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Da Cali, Colombia - Sabato mattina, 26 ottobre, nuvole gonfie di pioggia si stagliano sopra il centro espositivo Valle del Pacifico di Cali, dove ha luogo il sedicesimo negoziato ONU sulla biodiversità. Mentre gruppi delegati sorseggiano caffè (rigorosamente colombiano), si mormora come le nuvole grigie siano una perfetta metafora dell’avanzamento dei negoziati. Non piove ancora, ma al momento non promette nulla di buono.

La COP delle persone, come ha voluto battezzarla la presidenza colombiana, è sicuramente un successo, per la grande attenzione data a popolazioni indigene, minoranze, donne, comunità, come dimostrano panel ed eventi che si tengono nella zona governativa (blu) e in quella civile (verde). Ma la COP dell’implementazione, come ribattezzata dalla presidenza della CBD, per concretizzare il Global Biodiversity Framework (GBF), invece fatica a eliminare le tante opzioni sul tavolo nel testo negoziale.

Va ribadito: COP16 deve trovare strategie di scale-up della finanza per la natura e accelerare l’azione di piani per la biodiversità (NBSAP), garantendo una rendicontazione trasparente ed efficacie degli sforzi congiunti. Al momento si registrano solo 34 NBSAP sottoposti su oltre 196, con l’Italia che ha presentato la sua strategia per la biodiversità solo in italiano (notoriamente lingua non ONU). I piani più recenti dichiarati sono quelli di Colombia, Libia, Moldova, Emirati Arabi Uniti e Uganda. Cambierà qualcosa il segmento di alto livello?

Lo stallo che rischia di bloccare COP16

Lo stallo riproduce la classica impasse che da anni rallenta anche il negoziato sul clima. I paesi occidentali non vogliono sborsare soldi ma vogliono strumenti finanziari sofisticati, i paesi in via di sviluppo chiedono risorse, in qualsiasi forma, la Cina si rifiuta di entrare nel club dei grandi, il blocco latino-americano ricorda sempre a tutti il tema dei diritti e delle minoranze, la Russia punta i piedi per ricordare che esiste.

Nemmeno la plenaria serale di bilancio di venerdì 25 ha fatto sufficiente pressione sui gruppi di contatto e di lavoro (due forme di riunione negoziale) per ridurre il numero di opzioni sui documenti, che affollano i testi all’inizio dei lavori e devono arrivare a trovare il consenso tra tutte le Parti. Una delle critiche più forti è stata mossa alla Global Environmental Facility (GEF), un’agenzia multilaterale preposta al finanziamento di progetti legati a clima e biodiversità che, stando al GBF, dovrebbe gestire il Global Biodiversity Framework Fund, il fondo per la natura, che dovrebbe arrivare a raccogliere ed erogare ai paesi meno sviluppati almeno 20 miliardi l’anno entro il 2025 e 30 miliardi per la fine del decennio.

I disaccordi sono legati alla struttura della Facility. Per i critici la rappresentanza dei paesi all’interno del suo board è squilibrata e l’accesso ai fondi ostico, mentre non è chiaro chi dovrebbe sostenerla e chi ne beneficerà. Dietro questa opposizione ci sono molti dei paesi megadiversi che sarebbero i principali recipienti delle risorse raccolte (Brasile, Congo, Indonesia) ma preferirebbero avere un peso maggiore nel GEF e meno controlli sull’implementazione dei progetti. "I finanziamenti per la biodiversità dovrebbero arrivare dove c'è la biodiversità”, ha dichiarato il negoziatore brasiliano André Aranha Corrêa do Lago in un commento in corridoio. “La voce dei paesi che sostengono un onere maggiore dovrebbe contare di più di quanto non faccia il sistema di governance del GEF."

Per la ONG Survival International, il portfolio del GEF "finora è stato dominato dalle agenzie delle Nazioni Unite e da una manciata selezionata di organizzazioni per la conservazione, per lo più con sede negli Stati Uniti" e rafforza "i vecchi e fallimentari modelli di conservazione dall'alto verso il basso, di tipo coloniale, soprattutto attraverso l'istituzione di parchi nazionali". Un posizionamento che, secondo un negoziatore europeo che preferisce non rivelare la propria identità, rischia di fermare tutto il pacchetto.

