Il 18 aprile scorso la concessionaria per gli acquisti pubblici Consip si è aggiudicata la gara per la fornitura di 1.000 autobus elettrici da destinare ai Comuni italiani. In linea con gli obiettivi della Clean Vehicles Directive europea, la flotta dal valore di 530 milioni di euro (fondi PNRR) contribuirà a ridurre le emissioni di gas serra e aumentare la qualità dell’aria delle città italiane.

Si tratta di un passo avanti importante che, visto la proposta della Commissione UE di mettere in circolazione solo autobus urbani a zero emissioni a partire dal 2030, punta a convertire in elettrico l’attuale parco autobus italiano, composto al 90% da mezzi alimentati a gasolio.

Gli autobus elettrici sono un’alternativa valida

In termini performativi, oggi sappiamo che in un contesto extraurbano i bus elettrici e a idrogeno competono già con quelli con motore a combustione. Da una simulazione effettuata sulla rete extraurbana della Provincia autonoma di Bolzano emerge che in circa l'80% delle linee un autobus diesel può essere sostituito da un mezzo a zero emissioni. I risultati mostrano che per garantire gli stessi percorsi e le stesse fermate è necessario un leggero aumento del numero di bus elettrici (6%).

Al centro di questo processo di elettrificazione ci sono prima di tutto i costruttori italiani ed europei, che dopo le difficoltà produttive e logistiche provocate dalla pandemia, stanno pian piano ripartendo a pien regime.

“Sono stati anni abbastanza duri per tutta la filiera – dice a Materia Rinnovabile Andrea Rampini, CEO dell’azienda Rampini Carlo e presidente della sezione autobus dell’Associazione nazionale filiera industria automobilistica (ANFIA) ‒ mancavano fondi e non c'era una programmazione pluriennale. Ora le attuali politiche e i fondi europei stanno agevolando la filiera per una ripresa in grande.”

Vendite in crescita

Di certo stiamo assistendo a un trend di vendite in crescita. Secondo ACEA nel 2021 le immatricolazioni nell’Unione Europea sono aumentate del 78,7% e nel 2022 del 13,7%. A oggi però, sui 714.000 autobus totali che circolano, ancora solo l’1% è elettrico.

Secondo Arno Kerkhof, capo unità bus di UITP, Associazione internazionale trasporti pubblici, si tratta di un settore piuttosto stabile. Ogni anno in Europa c’è un ricambio flotta del 8-10%, questo significa che annualmente le pubbliche amministrazioni comprano in media dai 15 a 20 mila bus tra diesel ed elettrico.

“Stiamo assistendo a una trasformazione graduale del parco bus europeo”, ci dice Kerkhof. “Per via dei lenti processi decisionali che devono mettere d’accordo 27 Paesi, ci sono Stati, come la Cina, che hanno ritmi più sostenuti. Nel 2017 la città di Shenzhen aveva già convertito l’intera flotta con circa 16.000 mezzi, quella di Pechino ne ha immessi 20.000”. A fine 2019 circolavano in tutto il Paese oltre 400.000 autobus elettrici.

Questi incredibili ritmi di produzione sono giustificati da una massiccia politica sussidiaria del governo centrale che dal 2009 foraggia la filiera con promozioni, incentivi e sconti fiscali. Per citare uno dei tanti esempi, un report di GIZ commissionato dal Governo tedesco sostiene che le imprese possono ottenere un sussidio operativo di 640.000 yuán (circa 83.858 euro) per la produzione di bus elettrici con lunghezza superiore a 10 metri.

L’aggressiva competizione degli autobus elettrici cinesi

"I mercati globali sono inondati di auto elettriche cinesi più economiche. E il loro prezzo è mantenuto artificialmente basso da enormi sussidi statali. Ciò sta distorcendo il nostro mercato.” Queste sono state le parole pronunciate dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen nel suo discorso annuale sullo stato dell'Unione.

La notizia è che Bruxelles sta avviando un'indagine sui veicoli elettrici cinesi fortemente sussidiati e quindi più economici. Questa mossa potrebbe condurre a imposte aggiuntive per scoraggiare l’acquisto di veicoli cinesi e proteggere il mercato europeo, scatenando così una pericolosa battaglia di dazi con la Cina.

“I produttori cinesi sono molto aggressivi – commenta Rampini, la cui azienda ha vinto la gara indetta dal Consip aggiudicandosi il lotto fino a 280 autobus elettrici ‒ riescono ad arrivare sul mercato europeo con dei prezzi che al momento per noi costruttori europei sono irraggiungibili.” Tra gli aggiudicatari di tre lotti d’appalto della Consip figura la BYD, uno dei leader cinesi di auto e bus elettrici che, dopo aver aperto uno stabilimento in Ungheria, sta pensando di espandersi in tutta Europa.

