Superare il gap rispetto ai competitor mondiali nella corsa globale alle materie prime: è l’obiettivo dell’Europa nei prossimi anni. Il continente ha una forte dipendenza dall’estero, in particolare da Pechino. Il 56% di materie prime critiche importate nell’UE proviene dalla Cina, ma nell’elenco figurano anche altri paesi: la Turchia, che fornisce il 98% di boro, e il Sud Africa, con il 71% del fabbisogno di platino. Il gap tra la Cina e l’UE è ancora ampio. La prima investe 14,7 miliardi di euro, la seconda 2,7 miliardi. E proprio “investimenti” sarà la parola d’ordine nei prossimi anni.

Secondo uno studio commissionato da Iren e realizzato da TEHA Group, se l’Europa investisse 1,2 miliardi di euro potrebbe invertire rotta e ridurre la dipendenza dall’estero di quasi un terzo, generando oltre sei miliardi di euro di valore aggiunto per la filiera al 2040. Con il Critical Raw Materials Act l’UE si prefigge di diminuire la dipendenza dei paesi membri in fatto di approvvigionamento di tutti quei materiali che servono per produrre componenti cruciali per la transizione digitale ed energetica. L’obiettivo è creare nel 2030 le condizioni affinché il 10% delle materie prime critiche consumate sia estratto in Europa, mentre il 25% arrivi dal riciclo.

In questo contesto, qual è il futuro della Sicilia, capitale nazionale delle miniere per molti decenni dopo l’Unità d’Italia? Il duro lavoro dei minatori, nel secolo scorso, ha suscitato l’attenzione dei più famosi scrittori siciliani. Così Luigi Pirandello, forse perché era di Girgenti, forse perché il padre gestiva una zolfara, visse lo zolfo e gli zolfatari. Anche Leonardo Sciascia fu definito “scrittore di zolfo”. Nacque, infatti, a Racalmuto, paese di zolfo. Oggi, però, gran parte di questi siti sono chiusi o abbandonati, con gravi rischi dal punto di vista sanitario e ambientale, ma non solo. Altri presentano problemi di stabilità e sono a rischio di cedimento o rottura delle strutture.

Cave e miniere, bombe ecologiche da disinnescare

Nel distretto di Caltanissetta, dove vengono estratti principalmente salgemma e sali alcalini misti, nel 2022 risultavano 5 strutture di deposito con significativi indici di pericolosità e di rischio strutturale. Trattandosi di rifiuti estrattivi inquinanti, potrebbero costituire un potenziale rischio ecologico e sanitario. I numeri sono contenuti nell’ultimo Inventario nazionale delle strutture di deposito di rifiuti estrattivi, chiuse o abbandonate di tipo A pubblicato dall’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.

A livello regionale, risultano 23 strutture di deposito in cumuli, distribuite nei tre distretti minerari di Caltanissetta, Catania e Palermo. Dati uguali a quelli già acquisiti nel precedente aggiornamento, considerato che, alla richiesta di aggiornamenti da parte di ISPRA, la regione siciliana non ha fornito risposta. Nel distretto di Catania, che comprende anche le province di Messina e Ragusa, 16 siti presentano un indice di rischio ecologico-sanitario medio, medio-alto e alto. I rimanenti 2 siti ricadono nel distretto di Palermo, in cui è compresa anche la provincia di Trapani, e presentano un indice di rischio ecologico-sanitario medio e medio-alto ma, per entrambi, non si hanno informazioni sul rischio strutturale.

“Quello miniere-ambiente è un vecchio tema che non ha trovato un’adeguata soluzione fino a oggi”, commenta a Materia Rinnovabile Leandro Janni, presidente di Italia Nostra Sicilia. “[Le miniere siciliane] si sarebbero dovute e potute musealizzare subito dopo la chiusura, invece non è stato fatto, tranne per pochi casi. La maggior parte si trova quindi in stato di abbandono. Tra queste, quella di Trabonella, in provincia di Caltanissetta. Nel corso degli anni si è cercato di istituire l'Ente parco minerario della Sicilia attraverso dei disegni di legge all’assemblea regionale siciliana, ma non sono state trovate le risorse. Una grande perdita dal punto di vista culturale, turistico ed economico.”

