Come si possono bilanciare ambiente, crescita ed equità? Come dobbiamo combinare adattamento climatico, costruzione di città sostenibili e giustizia sociale? Come bisogna ripensare le strade, i quartieri e gli spazi pubblici per essere inclusivi? Questi e altri sono stati i temi al centro di due intense giornate, il 6 e il 7 giugno scorsi, in cui Rotterdam, nei Paesi Bassi, ha ospitato la conferenza Urban Future, che ha coinvolto circa 2.000 partecipanti provenienti da oltre 50 paesi e più di 300 città, tra cui quasi ottanta tra sindaci e vicesindaci.

Mobilità e aspetti sociali della transizione

La transizione verso città più verdi e inclusive sembra fattibile: concordare obiettivi globali, calcolare target di emissioni da non superare e introdurre regolamenti e tasse. In realtà, la transizione è molto più complessa, indisciplinata e divisiva di quanto descritto dai fogli di calcolo. Tra i movimenti per la decrescita che mettono in discussione la necessità della crescita economica e gli attivisti locali per la giustizia climatica, diventa evidente che la transizione verde non avverrà senza prendere sul serio l'equità, l'uguaglianza e la giustizia.

“Una città avanzata non è una città in cui i poveri possiedono un'auto elettrica, ma una città in cui i ricchi usano i trasporti pubblici”, è il mantra ripetuto da Enrique Peñalosa, autore del volume Equity and the cities ed ex sindaco di Bogotà, che, ancor prima di Parigi e Londra, è riuscito a dotare la capitale colombiana di 50 chilometri di piste ciclabili. Il processo non è stato semplice, numerosi interessi e pressioni sono entrati in campo, ma la democratizzazione degli spazi pubblici e la ridistribuzione dello spazio urbano è un passaggio fondamentale perché, come affermato da Peñalosa, “una macchina parcheggiata sul marciapiede è sintomatico della mancanza di rispetto per la dignità umana dei pedoni”.

“Al momento, nei paesi in via di sviluppo il 10 o 20% delle persone che possiedono un’auto ha il potere di decidere come strutturare le città”, continua Peñalosa. “Invece, un autobus con 80 persone al proprio interno dovrebbe avere uno spazio ottanta volte superiore a quello di un'auto che trasporta una sola persona.” Peñalosa suggerisce di puntare sullo sviluppo di un efficiente trasporto pubblico urbano parallelamente a un necessario cambio di mentalità e maggiore democrazia per evitare che lo sviluppo di piste ciclabili sia ostacolato da classi agiate che le percepiscono come una minaccia in quanto persone povere e a basso reddito potrebbero usarle per attraversare le aree benestanti o giocare a calcio nei parchi delle zone ricche della città.

Nonostante la parvenza di società avanzata e in crescita costante, anche i Paesi Bassi hanno problemi in tale direzione. Come afferma Derk Loorbach, direttore dell’ente di ricerca DRIFT di Rotterdam, “i cittadini di Rotterdam Sud hanno un’aspettativa di vita dai 6 ai 12 anni inferiore rispetto alla media olandese e vivono per circa 20 anni in cattiva salute. Il 70% delle persone che abita in questa zona non sa guidare una bicicletta. Gli olandesi sembrano aver un’ottima organizzazione, ma guardando sotto la superficie c’è bisogno di un radicale cambiamento di approccio. Non è possibile dare sussidi ai ricchi per comprare la Tesla e per costruire nuovi parcheggi, bisogna contrastare l’utilizzo dell’auto privata e puntare sui sistemi di condivisione.”

Tracy Metz (Moderator) Water Talks Podcast & Director at John Adams Institute Enrique Penalosa - Former Mayor of Bogota Katharina Schätz - Climate Resilience Manager at City of Regensburg Lykke Leonardsen - Head of Programme for Resilient & Sustainable City Solutions at City of Copenhagen Ahmed Aboutaleb - Mayor of Rotterdam Erion Veliaj - Mayor of Tirana © Laura-Anne Grimberger

Nuova mentalità e alloggi come diritto umano

Il cambiamento di mentalità, in tale contesto, deve coinvolgere tutti gli stakeholder. È necessario ridistribuire gli spazi pubblici così come ripensare la proprietà privata della terra che impatta sull’inaccessibilità delle case e determina che individui, che dalle aree periferiche si sono trasferiti in città, vadano a vivere nelle baraccopoli delle metropoli globali.

