Mentre la Sicilia sbandiera con orgoglio il suo primato nazionale per estensione di superfici biologiche, superando abbondantemente gli obiettivi europei, un’ombra lunga e inesorabile si stende sui campi e sulle aziende agricole: quella della crisi idrica.

Da uno studio condotto dalla CGA di Mestre, l’Italia è il paese più idroesigente d’Europa. I consumi idrici totali degli italiani e delle italiane ammontano a 40 miliardi di metri cubi all’anno. Di questi, il 41% è in capo all’agricoltura (16,4 miliardi di metri cubi). Nel 2024, dal 1° gennaio al 31 maggio si sono riscontrati i danni più gravi alle colture da seme il cui ciclo produttivo si conclude in primavera.

La regione ha calcolato il danno alla produzione in quasi 313 milioni di euro, pari a circa il 74% della produzione ordinaria nel territorio interessato, stimando un danno alla produzione del 60% sui legumi, del 70% sui cereali e dell’80% sulle foraggere. In alcuni casi si hanno segnalazioni di danno pari al 100%.

Scendendo nel dettaglio delle perdite idriche, la media nei comuni capoluogo italiani è del 35,2%, ma nel Sud Italia del 50,5%, e il dato aumenta di 1,4% per quanto riguarda le isole (51,9%).

La dispersione idrica in Sicilia

La Sicilia è ai primi posti: la dispersione idrica ammonta al 51,6% dell'acqua immessa in rete. Alcune città mostrano percentuali di perdita particolarmente elevate rispetto alla media nazionale, come Siracusa (65,2%) e Messina (56,5%). Altre, invece, si avvicinano o sono inferiori alla media nazionale: Trapani (17,2%), Enna (27,4%), Caltanissetta (31,1%), Palermo (49,7%) e Ragusa (46,5%).

A metà marzo, il presidente di regione Renato Schifani ha fatto sapere che saranno investiti 290 milioni di euro tra fondi pubblici e privati per dare una svolta alla crisi idrica della regione: “La nostra risposta concreta alla siccità è la realizzazione di cinque nuovi dissalatori, fondamentali per garantire l’approvvigionamento idrico e affrontare con determinazione i cambiamenti climatici. Questo progetto non è solo un intervento infrastrutturale, ma un segnale concreto di impegno e responsabilità verso il futuro della nostra terra”.

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Sicilia agroalimentare: tra primati bio e fragilità strutturali

Secondo i dati di ISMEA mercati, la regione Sicilia è prima in Italia per superficie investita ad arance, rappresentando circa i due terzi del totale nazionale. Nel 2023, ammontava a 56.054 ettari, con un incremento di circa 700 ettari rispetto al 2022 (+1,3%) e del 1,4% rispetto alla media del triennio precedente.

La Sicilia vanta anche il primato nazionale per estensione di superfici biologiche, superando già l'obiettivo europeo del 25% di superficie agricola utilizzata (SAU) biologica entro il 2030, avendo raggiunto il 28,8% nel 2022. E l'export di prodotti agroalimentari è in aumento (+5,8% nel 2022).

Dall'altro lato, però, persistono problematiche profonde. Come riporta il report del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, L’agricoltura in Sicilia in cifre 2024, tra il 2010 e il 2020 il numero di aziende agricole è diminuito del 34,5%, un dato allarmante che indica una possibile fragilità strutturale. La bassa digitalizzazione delle aziende (solo il 7,5% è informatizzato) rappresenta un freno all'innovazione e alla competitività. E la produttività del lavoro nel comparto è notevolmente inferiore rispetto alla media nazionale: nel 2021 il valore aggiunto per unità di lavoro nel settore dell'agricoltura in Sicilia era di 20.570 euro, contro i 65.456 euro nazionali.

Dighe incompiute, campi assetati e PAC inadatta

“Attualmente, la situazione degli invasi siciliani e dell'agricoltura della regione dopo le ultime piogge è migliorata. Resta il fatto che ci sono molte dighe in Sicilia non collaudate e molta acqua invece di essere invasata è finita in mare”, ci spiega Rosario Marchese Ragona, presidente di Confagricoltura Sicilia.

“Paradossalmente, la diga Trinità nel trapanese, pur avendo acqua, è stata svuotata dall'autorità di bacino nazionale per motivi di sicurezza. In Sicilia, su 25 dighe, oltre 21 non sono collaudate, e quelle collaudate presentano deficienze strutturali. Si critica lo spreco di 18 milioni di metri cubi d'acqua in un'area che soffre la siccità, suggerendo l'uso di risorse come l'esercito e la protezione civile per creare condutture temporanee e riempire gli invasi degli agricoltori. Si ricorda, tra le altre, la diga di Gibbesi nell'agrigentino, inutilizzata da oltre 40 anni, con paratie aperte che, in caso di forti piogge, invece di invasare acqua causa danni alla piana di Licata. Si sottolinea la necessità di opere strutturali serie per evitare di fronteggiare sempre emergenze che costano di più e danneggiano la società e il mondo agricolo.”