La politica europea e il nuovo codice appalti italiano

Le analisi mostrano che non c’è solo la Cina a dominare il mercato. In termini di vendite, la polacca Solaris e l’olandese VDL Group primeggiano in Europa con la cinese Yutong, mentre a livello globale tra i player più grandi figurano anche la turca Temsa e l’indiana Ashok Leyland.

Alla UITP si avverte una certa tensione politica sul fatto che non ci siano vincoli per le aziende extracomunitarie nell’operare nel mercato europeo. “L’Unione Europea lancia piani ambiziosi e paper, ma non c’è una politica industrial: tocca ai singoli Stati membri agire”, commenta Kerkhof che, vivendo a Bruxelles, ha il polso della situazione.

Da questo punto di vista il nuovo codice appalti italiano sembra incentivare la produzione Made in Europe. Infatti è presente una norma definita “Prima l’Italia” che concede libertà di scelta all’appaltatore di respingere un’offerta che presenta più del 50% dei prodotti provenienti da un Paese terzo, premiando così le aziende italiane ed europee.

Il problema dell’approvvigionamento JIT

Un’altra criticità riguarda la dipendenza da batterie e semiconduttori provenienti dal mercato asiatico. Specialmente durante la pandemia di Covid la carenza di questa componentistica ha messo in crisi tutto il settore automotive.

Sostanzialmente è collassata la metodologia di approvvigionamento “Just in Time” (JIT), che prevede che a fronte di una richiesta di un prodotto/componente questo debba essere realizzato al momento giusto, nel posto giusto, nella giusta quantità richiesta. Ciò ha causato fortissimi rallentamenti e stop alla produzione fino allo scorso anno in numerose aziende europee. Ora, ci confermano dall’ANFIA, la supply chain è tornata a operare a pieno regime.

Autobus, meglio elettrico o a idrogeno?

Continua a essere uno dei dibatti sulla mobilità più accessi: è meglio puntare sui bus elettrici a batteria o quelli a celle a combustibile con l’idrogeno? Tra analisi LCA, valutazioni sulle performance delle due tecnologie e costi, sembra che l’elettrico offra per il momento più garanzie, ma la risposta che per ora arriva da mercato e politica è piuttosto diplomatica: “Dipende dai contesti”.  

Sotto una lente prettamente ambientale, secondo un case study che ha effettuato un’analisi del ciclo vita degli autobus a idrogeno e a batteria, i risultati sono positivi per gli autobus elettrici (anche nel caso di energia non al 100% rinnovabile), con una diminuzione del 43% della domanda di energia primaria non rinnovabile e del 33% del potenziale di riscaldamento globale. Per gli autobus a idrogeno possono variare da effetti molto positivi fino anche a nettamente negativi (a seconda delle fonti di energia).

In termini di efficienza, consumo, sensibilità alla temperatura esterna, distanze percorse e costo per chilometro percorso, i risultati di un paper pubblicato sulla rivista Journal of Energy mostrano che entrambe le tecnologie possono essere utilizzate con successo per decarbonizzare le flotte, anche se gli autobus a batteria hanno maggiore efficienza e minore costo per chilometro rispetto a quelli a idrogeno.

Idrogeno e neutralità tecnologica

Al contrario dell’elettrico a batteria che vanta svariati anni di collaudo industriale, la filiera dei bus a idrogeno è ancora molto giovane e deve ancora sciogliere alcuni nodi legati al trasporto e alla produzione del vettore energetico. Ma i fattori da tenere in considerazione non sono solo ambientali e industriali, anche la politica gioca un ruolo importante.

“In Europa i servizi di trasporto pubblico sono quasi sempre sotto il controllo degli enti comunali e l’idrogeno ha sempre un certo prestigio – spiega Arno Kerkhof – è una tecnologia che può produrre consenso.”  Secondo un principio di neutralità tecnologica, ovvero un approccio non discriminatorio alla regolazione dell'uso delle tecnologie, la politica industriale italiana ed europea lasceranno “fare al mercato”, procedendo verso una decarbonizzazione diversificata del trasporto pubblico.

Un principio che, in questo caso, funziona poco secondo Michael Liebreich. Nel 2021 infatti il fondatore del centro studi Bloomberg Nef disse che usare l’idrogeno verde per decarbonizzare il trasporto pubblico è come tagliarsi i capelli con un coltellino svizzero: “Si può, ma perché farlo quando ci sono mezzi tecnologicamente più adatti?”.

 

Immagine: Tuon Chopper, Pexels