La questione finanziaria

La vera e tragica questione è il gap finanziario che interessa il GEF che sta per avviare un nuovo round di rifinanziamento, il nono. Al momento solo Canada, Germania, Giappone, Lussemburgo, Spagna, Regno Unito e Nuova Zelanda hanno contribuito al GBF Fund. Ci saranno ulteriori annunci da paesi del G7, come USA e Italia? Ma, soprattutto, si limiterà la biodiversity finance ai paesi sviluppati oppure, come mostrano le parentesi nei testi negoziati, si potranno aggiungere paesi in transizione, come accaduto lo scorso anno con gli Emirati Arabi Uniti che hanno offerto 100 milioni per il fondo Loss and Damage (la prima volta che un paese non industrializzato contribuiva finanziariamente all’interno di un negoziato ONU)?

“Nonostante le conversazioni costruttive di questa prima settimana di COP 16 e alcuni promettenti progressi sui temi più facili, è ancora necessario costruire una fiducia significativa sulla questione dei finanziamenti", afferma Lin Li, Senior Director di politiche globali e advocacy del WWF. I paesi devono andare oltre il semplice ribadire le proprie posizioni e cercare invece soluzioni per compiere progressi reali. “Mancano solo due mesi al 2025, la scadenza che la COP15 ha fissato per i paesi sviluppati per fornire 20 miliardi di dollari all'anno ai paesi in via di sviluppo per la conservazione della biodiversità. È fondamentale che finanziamenti adeguati, tempestivi e accessibili raggiungano le persone e i luoghi che ne hanno più bisogno."

Progressi e prospettive di COP16

Vari progressi sono stati portati avanti dai due gruppi di lavoro su diversi punti della Convenzione sulla diversità biologica (CBD), del Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza e del Protocollo di Nagoya su accesso, rendicontazione e trasparenza degli sviluppi dei target del GBF, e sulla condivisione dei benefici derivanti dal codice genetico (Meccanismo DSI). Su quest’ultimo la presidente di COP16, la colombiana Susana Muhamad ha sottolineato i notevoli progressi aggiungendo che, quando sarà messo in pratica, "sarà una vittoria per la giustizia e l'equità".

I negoziati sullo sviluppo di un piano d'azione tematico sulla creazione di capacità nel gruppo di contatto sulla biologia sintetica hanno rispecchiato gli approcci divergenti delle parti alle nuove biotecnologie e le opinioni contrastanti sul ruolo della Convenzione e del Protocollo di Cartagena nella loro valutazione e regolamentazione. Infine, il gruppo di contatto sul cambiamento climatico si è impegnato nel complesso esercizio su trovare interconnessioni tra biodiversità e clima e sul contributo della biodiversità agli obiettivi legati al clima. Ma i progressi sono stati limitati.

Giovedì 31 inizia il segmento di alto livello, al quale parteciperanno sei capi di stato, 110 ministri, 23 viceministri (per l’Italia ci sarà il sottosegretario Claudio Barbaro) e oltre 70 leader di organizzazioni internazionali. La speranza è che arrivino con un mandato chiaro e che puntino a tornare a casa con un risultato di successo. Un fallimento a COP16 sarebbe inaccettabile. Ma qualcuno ne chiederebbe conto al proprio governo?

 

Per saperne di più continuate a seguirci: dopo aver coperto nel 2022 i lavori per l’accordo di Kunming-Montreal, dal 25 ottobre al 2 novembre Materia Rinnovabile sarà a Cali per COP16, unica testata italiana accreditata. La copertura giornalistica è realizzata con il supporto di 3Bee, uniti nel promuovere il progresso delle strategie nazionali per la tutela della biodiversità. Venite a trovarci in sala stampa!

 

Immagine: UN Biodiversity