Commentando il 2024, Marchese Ragona precisa che “le perdite sono inestimabili a causa dei disastri continui”. La mancanza di pioggia ha danneggiato diverse colture, come le arboree, le arance nella Piana di Catania, che, pur essendo di ottima qualità, in alcuni areali hanno una pezzatura piccola che potrebbe non essere apprezzata dal mercato.

La produzione di olive è diminuita di oltre il 50%. C’è il rischio di una riduzione delle riserve idriche sotterranee con un aumento della conducibilità dell’acqua che può danneggiare le coltivazioni.

Il presidente di Confagricoltura Sicilia considera la PAC (politica agricola comune) lontana dalla realtà siciliana: “Si critica l'obbligo di tenere gli erbai fino a settembre (tra gli ecosistemi previsti), che potrebbero diventare situazioni pericolose in caso di incendi o ondate di calore. È necessario rivedere la PAC e gli ecoschemi per adattarli alla realtà locale”.

La regione nei mesi scorsi ha stanziato aiuti per gli agricoltori, ma, secondo Marchese Ragona, “non tutti sono stati tempestivi ed efficaci, come il bonus foraggio per la zootecnia. I fondi potevano essere spesi meglio con aiuti diretti agli agricoltori per l'acquisto, oltre che di foraggio, di mangime e acqua”.

Per quanto riguarda il settore frutticolo, “la Regione Sicilia ha attivato la misura 23, destinando, come ci fanno sapere, 35 milioni di euro: 20 milioni per il comparto agrumicolo e 15 milioni per olivicoltura, mandorlicoltura e pistacchi. È un segnale positivo a favore del nostro comparto ma il rischio è che non siano sufficienti a coprire i veri danni subìti dagli agricoltori”, chiosa il presidente di Confagricoltura Sicilia.

Dalla crisi idrica allo spopolamento delle campagne

Dall’imprenditore agricolo all’agricoltore per passione: l’inefficienza nella gestione delle risorse idriche non risparmia nessuno e influenza la fiducia nelle istituzioni locali e regionali. “La dispersione idrica è un problema a molti livelli, con oltre il 50% dell'acqua che va perduto. Sarebbe necessario un intervento strutturale sulla rete idrica”, commenta Gaetano Sabato, professore associato di Geografia all’università degli studi di Palermo che ha condotto in questi mesi una ricerca sui Nebrodi, nelle aree collinari sopra Capo d’Orlando (Capri Leone, Mirto e Frazzanò), su “quanto la percezione della crisi idrica influenzi le piccole comunità”.

In particolare, è stato osservato che i residenti coltivano piccoli appezzamenti di terreno (5-15 km²) per passione, spesso terreni di famiglia. Non si tratta di coltivatori professionisti, ma cittadini che coltivano orti familiari, frutteti e uliveti. La produzione agricola non solo soddisfa le esigenze familiari, ma crea anche un surplus che viene scambiato, spesso non economicamente.

“Alcuni giovani decidono di rimanere in questi territori, che sono notoriamente interessati dallo spopolamento”, aggiunge Sabato. “La preoccupazione principale è che, con la diminuzione delle risorse idriche, si possa essere costretti a ridurre o abbandonare le coltivazioni. Questo, a livello micro, è particolarmente rilevante perché si tratta di investimenti personali e non di produzioni industriali su larga scala.”

Ma lo spopolamento delle campagne rende i territori più vulnerabili agli eventi naturali. Le campagne abbandonate sono più suscettibili a frane e smottamenti in caso di piogge intense e la frequenza delle campagne, con coltivazioni attive, aumenta la resilienza del territorio.

“L'uso di dissalatori viene giustamente discusso come una delle possibili soluzioni, ma anch’esso presenta problemi legati allo smaltimento dell’acqua ipersalinizzata di scarto (chiamata brine, salamoia) che include anche piccole quantità di metalli e cloruri e che quindi deve essere trattata correttamente per evitare l'aumento di sostanze pericolose disciolte in mare”, conclude il docente. “Nel caso di un utilizzo intensivo di dissalatori su uno stesso bacino, infatti, questa situazione potrebbe avere conseguenze sugli ecosistemi e sulla biodiversità.”

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In copertina: immagine Envato