Mentre l’industria dell’auto è in crisi, Carlos Tavares ha lasciato Stellantis, multinazionale italo-francese nata dalla fusione tra i gruppi FIAT Chrysler Automobiles e PSA che controlla già quattordici marche. La chiusura temporanea di molti stabilimenti italiani fino al 2025, primo fra tutti lo storico stabilimento Mirafiori (ex FIAT) riconvertito alla produzione di auto elettriche, mette sempre più a rischio la transizione energetica, carente di strategie politiche ed economiche a livello europeo. E l’incertezza del mercato non aiuta i consumatori a dirigersi verso l’acquisto di auto elettriche. 

Una crisi nella crisi che prosegue anche in Germania, dove Volkswagen sta avendo dei cedimenti, visibili negli scioperi a oltranza degli operai, non disposti ad accorpamenti o tagli di stipendi. L’approccio “in Cina per la Cina” del marchio tedesco si sta scontrando con un mercato cinese già florido nel settore dell’auto elettrica, dove competere diventa sempre più difficile.

Stellantis dopo le dimissioni di Tavares

A Mirafiori la produzione della 500 elettrica è terminata. Senza ordini, produrre non serve più, e nei primi dieci mesi dell’anno le auto vendute non hanno superato le 2.000 unità. Il 2 dicembre, quindi, è iniziata la chiusura di Mirafiori e la sospensione della produzione di auto fino all’8 gennaio 2025, a causa delle “basse vendite delle auto di lusso in Cina e negli Stati Uniti e delle auto elettriche in Europa”. Nel terzo semestre dell’anno, chiuso a settembre, le consegne sono diminuite del 27% rispetto allo stesso periodo del 2023 e nel Nord America − mercato in cui si è concentrato, nel 2023, il 45% dei ricavi e oltre la metà dei profitti operativi di Stellantis − il calo si è spinto fino al 42%.

Le dimissioni di Carlos Tavares aumentano lo stato di incertezza dell’industria dell’auto. Tavares avrebbe dovuto rimanere in carica fino all’inizio del 2026, ma ora a sostituirlo arriverà un comitato esecutivo ad interim, composto da una decina di manager, fino alla nomina del nuovo CEO, non prima della metà del 2025. Pronto per il post Tavares è John Elkann, presidente del gruppo nonché principale azionista di Stellantis con Exor, holding della famiglia Agnelli. Entra nel comitato esecutivo Richard Palmer, già direttore finanziario della società, ex braccio destro di Sergio Marchionne, figura centrale per il rinnovamento della FIAT e oggi vicepresidente di Exor, nominato special advisor da Elkann.

Mirafiori, la fusione con Renault e i dazi di Trump

La direzione dello stabilimento di Mirafiori è quindi ora nelle mani di John Elkann. La produzione di 500 ibride su cui puntava Tavares per Mirafiori potrebbe, ad esempio, cambiare rotta con la presidenza dell’azionista che potrebbe spingere per un ritorno all’elettrico. Ma qualsiasi scelta dovrà fare i conti con l’eredità di Tavares, dalla forte delocalizzazione della produzione – dalla Panda elettrica in Serbia alla Jeep Avenger in Polonia – ai rapporti rarefatti con i sindacati. La priorità su tutte sarà comunque contrastare i risultati del 2023, anno peggiore di sempre per Stellantis dal 1957, con circa 500.000 unità prodotte e almeno diecimila lavoratori in cassa integrazione.

Un’altra scelta importante a cui sarà chiamato Elkann riguarda eventuali fusioni e acquisizioni della società o cessioni di marchi per migliorarne la competitività, dopo il calo massiccio di produzione, e l’attrattività per gli investitori internazionali. Il presidente potrebbe sposare in questi mesi il progetto, osteggiato da Tavares, della fusione tra Stellantis e Renault (di cui lo stato francese è uno dei principali azionisti), unendo 18 marchi con l’obiettivo di arginare la concorrenza cinese nel mercato dell’elettrico.

L’aumento dei dazi promesso da Trump con il suo insediamento potrebbe alterare, infine, l’equilibrio già precario di Stellantis. Imporre delle tasse fino al 25% sulle merci in arrivo dal Messico e dal Canada sarebbe un duro colpo per tutte le aziende che esportano verso gli Stati Uniti, azzerando il vantaggio competitivo della delocalizzazione. E la multinazionale franco-italiana è una di queste, dal momento che il Messico, con quattro stabilimenti e circa diecimila lavoratori, è il suo primo paese di esportazione verso gli Stati Uniti con circa 360.000 veicoli.

Le vendite di auto elettriche in Europa

È indubbio: l’auto elettrica non ha raggiunto i risultati sperati, nonostante i tentativi di conversione degli ultimi anni dell’industria dell’auto endotermica e gli obiettivi UE di vendere solo veicoli a zero emissioni dal 2035. Le vendite, a settembre 2024, sono di appena il 14% in Europa e del 4% in Italia, paese che esporta il 63% della produzione per far quadrare i conti. 

