Lo sconfinato silenzioso bianco dell’Antartide, macchiato solo dai dorsi neri dei pinguini imperatore, è l’immagine con cui si è chiusa la 27ª edizione di CinemAmbiente.
Voyage au Pôle Sud, il film più intimista del regista premio Oscar Luc Jacquet, è stato proiettato in anteprima a Torino il 9 giugno, per l’ultima serata del più importante festival italiano di cinema ambientale. Mentre fuori già si scatenava il dibattito sugli exit poll delle elezioni europee, nella sala buia del Cinema Massimo si viveva un'esperienza immersiva, sospesi fra la meraviglia per una natura potente ancora incontaminata e un’angosciosa solastalgia per ciò che invece è andato o sarà presto irrimediabilmente perduto.
Ed è questa, in estrema sintesi, la dialettica di emozioni che lo straordinario festival fondato da Gaetano Capizzi (scomparso prematuramente lo scorso ottobre) porta da 27 anni sotto la Mole Antonelliana. Un carico emotivo che tuttavia non si traduce in rassegnazione, ma in denuncia, lotta, attivismo, volontà di approfondimento e ricerca di soluzioni. Insomma, tutto quello che, anche quest’anno, abbiamo visto nelle 76 pellicole provenienti da tutto il mondo e selezionate dalla direttrice artistica Lia Furxhi e dal suo team.
I vincitori di CinemAmbiente 2024, fra lotta per le risorse e attivismo giovanile
Voci dal dietro le quinte del festival assicurano che la decisione della giuria del concorso internazionale – composta da Luciano Barisone, Rachel Caplan, Davide Ferrario, Diana Garlytska e Stefano Mancuso – è stata quest’anno particolarmente ardua e dibattuta. L’ha spuntata alla fine The Battle for Laikipia di Daphne Matziaraki e Peter Murimi, che si è aggiudicato il Premio Asja per il miglior documentario. Ambientato nella regione del Laikipia, in Kenya, è un film che unisce alle immagini epiche di paesaggi mozzafiato e fauna selvatica la rappresentazione equilibrata e attenta a tutti i punti di vista della battaglia per le risorse naturali del territorio, che si fa sempre più dura, fino a diventare vera e propria lotta armata, a causa delle prolungate siccità.
“Quest’opera coinvolgente – scrivono i giurati – cattura con forza la complessa eredità del colonialismo britannico in Kenya, bilanciando la precaria posizione attuale dei discendenti dei coloni bianchi con gli impatti devastanti dei cambiamenti climatici sulle comunità indigene. I registi hanno sapientemente delineato un ritratto empatico degli individui coinvolti in questo conflitto, offrendo agli spettatori una visione articolata di entrambe le parti.”
Una menzione speciale è stata inoltra assegnata a Once Upon a Time in a Forest della regista finlandese Virpi Suutari. Una pellicola che riesce nell’impresa di unire poesia e denuncia, attivismo e spiritualità legata alla natura, e proprio per questo si è aggiudicata anche il premio speciale CasaComune. Ambientata nel sud della Finlandia, la storia segue due giovani attiviste nella lotta per la protezione di alcune foreste locali, destinate ad alimentare la fin troppo fiorente industria del legno finlandese.
Di foreste e di attivismo giovanile parla anche il film che ha ricevuto il Premio del pubblico offerto da IREN. Lonely Oaks 1250 di Fabiana Fragale, Kilian Kuhlendahl e Jens Mühlhoff racconta la storia drammatica di Steffen Meyn, studente di cinema tedesco che perse la vita nel 2018, cadendo da un albero mentre filmava le operazioni di sgombero di un gruppo di ambientalisti impegnati a proteggere l'antica foresta di Hambach dall’espansione di una miniera di lignite.
Il Premio SMAT per il miglior cortometraggio internazionale è andato invece a una pellicola indiana, premiata per l’ironia con cui mette sul piatto (letteralmente) una potente denuncia. The Feast, di Rishi Chandna, racconta una vicenda del 2021 che ha per protagonista un gruppo di pescatrici del lago Pulicat, la più grande laguna salmastra del sud dell’India. Disperate per il progetto di costruzione di un porto e l’espansione di una fabbrica che minacciano di distruggere la loro fonte di sussistenza, le donne organizzano un banchetto per politici e autorità, affidando le loro speranze alla natura stessa e a una cena che, scrive la giuria, “potrebbe risultare indigesta”.