Miniera di Trabonella © Leandro Janni

Le miniere della Sicilia chiuse senza piani sostenibili

“L’attività mineraria siciliana nel corso dei secoli ha riguardato tre tipi di sostanze: lo zolfo, il sale e i calcari bituminosi o asfaltiferi coltivati nel sottosuolo”, spiega a Materia Rinnovabile il geologo Enrico Curcuruto, responsabile del Laboratorio Museo mineralogico dell’istituto Sebastiano Mottura di Caltanissetta. “Tre attività minerarie presenti in Sicilia fin dalla preistoria, ma con carattere industriale dalla seconda metà del Settecento. L'industria dell'estrazione dello zolfo si è chiusa negli anni Settanta insieme a quella dei calcari asfaltiferi. In Sicilia è ancora attiva l’estrazione di salgemma del sottosuolo per tutti gli usi, sia alimentari che industriali.”

La Sicilia costituisce un’anomalia a livello nazionale. L’attività mineraria è stata legata a una situazione economicamente florida, seppur con fenomeni di sfruttamento di lavoro terribili, specialmente negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale fino alla chiusura. “Quindi c'è una sorta di ambivalenza”, continua Curcuruto. “Da una parte il timore dell'impatto ambientale di queste attività, dall'altra un sentimento quasi di nostalgia di un periodo economicamente più florido. Quindi, il problema fondamentale rispetto a queste attività minerarie è stato la totale e assoluta mancanza di un piano di chiusura ambientalmente sostenibile nel momento in cui sono cessate le attività. Tutte le miniere sono state chiuse e abbandonate a sé stesse senza una minima strategia di recupero ambientale. Questo fattore ha comportato un fortissimo impatto ambientale. Oggi è quasi impossibile prevedere la riapertura dei siti senza un piano di recupero ambientale, che si tratti di miniere o cave. Pasquasia è un esempio emblematico. La miniera chiuse negli anni Novanta. Con il trascorrere del tempo si è visto solo degrado e abbandono totale.”

Attorno al sito di Pasquasia si avvolgono misteri di mafia e affari. La miniera finì nella relazione della Commissione parlamentare 2014-2016 sui rifiuti. Proprio nel 2016 il pentito di mafia Leonardo Messina confermò che all’interno del sito faceva riunioni con altri “uomini d’onore”. Il procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra ha riscontrato "una serie di indicatori che portavano a sospettare una pesante presenza di Cosa Nostra nell’attività di stoccaggio e smaltimento dei rifiuti". Nonostante Pier Luigi Vigna, procuratore nazionale antimafia dell’epoca, ritenne Messina credibile, venirne a capo risultò pressoché impossibile. Il dubbio che rifiuti bollati come speciali, amianto e scorie radioattive siano stati interrati nel sito rimane. Un dato è certo: secondo alcune indagini delle direzioni distrettuali antimafia siciliane, il legame tra Cosa nostra e il traffico illegale di rifiuti è molto stretto.

La miniera di Bosco-San Cataldo, modello circolare

“Il sito minerario Bosco-San Cataldo è un esempio di economia circolare da seguire”, commenta a Materia Rinnovabile Calogero Burgio, dirigente generale del dipartimento energia della regione Sicilia. “L’unico caso attuale in Italia di riconversione di un sito minerario dismesso in un sito produttivo con riqualificazione dell’area.” La regione ha avviato la riconversione del sito, in provincia di Caltanissetta, a quasi 30 anni dalla sua dismissione. Risanare l’ambiente con un intervento mirato e preciso, eliminando le coperture in cemento amianto (quelle che comunemente si definiscono onduline di eternit), oltre a manufatti in acciaio.

La società G.M.R.I. Srl avrà in concessione l'area per un periodo non inferiore a vent'anni e grazie all'approvazione di un progetto di finanza investirà 10 milioni di euro per valorizzare l’ammasso salino prodotto per decenni nel corso dell'attività del sito minerario, riconvertendolo, ad esempio, in prodotto da utilizzare contro il gelo sulle strade. L'iter autorizzativo è stato seguito dall'Assessorato all'energia. Sul fronte ambientale, il progetto prevede la sistemazione idrogeologica dell’area, la realizzazione di un campo fotovoltaico e la piantumazione di essenze arboree resistenti ai terreni salini. Per le casse della regione è previsto un incremento del gettito fiscale e il versamento del canone di produzione mineraria.

Miniera Bosco-San Cataldo © Leandro Janni

La riapertura delle miniere in Sicilia

“Si tratta di un’operazione a costo zero per la pubblica amministrazione”, sottolinea Burgio. “Tutto ciò è stato possibile grazie al Decreto legge 84 del giugno 2024. Nei mesi scorsi abbiamo pubblicato un avviso riguardo la concessione mineraria per la coltivazione in sotterraneo del giacimento di sali potassici e alcalini della miniera Gallo d’Oro nei territori di Bompensiere, Milena e Sutera, ricadenti nella provincia di Caltanissetta. In totale abbiamo riaperto tre miniere, per un impiego complessivo di 300 unità più l’indotto.”