“La riconversione del sistema produttivo della mobilità endotermica è una sfida impegnativa che implica non solo la riorganizzazione della produzione di automobili e componenti ma anche il ridisegno delle catene di rifornimento delle materie prime, con una diversa costruzione, ad esempio, dei sistemi industriali, commerciali e di vendita”, racconta a Materia Rinnovabile Angela Bergantino, professoressa di economia applicata all'Università degli studi di Bari, già presidente della Società italiana di economia dei trasporti e della logistica. “È un processo complicato che richiede decenni e politiche statali uniformi tra i vari stati membri dell'Unione Europea.”

Sta emergendo infatti, come spiega nel dettaglio l’ultimo Rapporto Draghi, una nuova dipendenza da materie prime critiche concentrata su pochi fornitori, che potrebbe rallentare o rendere più costosi i progressi della transizione verde e digitale dell’UE. Ed è la Cina ad avere una posizione predominante nell’estrazione globale di terre rare, rappresentando il 68% del mercato mondiale, mentre la quota dell’Unione Europea è inferiore al 7%. Manca soprattutto nell’UE una strategia completa che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento, e questo causa una volatilità dei prezzi attribuibile a una combinazione di aumento della domanda, interruzione delle catene di approvvigionamento e preoccupazioni relative alla contrazione dell’offerta. E un mercato incerto influenza anche le scelte del consumatore.

“Bias culturali, aspettative e legittimazione sociale sono fattori che possono influenzare le scelte del consumatore”, spiega a Materia Rinnovabile Anna Cugno, professoressa di sociologia dei consumi alla Scuola di management ed economia dell’Università di Torino. “Incentivi, evidenze scientifiche come la crisi climatica o la percezione di affidabilità dei nuovi prodotti non bastano a spingere il consumare verso l’acquisto dell’auto elettrica. L’incertezza può prevalere se non si conosce la vita utile delle auto elettriche o la percezione può essere influenzata dallo stile di guida dell’elettrico, considerando le prestazioni superiori dell’endotermico sulla media e lunga distanza. Da non sottovalutare sono, inoltre, le carenze strutturali come la presenza di poche colonnine per la ricarica o l’onere di dover accreditarsi a diverse piattaforme per usufruire delle colonnine in quartieri diversi della città, in un mercato di fornitura dell’energia elettrica ancora molto frammentato.”

La crisi di Volkswagen passa per la Cina

Un altro colosso dell’auto in crisi è Volkswagen. Oltre 120.000 lavoratori, sostenuti dal sindacato IG Metall, si sono riuniti in segno di protesta fuori da nove stabilimenti dello storico marchio tedesco in Germania, incluso quello principale a Wolfsburg. Le contestazioni nascono dal piano di ristrutturazione, considerato inevitabile dal CEO Schäfer per abbattere i costi produttivi fino a 4 miliardi. Piano che prevede la chiusura di tre siti produttivi, il taglio di 15.000 posti di lavoro e la riduzione del 10% dello stipendio degli operai rimasti.

Costi produttivi elevati che il marchio automobilistico riesce invece a evitare in Cina, attraverso un ricorso massiccio all’automazione e alla standardizzazione. Ed è proprio lì che Volkswagen sta infatti puntando molto, con 39 impianti produttivi attivi, compreso quello di Urumqi, finito nel mirino delle ONG per le accuse di lavoro forzato a danno della minoranza uigura dello Xinjiang, e ora in fase di vendita a Shanghai Motor Vehicle Inspection Certification, di proprietà statale.

Da dove nasce quindi la crisi del marchio tedesco? Gli investimenti del gruppo in Cina non sono bastati a risollevare il marchio: Volkswagen si è scontrata con la concorrenza delle auto elettriche prodotte in casa come BYD, il primo produttore di automobili nella repubblica popolare. Le vendite del marchio tedesco sono calate al 12% nei primi nove mesi del 2024 e i profitti sono diminuiti del 60% tra luglio e settembre 2024 rispetto all’anno precedente. Un duro colpo che non scoraggia però Volkswagen a puntare ancora sul paese asiatico. Il gruppo vuole infatti rendere disponibili in Cina – dove metà delle auto vendute è già elettrica − 40 modelli nei prossimi tre anni di cui 30 di veicoli elettrici entro il 2030. In questa strategia “in Cina per la Cina”, il marchio ha anche attivato una collaborazione con la casa automobilistica Xpeng, produttrice locale di sistemi di navigazione, entertainment e guida assistita. Ma tutto ciò sarà sufficiente a raggiugere una quota di vendita sostenibile per reggere il confronto con il Made in China?

 

In copertina: Mirafiori Battery Technology Center Stellantis