A poco più di un mese dall’approvazione del Decreto-legge 84/2024 sulla gestione delle materie prime critiche, il 24 luglio l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha lanciato a Roma il database GeMMA (acronimo di geologico, minerario, museale e ambientale). Questa nuova banca dati, aggiornata attraverso il progetto PNRR GeoSciencesIR, segna l’inizio del processo di elaborazione del programma minerario nazionale, come richiesto dal Regolamento EU 1252/2024, noto come Critical Raw Materials Act.

Il Decreto-legge 84/2024 introduce misure urgenti per garantire un approvvigionamento sicuro e sostenibile delle materie prime critiche, fondamentali per la transizione ecologica e digitale. “L’obiettivo del governo e del MASE è di rilanciare il settore minerario italiano attraverso iter autorizzativi semplificati per i progetti strategici, con procedure non più lunghe di 18 mesi per le estrazioni e 10 mesi per il riciclo”, ha dichiarato la viceministro all’ambiente e sicurezza energetica Vannia Gava al convegno promosso dall’ISPRA. “In questa direzione va il Decreto-legge sulle materie prime critiche, che sarà ulteriormente rafforzato in fase di conversione. Fondamentale il supporto dell’ISPRA al quale è stato affidato il compito di realizzare il piano minerario nazionale.”

© Vannia Gava

Materie prime critiche, quante miniere sono attive in Italia?

Secondo la banca dati GeMMA in Italia sono attualmente attive 76 miniere, ma solo in 22 di queste si estraggono materiali inclusi nella lista delle 34 materie prime critiche dell'UE. Di particolare rilievo sono le miniere di feldspato, essenziale per l'industria ceramica, e di fluorite, utilizzata in numerosi settori industriali come acciaio, alluminio, vetro, elettronica e refrigerazione. In particolare, la miniera di fluorite di Genna Tres Montis in Sardegna in fase di ristrutturazione, sottolinea ISPRA, promette di diventare una delle più importanti d'Europa appena rientrerà in piena produzione.

“Delle altre 91 miniere di fluorite attive in passato, alcune molto importanti − da rivalutare con i prezzi attuali quadruplicati rispetto al 1990 − sono localizzate nel bergamasco, nel bresciano e in Trentino, oltre a quelle sarde e laziali”, si legge in un comunicato ISPRA. Tuttavia, sebbene feldspato e fluorite siano a oggi le uniche materie prime critiche coltivate in Italia, “i permessi di ricerca in corso, i dati sulle miniere attive in passato e quelli sulle ricerche pregresse e recenti documentano la potenziale presenza di  varie materie prime critiche e strategiche come il litio, scoperto in quantitativi importanti nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani e come diversi altri minerali da cui si producono metalli indispensabili per il modello di sviluppo decarbonizzato, la green tech, la transizione digitale e la indipendenza da paesi terzi.”

© ISPRA

Per l’estrazione di minerali metalliferi l’Italia dipende dall’estero

Stando a quanto riportato da ISPRA, nonostante l'abbondanza di potenziali risorse, l'Italia è attualmente dipendente dall'estero per l'approvvigionamento di minerali metalliferi critici. Circa 900 siti, in passato, erano destinati all'estrazione di questi materiali, ma oggi l'attività è inesistente. Depositi di rame, manganese, tungsteno, cobalto, magnesite, bauxite e litio potrebbero però essere rivalutati grazie alle nuove tecniche di esplorazione e all'andamento favorevole dei prezzi di mercato.

“Depositi di rame, minerale essenziale per tutte le moderne tecnologie, sono già noti nelle colline metallifere, nell’Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali, Trentino, Carnia e in Sardegna”, continua il comunicato. “In diversi siti è stato estratto manganese soprattutto in Liguria e Toscana. Il tungsteno è documentato soprattutto in Calabria, nel cosentino e nel reggino, nella Sardegna orientale e settentrionale e nelle Alpi centro-orientali, spesso associato a piombo-zinco. Il cobalto è documentato in Sardegna e Piemonte, dove il deposito di Punta Corna è ritenuto di strategica importanza europea, la magnesite in Toscana e i sali magnesiaci nelle Prealpi venete.”

Per quanto riguarda il titanio, vi è un giacimento nel savonese, non sfruttabile per “problematiche ambientali che ne precludono l’estrazione a cielo aperto”. Le bauxiti, minerali chiave per la produzione di alluminio, si trovano poi in quantità limitate nell'Appennino centrale, ma sono più abbondanti in Puglia e, in particolare, nella Nurra, in provincia di Sassari. Qui, la miniera di Olmedo, l'ultima metallifera chiusa in Italia, è ancora in buone condizioni e potrebbe contenere terre rare, simili a quelle presenti nei depositi di fluorite come a Genna Tres Montis.

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In Sicilia, sono stati individuati possibili depositi di celestina, minerale costituito principalmente da solfato di stronzio. Anche se il litio è conosciuto nelle pegmatiti dell’Isola d’Elba, del Giglio e di Vipiteno, “è la recente scoperta di importanti quantitativi di litio nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani a rivestire un’ottima opportunità di estrazione a basso impatto ambientale. Sette permessi di ricerca sono stati rilasciati dalla Regione Lazio e inseriti nel database, insieme agli altri attualmente vigenti”, continua ISPRA.

Tra i materiali critici non metalliferi, sono rilevanti infine i depositi di barite, utilizzata nelle industrie cartaria, chimica e meccanica, situati nel bergamasco, nel bresciano e in Trentino. Inoltre, i depositi di grafite, precedentemente sfruttati per coloranti e lubrificanti, sono di crescente interesse per le nuove tecnologie e si trovano nel torinese (questi attualmente interessati da due permessi di ricerca), nel savonese e nella Sila.

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I rifiuti estrattivi

A livello globale, cresce poi l'interesse per l'utilizzo degli scarti minerari come fonte di materie prime. In Italia, le attività minerarie passate hanno lasciato circa 150 milioni di metri cubi di scarti di lavorazione, spesso conservati in strutture obsolete che rappresentano un grave problema ambientale. Questi rifiuti estrattivi contaminano infatti acque superficiali e sotterranee e suoli con metalli pesanti, che invece potrebbero essere recuperati.

Per questo l’articolo 9 del Decreto-legge 84/24 esprime la necessità che “l’estrazione di sostanze  minerali  nelle strutture di deposito di rifiuti estrattivi,  chiuse  o  abbandonate, per le quali non è più vigente il titolo  minerario, può essere concessa solo a seguito dell'elaborazione, da parte dell'aspirante concessionario, di uno specifico ‘Piano di recupero di materie prime dai rifiuti di estrazione storici’”. Il Piano di recupero deve dimostrare la sostenibilità economica e ambientale dell'intero ciclo di vita delle operazioni.

Come ricordato da ISPRA, lo stesso regolamento dell'Unione Europea affronta, sebbene con ritardo rispetto ad altre grandi economie minerarie, le sfide legate all'estrazione e alle problematiche ambientali e sociali. Per rilanciare la politica mineraria nazionale è fondamentale però “puntare su formazione e ricerca di base nel settore minerario, coinvolgendo oltre agli enti di ricerca la comunità scientifica, le università e le scuole professionali”.

 

Immagine di copertina: Envato