Soufrière Hills è un vulcano di 1.467 metri che svetta sull'isola caraibica di Montserrat, nell’arcipelago delle Piccole Antille. Dopo alcune devastanti eruzioni avvenute tra il 1995 e il 1997, il vulcano, ora dormiente, è così ricco di calore geotermico che potrebbe soddisfare la domanda energetica dell’intera isola. Per realizzare il progetto di estrazione, però, sorgono due problemi di natura economica. Per un’isola di 4.000 abitanti costruire un impianto geotermico da 2 megawatt non ha molto senso perché poco scalabile. Inoltre, considerate le piccole dimensioni del progetto, il costo dell’elettricità diventerebbe proibitivo per la maggior parte degli abitanti.

Secondo Jonathan Blundy, scienziato della Terra dell’università di Oxford e direttore dell’Oxford Martin Programme, per rendere economicamente sostenibile il progetto non basta l’energia geotermica, c’è bisogna di altro. Così, insieme al suo team di ricerca, passa diversi anni a studiare come estrarre dai vulcani fluidi ricchi di minerali critici, come rame, litio e cobalto. “Si tratta di una nuova frontiera mineraria che combina l'estrazione di metalli con l’energia geotermica – spiega Blundy a Materia Rinnovabile ‒ in modo da ridurre drasticamente l'impatto ambientale dell'attività mineraria convenzionale.”

Impianto geotermico di Kakkonda, Giappone. Si tratta del sito di un pozzo di ricerca profondo 3,7 km perforato nel 1995, che ha raggiunto una temperatura di fondo del foro di 510 °C. Kakkonda è attualmente una centrale geotermica convenzionale da 50 MW con pozzi che raggiungono circa 1,5 km di profondità. È stato proposto come sito per la produzione di energia geotermica supercritica nel prossimo futuro. I fluidi geotermici supercritici saranno ricchi di diversi metalli, tra cui rame, oro e zinco. Il co-recupero di questi metalli insieme al calore potrebbe avere un beneficio significativo per l'economia della produzione di energia geotermica

Fluidi supercritici, la nuova frontiera del green mining vulcanico

Alcuni geologi lo etichettano come green mining. Per capire come funziona il processo è bene tenere presente che i vulcani scaricano in atmosfera grandi quantità di gas ricchi di minerali. Rilasciati dal magma ‒ roccia fusa situata a chilometri di profondità nella crosta terrestre – questi gas risalgono in superficie trasformandosi in vapore e brina geotermica. Mentre il vapore fuoriesce dal vulcano, la brina, che trattiene la maggior parte dei minerali, si raccoglie nelle cosiddette magmatic brine lenses, una sorta di piscine sotterranee che raggiungono temperature di 400 C°.

“Se fossimo in grado di perforare le rocce sopra la camera magmatica e arrivare alla brina, non solo otterremmo metalli dissolti in un liquido denso, ma anche calore geotermico. Una soluzione win-win”, spiega Blundy. Lui e i suoi colleghi hanno stimato che una singola magmatic brine lense formatasi nell'arco di 10.000 anni potrebbe contenere 1,4 megatonnellate di rame. Per stimarlo hanno utilizzato tecniche geofisiche che, sfruttando la conduttività elettrica dei minerali, sono in grado di individuare corpi conduttivi anche a chilometri di profondità. I minerali presenti variano a seconda del tipo di vulcano e magma, ma comprendono tendenzialmente la maggior parte della tavola periodica.

In un paper, pubblicato sul sito della prestigiosa società scientifica The Royal Society di Londra, si legge come la geotermia supercritica abbia le potenzialità di diventare un metodo più sostenibile dell’estrazione tradizionale, che produce enormi cumuli di roccia di scarto e necessita di molta energia. La prospettiva di estrarre i metalli dissolti in soluzione ridurrebbe i costi d’estrazione e di raffinazione, inoltre sfruttando l'energia geotermica verrebbero tagliate anche le emissioni di anidride carbonica.

Un pozzo geotermico esplorativo perforato a Montserrat nel 2013. Il pozzo ha raggiunto una profondità di 2,9 km e una temperatura di 265 °C, dimostrando la presenza di un sistema geotermico in grado di generare 2 MW di elettricità, più che sufficienti a soddisfare l'attuale fabbisogno energetico dell'isola. Il programma multidisciplinare della Oxford Martin School sta esplorando i modi per recuperare i metalli critici da quegli stessi fluidi geotermici come mezzo per fornire un ulteriore flusso di entrate e quindi ridurre il costo dell'elettricità

I rischi della geotermia supercritica

Perforare la roccia fino a 2 chilometri di profondità con temperature superiori a 450°C comporta ovviamente dei rischi. Nonostante la tecnologia di perforazione sia nota da tempo, gli scienziati dell’Università di Oxford sottolineano la necessità di rendere solido il pozzo e reperire materiali resistenti alla corrosione. “Il processo è tecnologicamente a portata di mano – rassicura Blundy – e, dal momento che lavoriamo solo con vulcani dormienti, il rischio di innescare eruzione è molto basso. I pericoli riguardano soprattutto la reiniezione del fluido nel sottosuolo. Bisogna fare molta attenzione a non lubrificare le faglie e a non creare la cosiddetta sismicità indotta”. In un paio di occasioni, in Islanda e alle Hawaii, la perforazione è arrivata fino al magma, causando piccole eruzioni. Secondo Blundy non è stato nulla di apocalittico, ma il rischio eruzione va sempre e comunque valutato e monitorato.

Il progetto dell’Oxford Martin Programme ha effettuato test su diversi sistemi geotermici anche in Giappone, Italia, Indonesia e Messico, confermando le potenzialità delle brine geotermiche come fonti di metalli critici. Oggi la geotermia supercritica in aree vulcaniche è molto più che una semplice suggestione accademica, ma prima di vedere l’estrazione delle prime tonnellate di fluidi geotermici ci vorrà di più che qualche anno.

 

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Immagine di copertina: Vulcano Soufriere Hills, Montserrat. I getti di vapore caldo (chiamati “fumarole”) che emergono dalla cima testimoniano la presenza di calore ed elementi (H2O, CO₂) sotto il vulcano. La controparte del vapore caldo delle fumarole è la salamoia ricca di metalli intrappolata a profondità comprese tra 2 e 4 km sotto la superficie. Queste salamoie assumono la forma di lenti che possono essere fotografate con metodi geofisici, come la resistività elettrica o le onde sismiche

 

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