L’erba nativa delle praterie americane può essere utilizzata per produrre bioplastica biodegradabile. Lo sostiene uno studio a cura della South Dakota State University. L’indagine, condotta da Srinivas Janaswamy, professore associato presso il Dipartimento di Scienze Lattiero-Casearie e Alimentari dello stesso ateneo, apre la strada a nuove possibili produzioni a basso impatto ambientale.

I lavori di Janaswamy, si legge in una nota della South Dakota State, sono “all’avanguardia nello sviluppo delle bioplastiche”. Negli ultimi anni lo stesso ricercatore “ha dimostrato come sia possibile creare con successo pellicole bio da una serie di sottoprodotti agricoli, tra cui bucce di avocado e fondi di caffè esausti”.

Una risorsa sul suolo americano

La ricerca si è concentrata sulle proprietà della switchgrass o panìco verga (Panicum virgatum), un’erba capace di raggiungere altezze significative e molto diffusa nelle praterie del Nord America. Qui, sottolinea la nota, questa particolare specie vegetale “cresce in abbondanza e in una varietà di climi diversi, il che la rende una risorsa preziosa per la conservazione del suolo”.

Sua caratteristica peculiare è l’elevata concentrazione (pari al 58% della sua composizione) di materiale lignocellulosico, composto cioè da cellulosa, emicellulosa e lignina. I ricercatori hanno estratto questo materiale collocandolo in una soluzione di cloruro di zinco per poi filtrarlo, lavarlo e seccarlo. Il residuo ottenuto è stato usato per creare le pellicole. Che, osservano gli studiosi, si sono rivelate di ottima qualità.

Daderot, Public domain, via Wikimedia Commons

Daderot, Public domain, via Wikimedia Commons

Le pellicole si biodegradano in 40 giorni

“Le pellicole ottenute si sono contraddistinte per il colore, la trasparenza, lo spessore, l’umidità, la solubilità e l’assorbimento in acqua, la permeabilità al vapore acqueo, la resistenza alla trazione e l’allungamento”, si legge nello studio. L’analisi della loro capacità di degradazione nel suolo ha restituito anch’essa risultati positivi. Le stesse pellicole, in particolare, “si biodegradano completamente nel suolo entro 40 giorni in presenza di un’umidità pari al 30%”.

Lo studio, insomma, “può aprire una nuova finestra di opportunità per progettare e sviluppare pellicole riutilizzabili, riciclabili e compostabili a partire da biomasse agricole sottoutilizzate, poco costose e abbondanti, contribuendo alla bioeconomia circolare in modo facile e sostenibile”. E generando un reddito supplementare per gli agricoltori.

La bioplastica è decisiva anche per l’agricoltura

L’importanza della bioplastica è riconosciuta ormai da tempo. L’attenzione corre a tutti i possibili impieghi della risorsa, nell’industria come nella vita di tutti i giorni. Particolare enfasi, poi, è stata attribuita non a caso agli utilizzi in agricoltura dove, a oggi, le plastiche tradizionali continuano ad avere un peso notevole come dimostra l’ampia diffusione delle pellicole da pacciamatura in polietilene.

Nei mesi scorsi, una ricerca della California Polytechnic State University ha evidenziato come le aziende agricole statunitensi, in particolare, generino ogni anno circa 390.000 tonnellate di rifiuti di plastica, con il contributo significativo proprio di questi teli. Secondo la FAO, la domanda globale di pellicole in plastica per uso agricolo (serre, pacciamatura e insilati) aumenterà del 50% nel periodo 2018-2030. Passando da 6,1 a 9,5 milioni di tonnellate.

 

Leggi anche: RIVESTIMENTI BIOBASED, LASER E RAGGI UV PER UN SISTEMA ALIMENTARE PIÙ SANO

 

Immagine: SEWilco, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

 

Questo articolo è apparso originariamente su resoil.org