L’8 e il 9 giugno 2024 in Italia si vota per eleggere il nuovo Parlamento europeo. A pochi giorni dalle elezioni, Materia Rinnovabile ha intervistato candidate e candidati per l’Italia all’Europarlamento, per sapere quali sono le loro idee e intenzioni in materia di ambiente, transizione ecologica, Green Deal, riforme dei trattati e non solo. Per il Movimento 5 Stelle (M5S) abbiamo intervistato Ugo Biggeri, dottore in ingegneria elettronica e co-fondatore di Banca Etica, che si candiderà nella Circoscrizione Nord-Est (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Emilia-Romagna).

Biggeri, quali saranno le tre priorità del suo eventuale mandato come europarlamentare?

La prima è la pace, soprattutto in Ucraina e Palestina, ma più in generale nei tanti conflitti che ci sono nel mondo. Intendo mettere lo stesso impegno che abbiamo usato per mandare armi nel fermare la guerra. L'escalation militare sta causando morti, sprechi di risorse e soprattutto un rischio enorme di allargamento del conflitto. La seconda è relativa a quello di cui mi sono occupato negli ultimi 25 anni, la finanza etica. Occorre rallentare i meccanismi speculativi nel campo dei derivati e degli scambi di valuta e al tempo stesso dare una direzione alla finanza, preoccupandoci degli impatti ambientali e sociali. Questo non si fa però volontariamente: bisogna mettere delle regole e fare in modo che cambino gli incentivi e disincentivi che girano attorno alle attività economiche. La mia terza priorità è l'economia sociale, che vedo legata alla transizione ecologica, di cui abbiamo assolutamente bisogno. Il contrasto alla crisi climatica è prioritario, però dobbiamo farlo pensando anche alle persone. Sarebbe assurdo far pagare la transizione ecologica a coloro che hanno contribuito meno a crearla.

Come si può rafforzare il mandato sul Green Deal in Europa? Soprattutto dopo le proteste degli agricoltori.

Per rafforzare il Green Deal bisogna spostare il focus dall'approccio volontario delle imprese a uno più normativo. Le norme non dovrebbero complicare la vita con eccessiva burocrazia a chi si impegna per la sostenibilità, ma piuttosto disincentivare e creare ostacoli burocratici a chi non adotta pratiche sostenibili. Invece, la protesta degli agricoltori ha dimostrato che la transizione ecologica non è stata adeguatamente supportata. Processi così complessi richiedono meccanismi di partecipazione, spiegazione e coinvolgimento delle persone e delle imprese, che rischiano di vedere il cambiamento, inevitabile, come una minaccia. È mancata una visione europea, che avrebbe dovuto fornire strumenti partecipativi ed economici per accompagnare gli agricoltori verso la transizione. L’agricoltura è un settore che va sostenuto: agli agricoltori non arrivano mai risorse sufficienti per il loro lavoro e quindi si trovano costretti a utilizzare metodologie insostenibili. Questo permetterebbe anche che la Politica agricola comune (PAC) sposti il suo focus verso un modello più sostenibile.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha lanciato la proposta di un EU Blue Deal. Quali suggerimenti si potrebbero avanzare sul tema?

Sul tema acqua dovremo fare molto di più, in particolare sull'inquinamento che riguarda ormai le falde acquifere di tutta Europa. Penso ad esempio ai PFAS. L'acqua è una risorsa fondamentale per tutti ed è essenziale garantirne l'accesso, evitare sprechi e prevenirne il deterioramento. L'Unione Europea sta già affrontando alcuni di questi temi, ma una visione organica potrebbe essere di grande aiuto. Inoltre, implementare modelli di monitoraggio partecipativo da parte dei cittadini potrebbe fare la differenza. Come sosteneva la premio Nobel Elinor Ostrom, i beni comuni sono meglio tutelati quando esistono comitati cittadini a loro difesa.

Per l’applicazione delle politiche di sostenibilità sono necessarie riforme fiscali e finanziarie. Quali ritiene prioritarie?

Innanzitutto, iniziare a usare la leva fiscale per favorire l'innovazione, spostando la tassazione dal lavoro e dai redditi ai consumi di ambiente. Sebbene sia un processo complesso, questa strategia renderebbe meno costoso il lavoro, incentivando al contempo un maggiore investimento nell'innovazione ambientale. Inoltre, dobbiamo porre fine alla competizione fiscale al ribasso in Europa. Attirare le grandi multinazionali promettendo tasse più basse porta al risultato che alcune delle compagnie più importanti del mondo ne paghino pochissime. Dobbiamo invece tassare chi realizza i maggiori profitti, ovvero le grandi multinazionali e i grandi patrimoni. È poi essenziale introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie. Dobbiamo rallentare i meccanismi speculativi, poiché i mercati dei derivati, che, ricordiamolo, non producono ricchezza, comportano costi di stipula dei premi che si avvicinano al PIL mondiale.