Una menzione speciale è andata infine al cortometraggio americano Bat Boy di Aaron Lemle, che con grande delicatezza mette in scena il rapporto uomo-animale attraverso la storia di un bambino autistico e la sua speciale passione per i pipistrelli.
I premi speciali, fra poesia e food system
Il palmarès di CinemAmbiente non sarebbe completo senza i premi speciali. Il primo, istituito quest’anno, è il Premio Slow Food a film che si concentrano sui temi dell’agroalimentare sostenibile. E non poteva esserci scelta migliore di Common Ground di Josh e Rebecca Tickell. Uscito lo scorso anno come seguito del fortunatissimo Kiss the Ground, che con oltre un miliardo di spettatori in tutto il mondo ha contribuito a convincere il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti a stanziare 20 miliardi di dollari per lo stato di salute del suolo, il nuovo lavoro dei Tickell si avvale di un cast di star hollywoodiane come Woody Harrelson, Laura Dern e Jason Momoa, ma anche di scienziati ed esperti da tutto il mondo. Ha le carte in regola, insomma, per diventare di nuovo un fenomeno mainstream e diffondere il verbo dell’agricoltura rigenerativa.
Una menzione speciale è andata anche a un film italiano, Until the End of the World di Francesco De Augustinis, che non ha star di Hollywood dalla sua, ma una lunga ricerca da un capo all’altro del mondo per denunciare ingiustizie e insostenibilità ambientale dell’allevamento intensivo di pesci. Anche il Premio Ambiente e Società assegnato dalla Cooperativa Sociale Arcobaleno è andato a una pellicola di inchiesta sull’industria alimentare. Il già acclamato Food for Profit di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi si è aggiudicato il riconoscimento per la sua capacità di denunciare, scrivono i giurati, “il pericoloso scollamento tra la parola e l’azione e più ancora tra principi condivisi e il loro consapevole tradimento”.
Infine, un ultimo riconoscimento, istituito quest’anno alla memoria di Gaetano Capizzi, è andato a uno dei film della sezione Made in Italy: Un paese ci vuole. Zavattini, Luzzara e il Po di Francesco Conversano e Nene Grignaffini. Un lavoro poetico, quasi letterario, che all’apparenza sembra stonare in mezzo a tante pellicole di denuncia e inchiesta, ma in realtà si rifà a un filone da sempre caro al festival di Capizzi. E vale la pena riportare per intero la motivazione scritta dai giurati Enrico Camanni, Serenella Iovino e Giovanni Iozzi: “I registi ci portano sul Grande Fiume per un racconto epico e minimalista sulla poesia delle radici, rivelandoci che le nostre appartenenze sono mobili, aperte e in divenire. E che essere è immaginare. Luzzara è un paesaggio della Resistenza, ma è anche un paesaggio di resistenza: resistenza poetica e narrativa, resistenza della fantasia. Con delicatezza e ironia in perfetto stile zavattiniano, il film ci mostra un paesaggio dove l'immaginazione si stacca dalle cose e guida lo sguardo, mettendoci (direbbe Gianni Celati) ‘in uno stato d'amore per qualcosa là fuori’. Il film si muove in quest'orizzonte con l'allegria un po' malinconica e il realismo magico dell'ostinazione cari al fondatore di questo Festival”. Un’ostinazione che fa parte dell’eredità di Gaetano Capizzi e che, siamo certi, ci porterà ancora tante edizioni di CinemAmbiente.
Per chi volesse vedere o rivedere i film del 27° CinemAmbiente, 44 fra le pellicole proiettate saranno ancora visibili gratuitamente in streaming fino al 18 giugno tramite il sito del Festival, sulla piattaforma OpenDDB.
Immagini: CinemAmbiente. Immagine di copertina: The Battle For Laikipia