Come ha rivelato per primo a fine 2023 il giornale economico svedese Dagens Industri, l’impianto di Skellefteå nei primi nove mesi dell’anno ha consegnato solo una minima parte della produzione prevista. E le batterie neanche erano di qualità soddisfacente, se è vero che BMW (azionista) nel giugno del 2024 ha deciso di annullare un ordine da quasi 2 miliardi di euro, denunciando problemi di qualità e ritardi nelle consegne.

Dopo aver tentato infruttuosamente un aumento di capitale per reperire nuove risorse, il 23 settembre scorso Northvolt ha tagliato 1.600 posti di lavoro e abbandonato ogni progetto di espansione dello stabilimento, per il quale era pure stato ottenuto un prestito da 5 miliardi di dollari.

Il futuro incerto di Northvolt

Di chi è la colpa, e che si può fare? Sul primo aspetto i più non hanno dubbi: il gruppo dirigente Northvolt è stato sconsiderato nell’idea di partire a razzo in un comparto tecnicamente complesso e con concorrenti fortissimi. Di certo, come dice Marie Nilsson, leader del sindacato svedese IF Metall, “è ovvio che molte cose sono andate storte e ora il prezzo viene pagato dai nostri iscritti”.

Dal punto di vista industriale, Scania, uno dei partner storici, ha già trovato un nuovo fornitore per le celle delle batterie. Porsche ha iniziato a cercare alternative, mentre Volkswagen ha confermato di essere ancora in contatto con l’azienda, ma senza sbilanciarsi sul futuro.

Diversi azionisti hanno svalutato a zero le proprie partecipazioni in Northvolt, e nei guai ci sono anche gli investitori finanziari, come la svedese 4 to 1 Investments, che aveva messo quasi 600 milioni di dollari in azioni e obbligazioni convertibili.

Le progettate attività di Northvolt in Canada (nella provincia del Quebec) e in Germania per adesso non sono coinvolte nel fallimento, e i governi dei due paesi sono alla ricerca di investitori in grado di completare le due fabbriche, per le quali hanno già sborsato cospicui incentivi pubblici.

Ora il futuro di Northvolt è nelle mani di un curatore fallimentare, che avrà il compito di supervisionare la vendita degli asset e tentare di coprire, almeno in parte, gli obblighi finanziari in sospeso.

 

In copertina: Northvolt Ett