Inoltre, credo che dobbiamo cominciare a non parlare più di prodotti di finanza sostenibile, perché ha portato anche a un nuovo tipo di greenwashing. Molte imprese finanziarie fanno leva su quella piccola parte di portafoglio di prodotti di finanza sostenibile, che è residuale anche meno dell’1%, per dire che sono attente alla sostenibilità, ma poi, con la maggioranza delle proprie attività, continuano a finanziare attività dannose come l'estrazione del petrolio e le armi. Quindi, dobbiamo passare da un approccio volontario e limitato ai prodotti sostenibili a una regolazione generale della finanza sulla misura degli impatti sociali e ambientali. Un esempio positivo è la Global Alliance for Banking on Values, in cui una ventina di banche hanno aderito alla Fossil Fuel Non-Proliferation Treaty Initiative, impegnandosi a non finanziare più l'estrazione del petrolio.

Uno dei compiti dei prossimi commissione e parlamento sarà la riforma dei trattati EU: cosa possiamo aspettarci?

Io spero in due cose. La prima è che l’UE vada sempre più verso una vera unione di fatto: non può esistere il principio dell'unanimità su tutte le decisioni. La seconda è avere una difesa comune europea, perché implicherebbe una politica estera comune. Poi, essendo un pacifista convinto, spero che insieme alla difesa comune vengano istituiti anche corpi di difesa di pace. Inoltre, non riguarda la riforma dei trattati, ma incentivare programmi come l’Erasmus o di partecipazione attiva per cittadini alle decisioni europee aiuterebbe il processo culturale che supporta l'idea di trasformare l'Europa in una vera federazione di stati.

Oggi l’unico campo dove tiene la diplomazia multilaterale, a fatica, è quello dei negoziati ambientali, mentre la diplomazia su commercio, economia, geopolitica sono ai minimi dai tempi della Guerra Fredda. Cosa va rafforzato in Europa?

Dobbiamo lavorare principalmente sui temi ambientali e sulla pace. Dobbiamo ricominciare a fare una diplomazia vera, perché ora abbiamo una cacofonia di voci ma non siamo un'unione su questi temi. Anche sugli accordi multilaterali l'Europa non ha quel potere che potrebbe avere. Con la questione climatica è come se avessimo causato un nuovo tipo di colonialismo, perché nonostante noi occidentali abbiamo avuto – e abbiamo ‒ uno stile di vita che ha sprecato risorse ambientali, ora gli altri non possono comportarsi allo stesso modo perché dobbiamo tutti consumare meno. Per provare a risolvere queste problematiche serve una visione globale, con cui l'Unione Europea potrebbe giocare un ruolo enorme.

La questione dei dazi all'importazione dal mercato cinese sta polarizzando l'industria europea, in particolare riguardo l'automotive (veicoli elettrici). Come si pone rispetto a questo settore?

Il Movimento 5 Stelle è a favore della mobilità elettrica e ritiene che, soprattutto nei grandi centri urbani, vada favorita la mobilità pubblica a discapito di quella privata. Tuttavia, su questi temi siamo in ritardo a livello internazionale proprio a causa della paura di perdere posizioni dominanti o strutturate. Serve un cambio di passo e un ragionamento su come fare a riportare in Europa la creatività e la competenza per generare l'innovazione necessaria per la transizione ecologica. Dazi e incentivi sono cose che si possono introdurre in un quadro complessivo di sviluppo della transizione, ma è necessario avere un piano reale, forte e chiaro, altrimenti rischiano di rallentare la transizione ecologica.

Che peso avrà il tema della Just Transition nel prossimo mandato europeo?

Spero che la questione venga presa seriamente, poiché la protesta dei trattori ha dimostrato che qualcosa è andato storto. Le misure ambientali promosse dall'UE, sebbene giuste, sono state percepite come minacce da molti lavoratori. L'equità è essenziale per una transizione di successo. Penso a Don Milani, che negli anni Cinquanta osservava come l'aumento della produttività nel settore tessile di Prato, dovuto ai telai, avesse quadruplicato il lavoro svolto da una singola persona. Tuttavia, i benefici di questa produttività sono andati esclusivamente all'industria e ai consumatori. Ecco, questo errore non deve ripetersi. Se non consideriamo gli aspetti sociali, le contraddizioni emerse con la protesta dei trattori ostacoleranno la transizione ecologica.

 

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Immagini: Ugo Biggeri

 

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