“Quelli che traggono profitto dalle attività che hanno generato il cambiamento climatico non sono coloro che ne subiscono direttamente le conseguenze […] Fermeremo il cambiamento climatico solo facendo pagare quelli che vi contribuiscono”: in altri termini, tassando l’industria dell’Oil&Gas. È questo il passaggio centrale di un brano pubblicato nel 2018 in apertura del Climate Damages Tax Report, documento che proponeva l’istituzione di un fondo internazionale di finanziamento per le perdite e danni, il cosiddetto Loss and Damage istituito poi oltre 5 anni più tardi alla COP28 di Dubai.

L’autore di quelle parole è Avinash Persaud, oggi Special Advisor on Climate Change del presidente della Inter-American Development Bank ed ex Special Climate Envoy del primo ministro delle Barbados, uno degli Stati insulari più impattati dalla crisi climatica. Ora che il Fondo Loss and Damage è operativo e la discussione è tutta sulla dotazione (cioè su come alimentarne quelle casse in maniera equa, rapida e stabile nel tempo), lo stesso brano di Persaud è tornato in apertura della nuova edizione del rapporto. E la ragione è presto detta, perché una soluzione sembra esserci.

Nella sua versione 2024 il Climate Damages Tax Report sostiene che un'imposta sull'estrazione dei combustibili fossili nelle economie avanzate più ricche del mondo potrebbe garantire da sola 720 miliardi di dollari di gettito entro il 2030 per il Fondo Loss and Damage. Più 180 miliardi di dollari per i Paesi OCSE per la transizione delle proprie economie.

Perché alimentare il Fondo Loss and Damage? Un caso concreto

Sostenuto da oltre 100 organizzazioni per il clima in tutto il mondo, tra cui Greenpeace, Stamp Out Poverty, Power Shift Africa e Christian Aid, il Climate Damages Tax Report 2024 propone l’introduzione di una Climate Damages Tax (CDT). Basata sul principio del “chi inquina paga”, la proposta chiede in ottica di giustizia redistributiva e (a maggior ragione dopo gli “eccessivi” extraprofitti seguiti al conflitto russo-ucraino) che i produttori di combustibili fossili coprano una quota sostanziale delle conseguenze finanziarie dei danni provocati dalle proprie attività. Danni sempre più intensi, prodotti di eventi tanto diversi quanto ormai tendenti all’ubiquità, come dimostrano le recenti ondate di calore nel Sudest asiatico o le alluvioni in Brasile, che da sole hanno causato 78 morti e 115.000 sfollati.

Conseguenze da cui è difficile sollevarsi, come spiegano gli autori riportando il caso delle alluvioni in Pakistan. “Queste inondazioni hanno causato perdite e danni significativi, con danni stimati superiori a 14,9 miliardi di dollari e perdite economiche per 15,2 miliardi di dollari", si legge nel rapporto. "Le inondazioni hanno colpito 33 milioni di persone, hanno causato oltre 1.700 morti e hanno avuto un impatto sproporzionato sui distretti più poveri e vulnerabili. In risposta, il Pakistan ha lanciato una raccolta di donazioni, ma il 90% dei fondi raccolti è stato erogato sotto forma di prestiti, aumentando l'onere economico del Paese nel momento peggiore. Se il Fondo Loss and Damage fosse esistito e fosse stato sufficientemente finanziato, il Pakistan avrebbe potuto richiedere fondi a costo zero per la ricostruzione e il recupero delle comunità gravemente colpite in modo tempestivo, con un risultato qualitativamente migliore per gran parte della popolazione.”

Come funziona la Climate Damages Tax?

La Climate Damages Tax (CDT) punta a tassare l'estrazione di ogni tonnellata di carbone, petrolio e gas, usando come riferimento il contenuto di CO equivalente di ciascun combustibile fossile. La CDT si applicherebbe attraverso i sistemi di pagamento già in uso per le royalties che le aziende dell’Oil&Gas pagano agli Stati. Il rapporto sostiene che la maggior parte dei proventi (80% dei 720 miliardi di dollari) dovrebbe essere trasferita al Fondo Loss and Damage per assistere i Paesi in via di sviluppo nella loro risposta alla crisi climatica. Tuttavia, il 20%, pari a 180 miliardi di dollari entro il 2030, potrebbe essere riservato come “dividendo interno” per sostenere le comunità nella transizione climatica nei Paesi in cui viene imposta la tassa. In particolare, l’applicazione della tassa nei Paesi dell'OCSE – che in base al principio delle responsabilità comuni ma differenziate sono considerati i più in grado di fornire finanziamenti al Fondo Loss and Damage – aiuterebbe a contribuire al pagamento delle quote dei singoli Stati al Fondo, senza comportare ulteriori "costi ingiusti per i propri cittadini". 

“I governi non possono continuare a stare fermi e lasciare che sia la gente comune a pagare il conto del cambiamento climatico, mentre compagnie come Shell e BP si riempiono le tasche e incassano i prezzi elevati dell'energia”, commenta la proposta Areeba Hamid, Joint Executive Director di Greenpeace UK. "Abbiamo bisogno di una leadership globale concertata per costringere l'industria dei combustibili fossili a smettere di trivellare e a iniziare a pagare per i danni che sta causando in tutto il mondo. Una tassa sui danni climatici sarebbe uno strumento potente per contribuire a raggiungere entrambi gli obiettivi: sbloccare centinaia di miliardi di fondi per coloro che sono all'estremità della crisi climatica e contribuire ad accelerare una transizione rapida e giusta dai combustibili fossili in tutto il mondo."

Un gettito in progressione: gli scenari

Gli autori del report raccomandano l’introduzione della CDT nel 2024 a un tasso iniziale basso di 5 dollari per tonnellata di CO equivalente, che dovrebbe aumentare di 5 dollari per tonnellata ogni anno. “Se attuata a questo ritmo spiegano gli autori la CDT applicata ai Paesi OCSE che impiegano un dividendo interno del 20% raccoglierebbe 44,6 miliardi di dollari per il Fondo Loss and Damage nel primo anno, 90,1 miliardi di dollari nel secondo anno e 119,8 miliardi di dollari nel terzo anno. Entro la fine di questo decennio, la cifra cumulativa per le entrate dell'OCSE sarebbe di 900 miliardi di dollari, che equivalgono a 720 miliardi di dollari per il Fondo Loss and Damage e, con un dividendo interno del 20%, a 180 miliardi di dollari per i Paesi OCSE per la transizione delle proprie economie.”

Applicando la CDT ai Paesi G7, invece, con un dividendo interno del 20% entro la fine di questo decennio, le entrate ammonterebbero a 675 miliardi di dollari in totale, di cui 540 miliardi per il Fondo e 135 miliardi per l'azione nazionale per il clima. “Se applicata a livello globale, il totale cumulativo in questo periodo sarebbe dell'ordine di 3.500 miliardi di dollari”, scrivono gli autori spingendosi agli estremi. D'altronde, i 700 milioni di dollari finora promessi dai leader mondiali per il Fondo Loss and Damage, istituito alla COP28 di Dubai, rappresentano meno dello 0,2% delle perdite economiche e non economiche annuali irreversibili che i Paesi in via di sviluppo subiscono a causa del riscaldamento globale.

 

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