Recentemente sono arrivate al dipartimento nuove richieste di ispezioni minerarie. “L’obiettivo è verificare se c’è qualche giacimento che nei decenni scorsi non era tecnologicamente utilizzabile. Questo consentirebbe di incrementare i livelli occupazionali”, precisa Burgio. “Ho recentemente deliberato l’assegnazione di risorse economiche al distretto minerario di Caltanissetta per eliminare due emergenze ambientali. Si tratta della rimozione di alcune lastre in cemento. Per quanto riguarda, invece, la miniera di Pasquasia, questa non è di competenza del dipartimento regionale dell’energia ma del libero consorzio di Enna, che ha ottenuto dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica un contributo a fondo perduto di circa venti milioni di euro per effettuare delle opere di ripristino ambientale in accordo con il Dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti.

“A Pasquasia c’è un programma di dismissione dell'amianto con la creazione di una cella un po’ più a monte”, ci spiega Salvatore Pignatone, dirigente del servizio VII del distretto minerario di Palermo contattato telefonicamente da Materia Rinnovabile. “Stesso discorso per Bosco-San Cataldo. Quando ci saranno le condizioni, sarà trasferito l'amianto. Questo è un primo step delle operazioni di bonifica. C'è, inoltre, un progetto di finanza che riguarda lo smaltimento dell'ammasso salino che rappresenta una vera e propria emergenza ambientale. È anche previsto un progetto di messa in sicurezza e uno, già finanziato e completato, sulla videosorveglianza. L’anno scorso, in entrambi i siti, sono stati completati i monitoraggi delle fibre di amianto disperse. Quest’anno ripeteremo l’operazione in un’altra stagione per avere un report più equilibrato.”

Miniere in Italia, un giro d’affari di oltre 600 milioni

Al 2021 in Sicilia erano attive e produttive 3 miniere dalle quali viene ricavato il sale di Salgemma: due in provincia di Agrigento (Realmonte e Racalmuto) e una in provincia di Palermo, a Petralia Soprana. Passando alle cave, la regione ne conta 235. Di queste, 178 attive e produttive, 42 non attive. Dall’antimonite all’asfalto, dalla bentonite al calcare da cemento. Sono diversi i minerali estratti. Nel 2021, sono state 13.050 le tonnellate estratte di risorse minerarie: 826 di argilla, 7.556 di calcare, travertino, gesso e arenaria, 722 di marmo e 3.700 di porfido, basalto, tufo e altre rocce vulcaniche.

La regione guidata da Renato Schifani, secondo quanto riportato dalla piattaforma Margò di CRIBIS, è leader nel settore per maggior numero di aziende: il 12,8% del totale nazionale. È seguita da Lombardia (11,5%), Toscana (8,8%), Lazio (8,4%), Puglia (7,8%), Veneto (7,1%), Piemonte (6%) e Sardegna (6%). Il comparto, che in Italia è supportato soprattutto dalle piccole imprese, è abbastanza solido: il giro d’affari è aumentato da 147 milioni di euro nel 2020 a 616 milioni nel 2022. Anche il numero di persone occupate è in aumento: 248 nel 2021, 235 nel 2022 e 497 nel 2023.

Dalle saline siciliane materie prime strategiche per l’Europa

Le materie prime critiche sono sempre più strategiche in settori industriali ad alta crescita come la tecnologia avanzata delle batterie e la produzione di polimeri insieme alle applicazioni farmaceutiche e nutraceutiche. Un esempio importante di approccio circolare sostenibile all’estrazione dei minerali è stato messo in campo da SEArcularMINE, un consorzio composto da dodici organizzazioni partner di università, istituti di ricerca, PMI e multinazionali provenienti da nove paesi in tutta Europa, con l’obiettivo di recuperare energia e materie prime dalle saline del bacino del Mediterraneo.

Coordinato dall’università degli studi di Palermo, con la responsabilità scientifica di Andrea Cipollina, del dipartimento di ingegneria, il progetto è rientrato nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione europea e si è basato sull'antico e ancora ampiamente utilizzato processo delle saline, in cui l'acqua di mare passa attraverso l'evaporazione naturale e la cristallizzazione in bacini poco profondi.

 

In copertina: la zolfara Gessolungo © Leandro Janni