Dopo un iter durato quasi due anni, segnato da dubbi, rinvii e opposizioni, lo scorso giugno il Consiglio dell’UE ha approvato in via definitiva la Nature Restoration Law. Ora spetta agli stati membri il passo successivo: entro la metà del 2026 dovranno redigere i piani di attuazione territoriali, documenti che definiranno le strategie per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla normativa, includendo gli indicatori di monitoraggio. Saranno i singoli stati a stabilire dove intervenire, quali ecosistemi restaurare e quali azioni intraprendere.
In questo contesto, il National Biodiversity Future Center (NBFC), primo Centro nazionale di ricerca e innovazione dedicato alla biodiversità, si pone come partner scientifico nel supportare l’Italia nell'attuazione della Legge sul ripristino della natura.
A tal proposito, a metà marzo è stato presentato il rapporto Il restauro della biodiversità: esperienze e innovazioni della ricerca, un documento che raccoglie tecnologie e procedure per il ripristino degli ecosistemi con l’obiettivo di ristabilire gli equilibri tra gli organismi viventi attraverso solide basi scientifiche e test condotti direttamente sul territorio.
Biodiversità, una risorsa preziosa
Quando si tutela e si ripristina la biodiversità, si rafforzano anche i servizi ecosistemici a essa legati, fondamentali per la salute umana, per l’ambiente e anche per il sistema economico del paese.
Secondo i dati del World Economic Forum (WEF), metà del PIL globale − pari a circa 44 migliaia di miliardi di euro al momento della stima nel 2019 − dipende in misura moderata o elevata dai servizi ecosistemici della natura.
Poiché in Europa l’81% degli habitat è degradato, la Nature Restoration Law fissa obiettivi ambiziosi per il loro ripristino. Entro la fine del decennio, punta a restaurare almeno il 20% delle terre e il 30% dei mari dell'UE, per poi ripristinare almeno il 60% degli habitat degradati entro il 2040 e il 90% entro il 2050.
“In Italia, il MASE e l'ISPRA hanno già identificato linee guida e aree su cui intervenire”, ci spiega Massimo Labra, direttore scientifico del NBFC. “I ricercatori di NBFC possono fornire supporti tecnologici e informazioni scientifiche per poter eseguire al meglio gli interventi e generare ecosistemi efficaci e resilienti ai cambiamenti climatici. Grazie al lavoro di NBFC abbiamo prodotto modelli di restauro efficaci che si possono adattare a diversi ambienti. Abbiamo quindi buone possibilità di raggiungere l’obiettivo del 2030. In alcuni casi, possiamo affidarci ai processi naturali, come la rigenerazione spontanea, poiché la natura, soprattutto i nostri grandi alberi, sono molto resilienti."
Oltre agli evidenti benefici ambientali, è importante sottolineare anche l'impatto economico positivo del restauro ecologico. Secondo i dati della Commissione UE, ogni euro investito può generare un ritorno compreso tra 8 e 38 euro.
"I motivi che ci hanno spinto a realizzare questo rapporto sono due”, continua Labra. “Il primo è lanciare un messaggio positivo: il restauro della biodiversità è possibile. In Italia esistono molte aree dimenticate, abbandonate, contesti rurali dimenticati, aree periurbane e urbane marginali, su cui si può intervenire per riportare la biodiversità. Il secondo motivo è più tecnico: abbiamo lavorato con 2.000 ricercatori e dimostrato che, adottando le metodologie e gli strumenti giusti, è possibile realizzare interventi efficaci sugli ecosistemi e ottenere risultati duraturi nel tempo."
Restoration Ecology
Il report offre una panoramica tecnico-scientifica sulle principali metodologie utilizzate nei progetti di restauro ecologico, un processo mirato a ripristinare il funzionamento di un ecosistema degradato.