“L’abitazione è un diritto umano”, ha affermato Leilani Farha, giurista canadese, direttrice di The Shift e autrice, insieme all’economista Mariana Mazzuccato, di The Right to Housing. Le città stanno affrontando una crisi di alloggi a prezzi accessibili, da cui si potrebbe uscire costruendo di più. Ciò, però, provoca un conflitto di interessi: è impossibile creare più unità abitative a prezzi accessibili senza, allo stesso tempo, emettere emissioni che superano gli obiettivi climatici fissati. È necessario combinare il potenziale delle case sfitte e gli strumenti per utilizzarle per la costruzione di alloggi a prezzi accessibili.

Proprietari di immobili, amministrazioni cittadine, politica, finanza, aziende devono essere tutti coinvolti nel rendere più accessibili le unità abitative. Tuttavia, alla base, è cruciale passare dal concepire un'abitazione come prodotto di speculazione a un'abitazione come diritto umano. Per fare ciò torna adessere necessaria l'edilizia di comunità e la cruciale collaborazione tra costruttori, associazioni edilizie e amministrazioni cittadine.

Un nuovo linguaggio per un nuovo paradigma

Nella transizione verso un nuovo paradigma equo e verde e la costruzione di infrastrutture sostenibili, vivibili e sicure, “il linguaggio gioca un ruolo fondamentale, in quanto la lingua parlata cambia la realtà, cambia il punto di vista e dà forma al mondo. Il linguaggio non è lo specchio della realtà”, afferma Marco te Brömmelstroet, professore di Urban Mobility Futures all'Università di Amsterdam e fondatore del Lab of Thoughts. Se lo scorso secolo a costruire gli incroci stradali delle nostre città sono stati chiamati gli ingegneri idraulici, che avevano esperienza in materia di congestione, oggi bisogna mettere in discussione quando costruito finora e ripensare e riappropriarci delle strade e dei quartieri urbani, creando linguaggi neutri e storie positive.

Spiega Marco te Brömmelstroet: “Le cose non sono sempre come sembrano: il cervo non sta attraversando la strada, è la strada che sta attraversando la foresta”. Foto: Unsplash

 

Una storia positiva e a lieto fine arriva, certamente, dall’Austria con Maria Vassilakou, ex vicesindaca di Vienna, contestata duramente dai propri concittadini con manifestazioni e manifesti che rappresentavano la sua faccia barrata da una grande croce per aver proposto la pedonalizzazione della più larga e popolare via dello shopping della capitale austriaca. Grazie a un ampio programma di riforme, oltre alla pedonale Mariahilferstraße, oggi Vienna ha una delle politiche tariffarie per il trasporto pubblico più convenienti tra tutte le città europee.

La ricetta di Vassilakou per ottenere cambiamento e convincere la popolazione è, in apparenza, semplice: creare esperienze attraverso, ad esempio, eventi temporanei, utilizzare i nuovi quartieri urbani come opportunità di sperimentazione per la comunità, coinvolgere tutta la popolazione cercandola nei posti e nei luoghi corretti per evitare che a far sentire la propria voce siano sempre le solite persone con più tempo e disponibilità economica, e, infine, iniziare dai bambini.

Antonio Miguel Castro © Laura-Anne Grimbergen

Parco giochi come strumento di coesione sociale

A proposito di bambini, i parchi giochi, in effetti, sono spazi fondamentali in cui gli individui sperimentano per la prima volta la coesistenza e la collaborazione. Trasformare la società passa inevitabilmente attraverso la ridefinizione del concetto di parco giochi quale strumento completo di progettazione sociale e sostenibile. L’inclusione di comunità e culture inizia da bambini e numerose sono le città e le iniziative che stanno sperimentando strategie innovative e applicazioni pratiche volte a trasformare i parchi giochi in spazi vivaci e dinamici che promuovono lo sviluppo olistico e affrontano le sfide urbane contemporanee. Copenhagen e Vienna, in tale contesto, sono città pioniere grazie alla co-creazione di spazi insieme ai bambini per ripensare gli spazi dal punto di vista di individui alti 90 o 130 centimetri.

“Dobbiamo ripensare tantissimi elementi che spesso diamo per scontati quali, ad esempio, le luci in un parco giochi, che sono spesso non considerate ma diventano fondamentali per garantire inclusione e senso di sicurezza a tutte le ore e per tutte le comunità, specialmente in paesi in cui le ore di luce sono ridotte nei mesi invernali”, sostiene Filippo Lodi, direttore e architetto dell’olandese UNStudio.

 

Questo articolo è disponibile anche in inglese / This article is also available in English

 

Immagine di copertina: Chantal Zeegers, vicesindaca di Rotterdam alla cerimonia di apertura © Laura-Anne Grimberger

 

© riproduzione riservata