Annalisa Corrado è ingegnera meccanica ed ecologista, responsabile sviluppo dei progetti innovativi di AzzeroCO₂, referente attività tecniche per Kyoto Club, co-ideatrice e coordinatrice del progetto #GreenHeroes. E dopo la vittoria alle primarie di Elly Schlein è anche stata nominata dalla nuova leader del Partito Democratico responsabile per conversione ecologica, clima, green economy e Agenda 2030 nella segreteria nazionale PD.

L’8 e il 9 giugno in Italia si vota per eleggere il nuovo Parlamento europeo e Annalisa Corrado è candidata nella Circoscrizione Nord-Est (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Emilia-Romagna). A pochi giorni dal voto, Materia Rinnovabile ha intervistato candidate e candidati per l’Italia all’Europarlamento, per sapere quali sono le loro idee e intenzioni in materia di ambiente, transizione ecologica, Green Deal, riforme dei trattati e non solo. Per il Partito Democratico, abbiamo parlato con Annalisa Corrado.

 

Corrado, se sarà eletta nell’Europarlamento quali saranno le tre priorità del suo mandato?

Senz’altro la prima sarà proteggere e rafforzare il Green Deal europeo, a partire dalla Nature Restoration Law, che è rimasta a metà strada, e che invece va collegata ai temi della salubrità dei territori, della qualità del suolo, della resilienza per la crisi climatica, della mitigazione della crisi climatica. La seconda: lavorerò per un piano energetico e industriale europeo ispirato alla transizione energetica. Non si può continuare così, con ogni stato che procede alla spicciolata. Dobbiamo operare in maniera coordinata, anche per ritrovare il nostro posizionamento industriale tra i colossi Cina e Stati Uniti, che si litigano la leadership della transizione. Terza priorità, voglio fare la mia parte per potenziare le istituzioni europee dal punto di vista soprattutto della politica estera e della politica fiscale. Una vera politica estera europea comune serve per poter dialogare e pesare sui tavoli diplomatici internazionali, e favorire la pace. Sul piano fiscale occorre una strategia unica per combattere l'elusione, farla finita con i paradisi fiscali europei di fatto, che favoriscono le grandi multinazionali in Europa, e per recuperare risorse da destinare a rafforzare il welfare degli stati e per accompagnare le fasce più fragili nella transizione ecologica.

Faceva riferimento alla Nature Restoration Law. Sappiamo che la vicenda si è intrecciata con le proteste degli agricoltori. Come tenere insieme l’esigenza di tutelare l’ambiente e il supporto all’agricoltura?

É una follia che si sia cercato di mettere gli agricoltori in contrapposizione agli strumenti per fronteggiare la crisi climatica. Gli agricoltori sono i primi a subirne le conseguenze negative, con le “false primavere” che danneggiano le colture, la siccità, gli agenti patogeni che arrivano perché è cambiato il microclima, gli eventi meteorologici estremi. L'agricoltura è in ginocchio a causa della crisi climatica, e chi fa politica seriamente dovrebbe aiutare le aziende agricole che non ce la fanno ad abbracciare gli strumenti di resilienza e mitigazione per poter affrontare più serenamente il futuro. Soffiare sulle paure e sulle contraddizioni è molto facile, trovare soluzioni è più complesso. E poi il problema vero dell'agricoltura è il modo in cui si formano i prezzi nella grande distribuzione, che penalizza terribilmente la produzione, con un prezzo a cui il mercato acquista i prodotti agricoli talmente basso da costringere l’agricoltore a produrre più che può, spesso danneggiando l'ecosistema che è il suo futuro. E anche in alcuni casi, quando non sono persone per bene, a adottare atteggiamenti di accettazione del caporalato. Quella che non riconosce il giusto prezzo all’agricoltore è una distribuzione criminogena. Infine, bisogna che i parametri di qualità e di rispetto dell'ambiente che vengono chiesti ai produttori europei siano rispettati anche dai produttori che vogliono vendere sul nostro mercato.

E quindi, cosa propone?

Propongo più e non meno Green Deal, una redistribuzione del prezzo per dare maggior valore e ricavo ai prodotti agricoli, l’imposizione dei criteri ambientali anche a chi esporta in Europa, e una riforma vera della PAC, la politica agricola comunitaria, perché assomigli molto di più alla strategia Farm to Fork. La PAC continua a dare l'80% delle risorse a pochissime grandi aziende, a danno dei piccoli produttori, che per di più presidiano le pratiche più sostenibili.

La Commissione europea raccomanda per il 2040 una riduzione netta delle emissioni di gas serra del 90% rispetto ai livelli del 1990, e una riduzione del consumo di energia prodotta con fonti fossili dell'80% rispetto al 2021. L'Europa ce la farà? Su quali settori e in che misura intervenire?