L’obiettivo non è solo ricostruire l’ambiente fisico, ma ristabilire le relazioni funzionali tra le sue componenti, migliorandone la stabilità ecosistemica, la resilienza e l’adattamento ai cambiamenti locali e globali.
Non tutte le aree da restaurare sono uguali, i tempi e le modalità degli interventi variano in base a diversi fattori, tra cui il livello di degrado e la complessità del recupero. Inoltre, in contesti particolarmente compromessi, come quelli interessati da attività minerarie, il ripristino risulta molto più complesso a causa dell’impatto duraturo delle trasformazioni subite, che possono portare anche a esiti insoddisfacenti nelle azioni di restauro.
Sulla restoration il National Biodiversity Future Center vuole diventare un punto di riferimento, non sono a livello italiano. “Abbiamo formato circa 600 giovani, pieni di entusiasmo, che possono diventare il nostro esercito sul territorio”, ci spiega Labra. “Una vera e propria armata di persone qualificate. Inoltre, vogliamo creare un sistema attorno all’NBFC, favorendo l’aggregazione con i colleghi del MASE e di ISPRA perché abbiamo tutti un obiettivo comune: proteggere e migliorare il nostro territorio. Lavorare insieme permetterà una progettazione efficace, la realizzazione e la validazione dei metodi, e soprattutto un monitoraggio durevole nel tempo. Quest’azione ci permetterà di diventare un punto di riferimento internazionale, affinché il restauro ecologico non sia solo un vantaggio per la natura, ma anche un’opportunità lavorativa per i più giovani da esportare in altri paesi. Vogliamo che i nostri ragazzi diventino ambasciatori di conoscenze su queste tematiche e coordinatori di grandi progetti internazionali.”
Le cinque fasi del restauro ecologico
I ricercatori del NBFC, dopo un'attenta analisi della letteratura scientifica e sperimentazioni in diversi ecosistemi, hanno sviluppato un modello operativo per il restauro ecologico articolato in cinque fasi.
Si parte con la valutazione, un’indagine tecnica dell’area per individuare criticità e definire le strategie di intervento. Segue la fase di pianificazione e design, che stabilisce obiettivi, traguardi intermedi e un piano operativo dettagliato dell’attività da realizzare, indicando tempistiche, priorità e modalità di esecuzione.
La fase di implementazione punta poi a proteggere il sito da eventuali danni causati da azioni di restauro, attivare processi naturali e coinvolgere gli stakeholder. Il progetto prosegue con il monitoraggio e la valutazione, un controllo periodico per verificare l’efficacia degli interventi e correggere eventuali criticità.
Infine, gestione e manutenzione post implementazione garantiscono la stabilità a lungo termine del ripristino, prevenendo nuovi degradi attraverso un monitoraggio costante e interventi mirati.
Inoltre, come sottolinea Labra, “quando si parla di restauro ecologico non bisogna coinvolgere solo ricercatori ed esperti del settore, ma tutti gli stakeholder, compresi i cittadini”. Questi ultimi possono diventare veri e propri “custodi” della natura, partecipando attivamente alle diverse fasi del progetto e mettendo a disposizione la loro conoscenza del territorio. Oltre a svolgere un ruolo di monitoraggio, possono contribuire in diversi modi, tra cui raccolte fondi, per sostenere economicamente le attività di restauro ecologico.
"Il coinvolgimento del settore privato è stato un tema centrale anche durante la COP16 bis, svoltasi lo scorso mese a Roma," prosegue Labra. "Uno dei tanti modi in cui i privati possono dare il proprio contributo è mettendo a disposizione aree e terreni da riqualificare.”
Nonostante l’Italia nella fase iniziale fosse un po’ critica sulla Nature Restoration Law, insieme a Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Finlandia e Svezia, le istituzioni italiane stanno dimostrando ora più impegno sul tema. “NBFC è a fianco alle istituzioni in questa grande sfida perché sappiamo che non possiamo fallire e non lo faremo”, conclude Labra.
In copertina: Roma, immagine Envato