È chiaro che dal 2030 al 2050 è necessario stabilire obiettivi intermedi. Sappiamo che ci sono punti di non ritorno della crisi climatica, non possiamo fare tutto all’ultimo minuto, perché semplicemente non funzionerebbe. Quindi è fondamentale darsi una roadmap, ma ancor più importante è che dentro questa roadmap ci siano strumenti e risorse per rispettare i target. Altrimenti gli obiettivi continuano a slittare, come purtroppo succede in Italia, e diventano sempre più ardui da centrare per cercare di recuperare il ritardo. Quindi vanno bene gli obiettivi, ma servono misure e servono risorse dal bilancio europeo su tutti gli assi portanti infrastrutturali. La transizione ecologica è uno di questi, e non può essere trattata con le logiche dell'austerità.

Risorse per la sostenibilità che, ha già detto, impongono riforme fiscali e finanziarie. Quali sono quelle prioritarie?

Ripeto: la lotta all’elusione e all’evasione, che sottrae tantissime risorse al welfare e a tutti gli strumenti pubblici per sostenere le persone e i territori, e anche la transizione ecologica. Ancora, bisogna omogeneizzare le politiche fiscali europee. Poi c'è il tema del patto di stabilità: dobbiamo tornare alla logica del Next Generation EU, e non ai vecchi metodi dell'austerità, come purtroppo invece sembra che si stia facendo, anche con il beneplacito del governo Meloni, che non ha detto una parola in merito.

Uno dei compiti dei prossimi Commissione e Parlamento sarà la riforma dei trattati EU. Cosa possiamo aspettarci?

Molto dipenderà dall’esito delle elezioni, da come si creeranno i nuovi equilibri politici. Veramente i popolari pensano di poter fare accordi anche con la destra e l'estrema destra, nella consapevolezza che quelle che si stanno saldando sono le peggiori destre eversive mondiali? Se fossi del PPE preferirei lasciarli dalla parte sbagliata della storia, non cercare di farci accordi a tutti i costi. E sicuramente c'è la necessità di tornare sulla riforma del trattato di Dublino: è il lavoro che fece Elly Schlein dieci anni fa, e che poi è rimasto bloccato. Una partita decisiva per costruire politiche di vera coesione, di sicurezza interna, di solidarietà, per evitare che il Mediterraneo continui a essere un grande cimitero invece che un mare che unisce.

La questione dei dazi all'importazione dal mercato cinese sta polarizzando l'industria europea, in particolare riguardo l’automotive per i veicoli elettrici. Che ne pensa?

Noi europei siamo talmente indietro in certi settori che i dazi rischiano di essere una scelta autolesionista. I dazi se li può permettere Biden, che ha fatto politiche di investimento clamorose e ora ha un potere negoziale superiore a quello europeo. Gran parte della nostra manifattura è legata a doppio filo a componentistica che arriva dal mercato cinese. Quindi eviterei una politica di dazi, che porterebbe a un muro contro muro che oggettivamente potrebbe non vederci vincitori. Al contrario, dovremmo avviare delle politiche di multilateralismo più avanzate. Dobbiamo certo proteggere la manifattura e le eccellenze europee dal dumping e da chi gioca sporco, anche pretendendo che chi vende in Europa rispetti, come noi, lavoratori e ambiente. E poi c'è la Border Tax, un altro elemento che a mio avviso va assolutamente preso in considerazione.

Che peso avrà il tema della Just Transition nel prossimo mandato europeo?

È sbagliatissimo sostenere che la transizione ecologica crea danni sociali cui bisogna rimediare. Al contrario, i danni sociali li ha prodotti il fallimento del modello neoliberista. Non solo non ha mantenuto le promesse di ricchezza, anzi: non siamo mai stati così poveri, non siamo mai stati così fragili, non siamo mai stati così ammalati, anche a livello di ecosistemi. Per uscire da questa spirale, per ricostruire sulle macerie che già si sono prodotte bisogna rimettere in piedi l'economia e ricucire le diseguaglianze. E l'unico modo per riuscirci è la conversione ecologica. La conversione ecologica non deve chiedere permesso, è una cura a una malattia molto grave. Poi, certo, come per ogni malato bisogna usare tutte le attenzioni possibili, ma dobbiamo farla finita con il falso mito che rinviare e ritardare certe scelte riduce i danni. Perdere tempo aumenta i danni, e i danni del non aver agito prima li abbiamo tutti sotto gli occhi. Chiedere più tempo per la transizione significa perdere il treno della transizione. Non dobbiamo chiedere più tempo, ma più risorse e più strumenti.

 

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Immagine di copertina: Annalisa Corrado